Home FixingFixing Le tredici “strofe-vagoni” di una locomotiva

Le tredici “strofe-vagoni” di una locomotiva

da Redazione

La grande canzone di Francesco Guccini elogiata da Giorgio Gaber. Il Maestrone: “Non ho mai scritto così veloce, ci ho messo mezzora”.

Guccini

 

“Tenetevi stretto Francesco Guccini: uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su una locomotiva può scrivere davvero di tutto”. E se a dirlo è stato Giorgio Gaber, qualcosa vorrà pure dire.

La canzone “La locomotiva”, inserita nell’album “Radici”, si riferisce a un fatto realmente accaduto, raccontato con alcuni adattamenti poetici. Protagonista della vicenda è il macchinista anarchico Pietro Rigosi, 28 anni, sposato e padre di due bambine di tre anni e dieci mesi.

Poco prima delle 5 pomeridiane del 20 luglio 1893 Rigosi si impadronì di una locomotiva sganciata da un treno merci nei pressi della stazione di Poggio Renatico e si diresse alla velocità di 50 km/h, che per quei tempi era notevole, verso la stazione di Bologna. Il personale tecnico della stazione deviò la corsa della locomotiva su un binario morto, dove essa si schiantò contro sei carri merci in sosta. L’impatto fu tremendo e l’uomo venne sbalzato via in seguito all’urto; sopravvisse, ma gli venne amputata una gamba e rimase sfigurato in viso. Dopo due mesi venne dimesso dall’ospedale e esonerato dal servizio in ferrovia per motivi di salute.

Non si sono mai saputi i motivi che spinsero l’uomo a questo folle gesto, ma le sue idee profondamente anarchiche ed una dichiarazione resa dopo il ricovero: “Che importa morire? Meglio morire che essere legato!” convinsero l’opinione pubblica che si trattasse di un gesto di protesta contro le dure condizioni di vita e di lavoro di quegli anni e contro l’ingiustizia sociale, che si manifestava in ogni situazione come ad esempio nell’ambito ferroviario dove c’era una prima classe lussuosa e confortevole, mentre le carrozze delle classi inferiori erano fatiscenti e scomode. Gran parte dei giornali dell’epoca, invece, chiuse la vicenda, definendola un puro atto di pazzia.

Guccini colse il significato anarchico del gesto e, immaginando l’uomo come un eroe proletario, riadattò la vicenda per crearne un pezzo importante e significativo per questa determinata corrente di pensiero e fece diventare il personaggio di Rigosi simbolo della lotta di classe.

A Rosignano, come riporta La Stampa, il Maestrone spiegò la canzone: “La mia è una visione romantica, la canzone nasce da incontri strani. In un diario di ex operai del Bolognese dell’800 avevo trovato la storia di questo Pietro Rigosi che arrivato in officina si impadronisce di una locomotiva e si dirige a velocità folle verso Bologna. Deviata su un binario morto, si schiantò contro carri merci fermi. Sbalzato dall’abitato, Rigosi sopravvisse ma non disse mai i perché. Il mio vicino di casa Mignani mi spiegò che era stato un gesto anarchico. Conoscevo uno del circolo anarchico di Carpi e parlandoci mi è venuta voglia di scrivere una canzone in stile Pietro Gori. Non ho mai scritto così veloce, ci ho messo mezz’ora. Scrivevo e prendevo appunti, e l’inizio mi è venuto per ultimo. Il musicologo Roberto Leydi definì ‘La locomotiva’ la più bella canzone popolare del Dopoguerra”.

Nel libro “Letteratura e autobiografia nell’album ‘Radici’ di Francesco Guccini” scrive bene Paolo Magliani. “Lo sviluppo della società industriale e del progresso era proprio incarnato dalla macchina a vapore, che accorciava gli spazi e i tempi e rendeva più rapido e tumultuoso lo scambio di merci e la produzione. Si era da poco entrati nella modernità, fatta di contraddizioni sociali sempre più evidenti che sarebbero di lì a poco esplose. Se il treno, carduccianamente rappresentato come ‘mostro’ nell’inno A Satana, era appunto considerato ‘un mito di progresso / lanciato sopra ai continenti’, il lavoratore capace di domarlo e ‘cavalcarlo’ assume contemporaneamente sia il ruolo di ‘sfruttato’ da quella borghesia irrefrenabile di cui si sente vittima, sia quello di nuovo e consapevole attore sulla scena della storia”.

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento