Home FixingFixing “Storia dei Castelli”, Città: l’ultima perla della collana

“Storia dei Castelli”, Città: l’ultima perla della collana

da Redazione

La “Local history” firmata da Ente Cassa di Faetano, BSM e Leasing Sammarinese. Il 20 dicembre alle 21 al Centro Congressi Kursaal la presentazione del prezioso volume.

 

di Alessandro Carli

 

Lo skyline del Monte Titano sin dal Seicento ha catturato l’interesse degli studiosi: le incisioni dell’atlante di Giovanni Blaeu (1663) sono pagine di grande importanza, che aiutano a comprendere il mito e la fama del Monte. Non da meno le attenzioni che Deodat de Dolomieu, il grande geologo francese che ha scoperto le Dolomiti, ha dedicato a San Marino, così come quelle di Giuseppe Scarabelli. A partire dal viaggio in Italia di J. Addison nei primi anni del ‘700, non pochi sono i viaggiatori europei del Grand tour che salgono sino a San Marino e lasciano le loro impressioni.

Con “Città” – che verrà presentato ai cittadini il 20 dicembre alle 21 all’interno del Centro Congressi Kursaal – si conclude “Storia dei Castelli della Repubblica di San Marino”, il grande percorso e il grande impegno di Ente Cassa di Faetano, Banca di San Marino e Leasing Sammarinese per far riscoprire, attraverso l’approccio della Local History, le caratteristiche delle nove unità amministrative che “formano” ancora oggi la Repubblica.

La storia di Città è in larghissima misura la storia dello Stato. Un autentico “Combarbio”, come scrive il curatore della collana Girolamo Allegretti quando parla di Piazzetta del Titano, quindi un “incrocio di strade”. Strade storiche, naturalmente, ma anche strade architettoniche, geomorfologiche (Cristiano Guerra e Conrad Mularoni ricordano che “i confini territoriali del castello partono da una quota minima di 180 m slm del torrente San Marino sino alla quota massima del monte Titano con i suoi 739 m”), politiche e di “vita quotidiana”.

E’ ancora il curatore della collana a fare una preziosa premessa per capire Città: “Un castello costruito in verticale non può non aver problemi di viabilità interna man mano che l’edificato s’infittisce e più stringe vie vicoli e gradinate, e che s’intensificano i trasporti in relazione a economie in espansione”.

Un castello, quello di Città, che sino due secoli fa è stato “ignorato” da Rimini: Allegretti annota che nel 1800 “San Marino gravitò sempre su Urbino, e, con l’avvento dei Della Rovere, su Pesaro”.

Ma sono i palazzi e le strade, oltre alle Tre Torri, a “raccontare” la vita. E lo fanno attraverso i nomi delle famiglie, le parole utilizzate dai cittadini e dai contadini per definire un oggetto, la toponomastica, una compravendita, un “problema” pratico. E’ del 1317 per esempio la rubrica degli Statuti che vieta di “ingombrare plateas castri” con mucchi di legna, pietra o letame. Un documento che fa capire per “piazza” si deve intendere “a porta castri usque ad domum de Calcignis”.

Dunque piazza erano tutte le vie del castello. Nell’accezione odierna invece “piazza” significa altro. E a Città le piazze sono essenzialmente due: il Pianello e Piazzetta del Titano che, come abbiamo ricordato, un tempo si chiamava “Combarbio”, ovvero “incrocio di strade”. La realizzazione del Pianello, spiega Allegretti, “è la magnifica impresa dei sammarinesi, una delle loro grandi imprese collettive, al pari della costruzione delle rocche e della realizzazione delle cinte murarie”. Ma anche Palazzo Pubblico fu opera ardita e oggetto di innumerevoli interventi che il volume recupera con dovizia. L’edificio si erge dove un tempo sorgeva la Domus Magna Comunis, ossia il vecchio palazzo. Ma solo sul finire dell’800, com’è noto, che si decise di abbatterlo e di costruire l’attuale. Il nuovo Palazzo Pubblico fu costruito tra gli anni 1884 e 1894 su progetto dell’architetto Francesco Azzurri. Se la storia del Palazzo poi ristrutturato da Gae Aulenti negli anni Novanta del 1900 è nota, poco si sapeva sulla popolazione che “abitava” la Capitale. Uomini e donne, ma non solo. “Di animali, in città, ce ne sono parecchi, di igiene poca” si legge. Capre ma non solo. Nel 1575 si proibisce di “tenere le pecore drento la terra di San Marino”. Circa 30 anni più tardi (1604) viene pubblicato un bando proibitivo reggenziale: “che nessuno potessi tenere li porci per le strade maestre dentro la terra, o ligati o sciolti”. Tutti “ammonimenti” che non vennero ascoltati dalla popolazione.

