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San Marino, record negativo di figli, ripercussioni sull’economia

da Redazione

Il 2017 segna il sorpasso dei decessi sulle nascite, come in tutta la “vecchia” Europa. Dove, però, le politiche per la famiglia sono molto più evolute: dal sostegno al reddito ai servizi, si investe sempre di più per evitare danni al mercato del lavoro e al sistema previdenziale.

 

di Daniele Bartolucci

 

Il 2017 si è chiuso con un doppio record negativo per San Marino: dal 2000 ad oggi, è stato l’anno con più decessi e, contemporaneamente, con meno nascite. E per la prima volta, queste ultime sono state inferiori ai primi, proiettando anche l’antica Repubblica nella crisi di natalità che ha già colpito l’Europa da parecchi anni. E proprio per questo, molti stati membri dell’Unione europea si sono attrezzati da tempo per controbattere questo fenomeno che, va detto, non è solo sociale, ma anche economico. E’ ormai appurato che l’incremento del tasso di natalità sia a vantaggio dell’economia di un Paese: più bambini nati all’anno significheranno a lungo termine un maggiore numero di occupati, di consumatori e contribuenti.

Questa politica, iniziata in Francia fin dal 1992, porterà in prospettiva a un primo rimedio degli squilibri crescenti del sistema di previdenze, che è in crisi in tutti i paesi europei. Nel breve periodo tra l’altro sta portando ad un’espansione del settore degli impieghi legati alla cura e all’educazione dei bambini e ha reso la Francia uno degli Stati più attrattivi per i giovani europei e non solo.

 

BONUS, SERVIZI E INCENTIVI: LA FRANCIA INSEGNA


Se i Paesi nordici sono un’eccellenza, è il modello francese quello più “spinto” in Europa, tanto che è l’unico Paese ad aver costruito con le politiche degli ultimi vent’anni e raggiunto una media di 2 figli per famiglia già nel 2006. Che poi il Paese fosse e sia rimasto uno dei “motori” economici dell’Europa, è solo un caso fortunato?

La Francia ha deciso di sostenere la famiglia, considerandola un fattore di sviluppo e di crescita: il 3% del prodotto interno lordo viene destinato agli aiuti alle famiglie. Per fare un esempio lo Stato ha stanziato dieci anni fa un assegno di 750 euro mensili per le madri che hanno scelto un congedo di maternità di un anno (in Italia, non a caso fanalino di coda dell’Ue, solo oggi si ragiona se raddoppiare gli 80 euro di Renzi), senza considerare che l’assegno familiare (129 euro per i primi due figli, quasi 300 per chi ne ha 3, 166 euro aggiuntivi per il quarto, quinto e così via), più il bonus bebè di 927,61 euro per ogni nuovo nato, anzi, per ogni futuro nato (cd “Prestazione di accoglienza del bambino”) perché viene erogato al quarto mese di gravidanza proprio per sostenere la fase più difficile per la madre.. Ma è la serie di misure legislative che ha dato solide garanzie alle madri lavoratrici, che non rischiano di vedere interrotta o rallentata la loro carriera a causa dei figli, ad aver dato il là a questa ripresa demografica. Le famiglie francesi con tre o più figli godono di riduzioni e vantaggi per l’uso dei servizi essenziali. Le scuole materne sono gratuite e il sistema fiscale per le famiglie è notevolmente addolcito.

 

LE BEST PRACTICE NEI PAESI EUROPEI


Non solo Francia, ma anche Germania e Portogallo spingono sulla natalità come volano per lo sviluppo economico. Qualche anno fa anche la Cancelliera Merkel ha dato il via ad una rivoluzione vera e propria, istituendo il diritto a un posto in asilo ad ogni bambino che vive in Germania, ma anche introducendo il contributo di 184 euro al mese di Kindergeld (per i primi due bambini, che diventano a 190 e 215 per i successivi nati). Poi ci sono i congedi parentali flessibili: 24 mesi di assenza retribuiti fino all’ottavo anno di età o assegni speciali per il lavoro part time.

Il Portogallo ha da poco istutito per legge la possibilità per i comuni di abbassare le tasse sulla casa in base al numero di figli. Questo per ché è ovvio che le famiglie numerose debbano acquistare case più grandi in relazione al numero di figli. In altri stati, come l’Italia, vengono invece penalizzati per questo.

Anche se in uscita dall’Ue, la Gran Bretagna è un altro esempio virtuoso e “generoso” in Europa. Qui i vantaggi sono maggiormente standardizzati, come il Child Benefit : 20,70 sterline settimanali per il primo figlio e altre 13,70 per i successivi. Normalmente dura fino ai 16 anni di età, ma se il giovane decide di studiare il tempo limite si allunga fino a 20 anni! Poi ci sono i crediti di imposta in base al reddito (fino a 122 sterline a settimana per il primo figlio, poi 210 con due), i voucher per l’infanzia (55 sterline a settimana in base al reddito) e una sovvenzione per la scuola pubblica (155 sterline a settimana fino a 15 anni, che diventano 266,15 per i figli seguenti). Infine l’indennità per la maternità (maternity allowance), grazie alla quale le neo-mamme ricevono 139,58 sterline a settimana per 39 settimane. Tradotto, fare due figli porta nelle casse familiari circa 2.800 sterline al mese, più di 3.000 euro.

