Intanto l’azienda di famiglia si sta convertendo al biologico.
Avremmo potuto introdurre Laura Luna Serrandrei con l’incipit di una lirica del poeta Mario Olimpieri (“Vo coltivando spesso due passioni / è nobile la prima e culturale / e l’altra, invece, è proprio “terra terra” / perché stringer mi fa una vecchia zappa / per donare la vita al mio orticello / fonte di schietti doni della terra”) ma abbiamo preferito raccogliere le sue parole, che a modo loro possono rientrare nel filone degli “ermetici”: “Quello dell’agricoltore è un lavoro bellissimo perché devi rispettare i tempi della natura”. Laura Luna Serrandrei ha 34 anni e qualche anno fa ha lasciato il lavoro sotto lo Stato (era postina) per andare incontro alla sua passione: quella dei campi e del cielo sopra la testa.
“In realtà l’agricoltura è un fatto di famiglia: dal 1991 mio babbo Graziano lavora nei campi e quindi è un mondo che ho sempre visto e vissuto. Ovviamente non esistono giorni liberi soprattutto se come noi hai animali da custodire, loro mangiano tutti i giorni, ogni mattina ci si sveglia molto presto”. L’agricoltore, a modo suo, è come un fotografo: lavora con la luce. “In estate ci si sveglia alle 4.30 e si arriva sino a quando il caldo lo permette. Poi si ‘stacca’ per qualche ora per poi riprendere sino alle nove di sera, o sino a quando si vede”.
E di terreno, la famiglia Serrandrei, ne ha parecchio: 60 ettari circa, fra pascolo e coltivato. “Per noi l’agricoltura con metodo convenzionale è superata o da superare, quindi dal settembre 2017 abbiamo deciso per la conversione al ‘bio’. Io credo che sia la strada giusta, un percorso che ha grandi potenzialità, sia per la nostra salute perché noi siamo quello che mangiamo sia di ‘immagine’ per la Repubblica. Siamo ‘piccoli’ e potremmo diventare davvero il primo Paese ‘biologico’ al mondo, un modello anche per altre Nazioni”.
Laura Luna “rivolta” idealmente le zolle. “Nei 30 ettari dedicati alla coltivazione piantiamo soprattutto fieno e granaglie per i nostri animali. Abbiamo un ettaro per l’orto dove, a rotazione, coltiviamo fave, piselli e vari ortaggi a seconda della stagione”. Rigorosamente “bio”. “Il biologico ha regole precise da rispettare. L’aratro per esempio, poiché va molto in profondità, non viene più utilizzato. Per quel che riguarda i concimi poi, devono essere impiegati solo quelli organici, oppure lo ‘Stallatico’ (ricavato da deiezioni di animali da stalla, il letame viene umificato, processo che lo rende pronto per essere usato come concime, e poi essiccato, ndr), che non ha infestanti. Poiché la maggior parte dei terreni della famiglia Serrandrei è in pendenza, “è importante preparare i fossi, che servono per far defluire l’acqua”.
Laura Luna, prima di soffermarsi sulla stretta attualità quindi l’inverno e la neve eccezionale di quest’anno, ci spiega i “tempi” dei campi, che comprendono la lavorazione del terreno, la concimazione, la semina e la raccolta. Raccolta che per i cereali e foraggio è meccanica invece per il reparto orticole “avviene tutta in manuale”, così come la pulizia dell’orto stesso. “Il miglior diserbate è la zappa”. Sugli antiparassitari, Laura Luna ci confida che prepara “una serie di macerati naturali a base di ortiche e altre erbe selvatiche, a secondo del problema; perché si la natura ci può creare problemi ma ci da anche le soluzioni”. “Sono una persona molto attenta e curiosa: ho imparato ‘sul campo’ le tecniche, ma anche utilizzando internet, cercando in Rete informazioni utili per il mio lavoro”.
Alla fine, guardando il panorama imbiancato del Titano, non si può non parlare di neve. “In questo periodo dell’anno ci si riposa. O meglio, si lavora meno. Anche se questa ondata di maltempo sta creando qualche difficoltà, dico che il terreno aveva bisogno dei fiocchi bianchi. A differenza della pioggia, che scende e ‘scivola’ nelle falde acquifere, la neve rilascia l’acqua in maniera più costante. In questo modo il terreno rimane umido per più tempo. La neve poi ‘protegge’ il terreno dal ghiaccio, uno degli ‘agenti’ più insidiosi e dannosi per l’agricoltura”.
Tra le tante suggestioni, ne raccogliamo una, quella di Giovanni Pascoli. “E come l’amo il mio cantuccio d’orto / col suo radicchio che convien ch’io tagli / via via; che appena morto, ecco è risorto”.