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Sant’Antonio Abate, il protettore degli animali (17 gennaio)

da Redazione

Consorzio Terra di San Marino, la coperta con le sue effigie, i ricordi di Romano Francioni con la “streggia”.

CTSM Romano Francioni

 

Lo hanno raffigurato Maestri indiscussi dell’arte moderna e contemporanea – ricordiamo, su tutti, Cézanne, Ernst e Dalì – ma anche le persone più umili, i contadini che, sempre attenti al calendario dei Santi (e alle loro benedizioni), attraverso strumenti rudimentali ma efficaci, lo hanno stampato su alcuni teli. Parliamo di Sant’Antonio Abate (17 gennaio), conosciuto principalmente come il protettore degli animali e di tutti i mestieri strettamente correlati e che anche in Repubblica veniva ricordato. Il punto di partenza di questo “viaggio” inizia all’interno della Casa di Fabbrica, la sede del Consorzio Terra di San Marino. Al primo piano è esposta una coperta di tela (ma venivano impiegati anche il lino o la canapa e venivano prodotte artigianalmente nelle case dei contadine con telai che si tramandavano di madre in figlia), stampata con la ruggine e che veniva appoggiata sul dorso dei buoi. L’effigie di San’Antonio Abate, una presenza pressoché costante anche nelle stalle della Repubblica, fu tra i primi motivi a essere riprodotti.

Ai piedi del Titano, in Strada del Maiano, incontriamo dapprima le sue stalle e poi, con un sorriso, ci viene incontro Romano Francioni. Romano ha circa 60 capi e la ricorrenza di Sant’Antonio Abate la conosce bene. Ma prima di parlare assieme a lui della “festa del 17 gennaio”, qualche domanda sulla scelta di vita che ha fatto. “Per fare questo mestiere ci vuole passione. La mattina mi alzo verso le 6-6.30 e poi si lavora finché c’è luce, spesso anche più tardi. In questo periodo dell’anno mi sto dedicando alla potatura degli ulivi”. Il suo sguardo però è diretto verso le stalle. “Quando piove, l’impegno di sposta verso il chiuso. Nelle stalle c’è sempre da fare: vanno sistemati gli oggetti che servono per lavorare, oppure preparare i cereali per il mangiare degli animali”. Siamo a cavallo del 17 gennaio, e non possiamo non parlare di Sant’Antonio Abate. Oltre alla coperta, il 17 gennaio era il giorno di festa dei buoi e “le attenzioni” non si fermavano al “vestito”, anzi. “Ricordo ancora le parole e la voce di mia mamma che mi diceva: ‘Romano, vai a spazzolare i buoi’. Il 17 gennaio era per loro una specie di quello che oggi potremmo chiamare ‘beauty farm’ o ‘giornata in una Spa’. Io quindi le andavo a ‘streggiare’ (forse esiste una parola in italiano, ma in dialetto è più efficace; del resto, come scrisse il grande poeta Nino Pedretti, ‘A differenza dell’italiano, arrotolato nei codici, levigato ed illustre, il fratello umile, il dialetto, è vissuto all’aperto come un’erba selvatica, bagnato dalla pioggia dei secoli e come un’erba pertinace di gramigna, si è arrampicato sui monti, si è addentrato nei minimi villaggi, ha coperto ogni metro di terra dove viveva la gente comune del lavoro e dei sacrifici’, ndr). Prendevo la ‘streggia’, una specie di ‘spazzola’ in ferro, e le pettinavo”. Romano si ferma un momento e riprende in mano la sua “streggia”. “In origine aveva un manico corto, così l’abbiamo ‘corretta’ e allungata per poter arrivare con più facilità in alcuni punti della schiena dei buoi. La ‘spazzola’ è formata da piccole lamelle in ferro: una ‘grattatina’ a loro dà molto sollievo, specie se viene fatta lì dove non ci arrivano con la lingua. Una volta i buoi venivano trattati come oggi si tratta un cane o un gatto: con grande attenzione, anche perché erano tenuti in grande considerazione visto che erano fonte di vita”.

Romano guarda i prati. “In occasione di Sant’Antonio Abate, il prete si recava nelle stalle a benedire gli animali”. E gli animali, quel giorno, mettevano “il vestito buono, quella da festa”. La loro, il 17 gennaio.

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