A farla da padroni sulle politiche per la famiglia sono però quelli del nord Europa: la Finlandia investe il 32% del PIL al sociale, compresa la ormai famosissima “baby box” (una scatola piena di vestiti, coperte, calzini, pannolini in stoffa e lenzuola che aiutano la famiglia nei primi giorni di vita del bimbo) e gli assegni per i bebè, che durano fino ai 17 anni di età e aumentano all’aumentare del numero dei figli. Sono 104 euro alla prima gravidanza, 115 per la seconda e 146 per il terzo nuovo nato e via crescendo. Se il genitore è da solo, si aggiunge un bonus forfettario di 48 euro al mese per ogni bambino.

Infine, dieci mesi di maternità retribuita e assegni giornalieri per l’assistenza ai figli (24 euro è il minimo). Un bell’assegno anche in Olanda: da 0 a 5 anni si ha diritto a 191,65 euro al mese, da 6 a 11 anni si sale a 232,71 euro al mese fino ad arrivare alla maggiore età con 273,78 euro al mese. C’è poi un bonus a seconda del reddito, del tipo di famiglia e del numero dei figli, a cui si aggiunge un ulteriore somma solo per l’assistenza ai bambini, a seconda del numero di ore lavorate dai genitori e dal reddito lordo percepito.

 

SAN MARINO: DETRAZIONI E ASSEGNI FAMILIARI


Il principale strumento previsto dall’ordinamento sammarinese è l’assegno familiare. Dal 2009 si è passati da 66 a 69,50 euro per la prima persona a carico; da 86 a 90,50 euro per la seconda persona a carico, da 107 a 112,50 euro per la terza; da 127 a 133,50 per la quarta; da 153 a 160,50 per la quinta e successive.

E’ previsto un ulteriore assegno famigliare, definito integrativo, per le fasce di reddito più deboli.

L’altro strumento in vigore è la detrazione fiscale per i carichi familiari , che va dai 250 euro per il coniuge e i figli a carico, 125 euro per ogni altro familiare, con un 20% in più se a carico sono più di 3 persone. Un “contributo” statale in pratica, che seppur indiretto, incide direttamente sul reddito dei capi famiglia, ma che per essere massimo, impone che uno dei due coniugi sia “a carico” dell’altro e che, quindi, non lavori.

 

LAVORO E DISOCCUPAZIONE FEMMINILE

 

Se la lotta alla disoccupazione è una priorità, allora occorre andare a vedere chi sono i disoccupati di oggi. E non è un caso se a San Marino – come in tanti altri Paesi occidentali – la maggior parte sono donne. Non c’è una distinzione statistica, ma molte probabilmente sono madri e il lavoro diventa una scelta, non tanto una possibilità che non c’è. Lavorare o accudire i figli? La risposta spesso (purtroppo?) è economica, perché inerente la sfera lavorativa e reddituale: “Dipende cosa conviene” è quella che va per la maggiore. Il caso principe è quello di una lavoratrice dipendente, per la quale si devono attivare gli strumenti come i congedi parentali, i permessi, la trasformazione dei contratti full time in part time. Tutti strumenti presenti a San Marino, ma che se rapportati a Paesi più moderni, palesano un gap importante. E questo finisce inevitabilmente con il tenere le madri fuori dal mercato del lavoro, ovvero un occupato in meno e tutte le conseguenze del caso. Tralasciando che oltre agli strumenti di legge o contrattuali, le necessità sono molteplici: il pediatra, l’asilo, la baby sitter, il negozio specializzato eccetera. A ben guardare è anche un notevole business, un indotto importante quello generato dai bebè. Ma se non ci sono bambini, non c’è nemmeno il business.

 

SISTEMA COMPETITIVO E PIÙ “PRODUTTIVO”


Le parole che gli imprenditori usano più spesso sono “competitività” e “produttività” e, anche se indirettamente, le politiche per la famiglia possono dare concretezza a entrambe. Il sistema sammarinese, con la sua sanità universale e l’aspettativa di vita tra le più alte al mondo, è già di per sé molto attrattivo, ma se si entra nel merito della famiglia, il discorso cambia. Rispetto a tanti altri Paesi (come si è visto, dalla Francia alla Danimarca, per citarne due) le differenze sono enormi e probabilmente c’è anche questa tra le motivazioni che spingono i lavoratori a scegliere quei paesi e non altri. Ridurre questo gap può rendere il sistema San Marino più competitivo. Inoltre, un welfare che accompagni i sammarinesi fin dalla nascita e non sia incentrato (anche come spesa annuale) principalmente sulla sanità e le pensioni, renderebbe le famiglie (madre e padre) più “felici”, e quindi in grado di tradurre questa rinnovata serenità in produttività sul lavoro. Ma anche di essere più flessibili, come le imprese chiedono oggi, e non vincolati ai ritmi tradizionali dei loro figli: asilo, scuola, palestra, dottore, eccetera. Senza considerare i “furbi”, che non avrebbero più motivo di fare assenze dal lavoro nascondendo gli impegni familiari magari dietro raffreddori e piccoli acciacchi.

