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William Turner, colore e acqua per catturare la luce

da Redazione

La colse anche là dove sembrava che regnasse il caos. Perché, disse, “è Dio”. Al grande pittore inglese interessava la sostanza e non il contenitore.

 

di Simona Bisacchi Pironi

 

Colore e acqua, per catturare la luce. L’acquerello nasce così. Nasce da William Turner (1775 – 1851), che si innamora della luce, di come cade sull’acqua e sui ponti, e comincia a dipingere paesaggi, e a viaggiare, per catturare ciò che non si può toccare ma illumina il mondo. Il pittore inglese, precursore dell’impressionismo, “andò alle cascate per i colori dell’iride, guardò all’esplosione per le sue fiamme, chiese al mare l’azzurro più intenso e al cielo l’oro più puro”, come scrisse il critico inglese John Ruskin.

Inseguì la luce per tutta la vita. Cercò di coglierne le sfumature e gli umori, quasi fosse un’amica accanto a lui. Colse la sua delicatezza alla foce del Canal Grande di Venezia. La sua intensità bruciante nell’eruzione del Vesuvio. Riuscì ad afferrarla anche nella notte in mare dei pescatori.

Tutta la vita a esplorarla. A cercare di mostrarla e rappresentarla. Tanto che nelle ultime opere non si vedevano più i contorni della natura e delle creazioni dell’uomo, ma la luce era il confine e la forma. La luce era l’essenza e il perimetro. Come se le onde, gli alberi e perfino le persone non meritassero di essere rappresentate per come apparivano. Il loro valore, la loro bellezza, non era nella conformazione, nei lineamenti. Il loro valore, ciò per cui valeva la pena dipingerli, era la luce che irradiavano.

A Turner non interessava più il contenitore. A Turner interessava la sostanza. Quella vita che sprigionava la sua forza al di là delle figure. E anche al di là dell’armonia.

In un suo dipinto, “Tempesta di neve” (1842), una nave è sorpresa in mare da una possente bufera. La tempesta sembra una spirale, un vortice destinato ad inghiottire l’imbarcazione. Eppure, anche nel caos, l’occhio segue la luce: la vela bianca, un cielo che non dimentica il suo celeste e, tra il buio delle onde, lo sprigiona.

Turner insegue la luce, cogliendola anche in situazioni estreme, in armonie interrotte da incendi e tumulti. La coglie anche là dove sembra che regni il caos.

La luce c’è.

È bellissima e splendente nel mattino dopo il diluvio.

È un metro di misura nella bufera di neve che sorprende Annibale e il suo esercito mentre attraversano le Alpi: la luce si irradia dal cielo, dalle montagne, dalla bufera e gli uomini – per quanto gloriosi e forti – sono puntini inginocchiati davanti alla sua potenza.

Tutta la vita a seguirla, quella luce, per poi trovarla dappertutto.

E dichiarare, sul letto di morte, che “La luce è Dio”.

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