Home FixingFixing “Belli e ben fatti”, cresce l‘export legato ai prodotti di alta qualità

“Belli e ben fatti”, cresce l‘export legato ai prodotti di alta qualità

da Redazione

Nei prossimi cinque anni il settore potrebbe raggiungere i 15 miliardi. L’analisi presentata alla 10° edizione di “Luxury Summit” del Sole 24 Ore.

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Quali prospettive di sviluppo ci sono per i prodotti “Belli e ben fatti” (BBF) dell’alimentare, della moda e dell’arredo nei diversi mercati? Dove si registrerà il maggiore dinamismo? Nelle economie emergenti si potrà contare su dimensioni di mercato crescenti?

È quello che si è chiesto (e a cui ha dato risposte) il report “Esportare la Dolce Vita”, lo studio presentato nel corso del “Luxury Summit”, l’evento organizzato da “24 Ore Eventi” in collaborazione con “Il Sole 24 Ore”.

Nel 2017 le importazioni di “BBF” – quei prodotti dell’alimentare, moda e arredo in grado di veicolare un valore aggiunto distintivo all’Italia ottenendone in cambio un prezzo più alto almeno del 20% rispetto ai concorrenti mondiali (i beni BBF nel 2017 rappresentavano circa il 20% delle esportazioni manifatturiere italiane) – provenienti dall’Italia valevano per le sole economie emergenti oltre 10 miliardi di euro. È un ordine di grandezza superiore a quanto, ad esempio, realizzato dal BBF italiano in Francia o negli USA, storicamente i primi due mercati di assorbimento per le produzioni italiane di qualità. Ma le previsioni presentate in questo Rapporto raccontano che in vista c’è molto di più. Nei prossimi sei anni l’import dei nuovi mercati potrebbe aumentare infatti fino a circa 15 miliardi di euro, una crescita attesa cumulata vicina al 40% e soprattutto quasi doppia rispetto a quanto stimato con riferimento ai mercati avanzati (circa il 20% nello stesso periodo). Secondo uno scenario più ottimistico, l’import dei nuovi mercati potrebbe arrivare a superare i 18 miliardi. Si tratta di un ottimismo “ragionevole” fondato sull’ipotesi di aumentare, settore per settore, le quote di mercato dell’Italia nei mercati chiave. Un’ambizione non velleitaria perché concorrenti molto simili all’Italia ci sono già riusciti e un’azione mirata e coordinata (a livello di imprese, di Associazioni e di Sistema Paese) può avere realistiche possibilità di riuscire nell’obiettivo.

Diversamente da quanto spesso si sente sostenere, la specializzazione produttiva dell’industria italiana è molto cambiata nel corso degli anni. Si tratta di cambiamenti importanti, da cui sono scaturite produzioni fortemente competitive a livello internazionale che hanno conquistato posizioni di rilievo nei mercati di tutto il mondo.

La matrice di offerta della manifattura italiana, ossia la gamma dei prodotti offerti sul mercato, appare oggi molto articolata (più della media europea). Questa differenziazione è l’esito di un percorso originale di sviluppo, che attraverso più fasi di modernizzazione ha portato all’emergere, a fianco delle industrie di base e di quelle meccaniche, di un “blocco” di settori orientati alla produzione di beni finali di consumo, in larga misura collocati su fasce di mercato elevate.

Per le sue caratteristiche intrinseche, e in particolare per la sua capacità di innalzare continuamente il livello delle competenze detenute, questo modello ha rivelato uno straordinario grado di resilienza, ed è divenuto un modello di riferimento a livello mondiale sul piano della creatività e della qualità, in particolare per quanto riguarda la moda, il design e il settore del gusto.

Tutto questo è avvenuto nonostante le reiterate profezie di annientamento di queste stesse produzioni da parte dei paesi di nuova industrializzazione, caratterizzati da attività manifatturiere (nominalmente) simili, ma anche da costi di produzione enormemente inferiori a quelli italiani.

Il punto è che i processi di miglioramento dell’offerta italiana in queste industrie hanno assunto carattere cumulativo, determinando un rafforzamento continuo delle posizioni via via acquisite; e che a questo rafforzamento ha corrisposto un graduale upgrading produttivo, il cui risultato di medio periodo è stato quello di posizionare l’industria italiana sulla fascia alta del mercato.

Ne è derivata la capacità di ottenere, in tutte le produzioni del sistema moda, nelle produzioni orientate al design (in particolare l’arredamento) e nell’alimentare un consistente riconoscimento di prezzo; ovvero l’opportunità di disporre di un potere di mercato spesso elevato.

Ma la sfida intrapresa dal BBF italiano – rimarca lo studio realizzato da Centro Studi Confindustria (Direttore Andrea Montanino) e Prometeia (Partner Alessandra Lanza) con la collaborazione di Istat – è stata quella di conciliare qualità e risparmio, allargando e non riducendo il mercato di riferimento.

In questa strategia di ampliamento del bacino potenziale i Paesi emergenti hanno cominciato a svolgere un ruolo fondamentale, presentandosi a loro volta come mercati finali per i beni del BBF. Da un lato, infatti, quando la recessione ha pesato sugli stili di vita e sulla capacità di spesa del consumatore occidentale, essi hanno rappresentato un potenziale di mercato non indifferente per le imprese del BBF. Dall’altro si è realizzato in questi paesi anche un processo di upgrading del consumo, conseguente a trasformazioni sociali importanti come l’urbanizzazione, l’aumento della partecipazione femminile al lavoro, il miglioramento dei livelli medi di scolarizzazione, lo sviluppo del turismo internazionale.

Nel 2017 le importazioni dei Paesi emergenti di prodotti BBF provenienti dall’Italia erano arrivate a valere oltre il 14% delle importazioni del mondo.

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