Ma è il paragrafo intitolato “L’eredità di mastro Orazio” che aiuta i lettori a capire meglio quali erano le “ricchezze” dei cittadini. Nel 1615 muore Orazio Giangi e gli otto figli ereditano un enorme patrimonio: oltre alla grande casa di Tessano, una cantina e una casa-bottega in Borgo, vari terreni a Ca’ Giangio, due molini a Canepa, un grosso podere con casa colonica al Casone di Chiesanuova, altro simile a Ca’ Martino di Acquaviva, più 5 vigne con olivi e una “casetta” in corte di Serravalle. La base agricola è solida: la dotazione complessiva di bestiame dei tre poderi consiste in un paio di vacche e uno di manzi, due mule e un’asina, 29 pecore, 2 scrofe, 9 serbatori, 2 buzzi d’ape: ragguardevole (soprattutto per i capi da lavoro) in relazione alle misere consistenze di queste campagne all’epoca”.

Ricchi, i fratelli Giangi: ma della ricchezza dei sammarinesi d’un tempo, quantitativamente modesta se comparata alle ricchezze fuori confine, ma soprattutto aliena da esibizioni: “Il sammarinese che ama la patria – e a San Marino tutti le professano ardente amore – deve evitare di farsi credere ricco pena la vanificazione del topos diplomatico e avvocatesco del ‘noi siamo piccoli e poveri’. Una ricchezza povera che, sottolinea Allegretti, “rifiuta lo sfarzo, le mollezze, le frascherie dell’arte”.

Ma Città è anche altro: il “villino Bonelli” (“Una casupola che incorpora un sogno, l’ostrica deforme che include la perla”), i conventi e monasteri e la “Satira dei 5 B”. Siamo nel 1853 e, scrive Verter Casali, “Il paese si riempì di ‘libelli’ polemici verso i governanti, cioè documenti che anonimamente sparavano a zero sui membri della locale oligarchia, o che, come le pasquinate romane, li deridevano e li minacciavano”. Ed è lo stesso Casali a recuperare il testo, del quale riportiamo il bellissimo incipit: “Questa è la terra libera / Ara d’un popol santo? / Questa, che l’amor tenero / di cittadin pur vanta? / No: di locuste e puzzole / di volpi e di faine / brigante è una combriccola / d’inganni e di rapine”.

Città è anche “Una meteora di nome Olinto”, “il Collegio Belluzzi”, il teatro Titano e il cinema-teatro Turismo e luogo di storia e creatività. E’ del 1991 “Provoc’Arte. Artegiovane IV edizione”, ideata da Rita Canarezza e Marco Mussoni. “Nell’ex galleria ferroviaria il Montale venne esposto un progetto dal titolo ‘Via Crucis’, di cui faceva parte un’opera di Maurizio Cattelan, oggi uno dei più influenti artisti al mondo. Tale opera, che consiste nella firma dello stesso Cattelan, è contraddistinta da tre ‘T’ che, da un lato, ricordano le tre torri, dall’altro alludono al monte Golgota. Il simbolismo dell’opera si intreccia, così, a quello della galleria stessa, rifugio salvifico per gli sfollati della seconda guerra mondiale” scrive Martina Bollini.

Città è la capitale. E’ un capitale. Di storia, cultura, personaggi, edifici. Tutti raccolti e raccontati nell’ultimo volume della collana. Una perla.

 

LA MOSTRA

 

Mostra “bonsai” per durata ma non per valore artistico. In occasione della presentazione del nono volume della “Storia dei Castelli della Repubblica di San Marino” verranno esposte – solo per la serata del 20 dicembre – tutte le opere originali che hanno impreziosito le copertine della collana disegnate, negli anni, da Tullio Pericoli, Luca Alinari, Marcello Jori, Tonino Guerra, Ubaldo Bartolini, Antonio Possenti, Gianluigi Toccafondo, Lorenzo Mattotti e Valerio Adami. L’artista della copertina di Città, Valerio Adami (Bologna, 17 marzo 1935), dopo una prima fase “espressionista” influenzata dall’opera di Francis Bacon e poi da una pittura astratto – gestuale, si è avvicinato ai moduli della Pop Art americana e in particolare di Roy Lichtenstein, sviluppando una sorta di racconto a fumetti fantastico e ironico dove in interni spersonalizzati si dispongono oggetti banali, assunti come simboli, anche sessuali, della modernità. Lo stile si distingue nell’uso di una materia cromatica in stesure piatte, lisce e continue, dentro le nette recinzioni nere del disegno.

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