 

IL VIRTUOSO TRENTINO


Le famiglie trentine stanno mediamente meglio di quelle del resto d’Italia, fanalino di coda dell’Europa in questo ambito. Nella provincia del nord, invece, possono usufruire di una fitta rete di servizi, politiche e agevolazioni e non a caso fanno più figli. E la riuscita di questo modello non dipende da una maggiore disponibilità di denaro, conseguenza dell’autonomia di cui gode il Trentino, perché di fatto è a costo zero. O comunque non a costi maggiori di altre Regioni ordinarie: semplicemente spendono meglio e hanno obiettivi che scavalcanO l’emergenza.

Da oltre un decennio, infatti, la Provincia ha messo in campo una task force, chiamata Agenzia Provinciale per la Famiglia, che risponde direttamente al Presidente, e che si è mossa esattamente al contrario di come normalmente in Italia vengono gestite le politiche familiari. Partendo, cioè, non dal disagio, dalle emergenze, dalle situazioni di povertà per cercare di metterci una pezza, bensì avendo come stella polare la promozione del benessere delle famiglie, di tutte le famiglie, e non solo di quelle che “non ce la fanno”. È quanto emerge dal “Dossier politiche familiari 2016” presentato dal dottor Luciano Malfer, direttore dell’Agenzia. Accanto ad interventi monetari, come l’assegno regionale al nucleo familiare, i contributi alle famiglie numerose, i prestiti sull’onore e numerosi altri, l’Agenzia ha messo in campo uno sforzo enorme per cercare di coinvolgere tutti gli attori del territorio – enti locali, imprese, associazioni, volontariato, cooperative, operatori turistici, ecc. – sul tema dei servizi (sia per la prima infanzia che per ragazzi e giovani), della conciliazione famiglia-lavoro, dell’accoglienza familiare, della promozione di una cultura autenticamente promozionale del valore sociale della famiglia. E a guadagnarci è anche l’impresa: nelle aziende che hanno adottato il protocollo di flessibilità a favore dei ritmi familiari per il proprio personale proposto dall’Agenzia, sono calate le ore di straordinario e le giornate di assenza per malattia, con grande beneficio per le aziende stesse. Investire in favore delle famiglie non significa solo prevedere aiuti economici, ma anche mettere in campo strumenti per rafforzare le relazioni tra le persone e il benessere sociale nel territorio. E, si è visto, ci guadagnano tutti.

 

ECONOMISTI A CONFRONTO


Cambiano i modelli economici, cambiano anche le tesi degli economisti. Se Gary Becker, premio Nobel per l’economia nel 1992, teorizzò la famiglia come “piccola fabbrica”, cosicché tutte le scelte legate a una coppia, dal matrimonio ai figli al divorzio, hanno una chiave di lettura dal punto di vista economico, oggi occorre introdurre la specificità delle relazioni familiari, il lavoro non retribuito (beni e servizi realizzati in casa), la produzione di capitale sociale, di reputazione e di fiducia. Quindi uscire dalla logica entrate/uscite, troppo “limitativa” spieGa Lubomír Mlčoc nel suo saggio: “Family Economics. Come la famiglia può salvare il cuore dell’economia”. “Quando i Paesi si avvitano su quanto destinare al sostegno della famiglia”, scriveva qualche tempo fa Francesco Antonioli sul suo blog del Sole 24 Ore nel parlare del libro, “che nelle nazioni sviluppate, tra politiche dirette e indirette, può variare tra l’1% e il 4% del Pil, ci si concentra sulla produzione della ricchezza, su come far ripartire l’economia e la produzione industriale, ma molto meno, per non dire mai, sul debito demografico e sul deprezzamento di capitale umano dovuto alla bassa fertilità”. “Non è facile trovare una soluzione a questi debiti”, gli risponde Mlčoc nel suo libro, “perché la logica dei cicli economici costringe i governi a concentrarsi su priorità di breve termine e sul debito esplicito. La soluzione ai debiti demografici e finanziari impliciti viene ovviamente rimandata. Così, in forza di questa logica, si può arrivare a sostenere che la spesa pubblica per le politiche familiari e per la natalità deve essere ridotta. La politica è l’arte di trasformare i seri problemi di oggi in problemi ancora più seri per il futuro” chiosa l’economista.

“Davvero è così”, riprende la parola Antonioli sul suo blog: “La famiglia non brucia ricchezza pubblica, ma ne genera. Non solo Industria 4.0 – mi verrebbe da dire -, ma Famiglia 4.0 (anche se in Italia bisognerebbe fare quattro rivoluzioni in un colpo solo)”.

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