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CSCMP, Massimo Merlino nella “Hall of Fame”

da Redazione

Premiato per il suo “contributo al pensiero e all’azione logica”. Il Presidente di Banca CIS: “Oggi vince chi sa gestire la supply chain”.

Banca CIS Merlino

 

di Alessandro Carli

 

Non c’è “fisicamente” l’impronta della sua mano ma nella “Hall of Fame” del CSCMP (il Council Of Supply Chain Management Professionals, ndr) il suo nome appare vicino a quello di Jeffrey Preston Bezos, imprenditore statunitense e fondatore di Amazon.com, la più grande società di commercio elettronico al mondo. Il 27 ottobre il Chapter italiano dell’Associazione CSCMP – riunitasi in un Convegno sulla Digitalizzazione della Supply Chain ospitato a Milano– ha conferito all’ingegner Massimo Merlino, Presidente di Banca CIS nella Repubblica di San Marino, il prestigioso riconoscimento.

Intitolato a Henry Ford (il primo promotore del management scientifico, ndr), viene assegnato ai professionisti che nel tempo si sono contraddistinti per il loro prezioso “contribuito al pensiero e all’azione logistica”.

Le motivazioni ripercorrono l’impegno messo in campo dall’ingegnere tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Dopo sette anni di modellistica matematica di ottimizzazione nelle principali raffinerie di petrolio italiane (per il gruppo ENI è stato autore del modello RITA dell’intera raffinazione italiana nel 1973), nel 1976, più o meno due anni dopo la pubblicazione del libro “Business Logistic” di Jim Heskett, Massimo Merlino fonda la Praxis Management, prima società di consulenza in logistica che raggiungerà in pochi anni una quindicina di professionisti. Ha poi partecipato al primo progetto di Logistica in Fiat Auto curato da McKinsey, attuando la formazione di 3.000 quadri e dirigenti presso l’Isvor e successivamente ha operato nel Gruppo Zanussi per altri 6 anni in svariati progetti di produzione e logistica. Nel 1982 ha inoltre fondato per la casa editrice Ritman la rivista “Logistica di Impresa”, che ha diretto sino al dicembre scorso per 35 anni. Un gran numero dei suoi articoli sono raccolti nel libro ‘Percorsi di Cambiamento’ del 2010.

 

Professore, prendiamo come spunto il titolo del suo libro. Dove sta andando il mondo?

 

“In alcuni settori specifici sta andando, lì dove non è già arrivato, verso la robotizzazione. Ne è un esempio Alibaba, l’equivalente cinese di Amazon, che ha progressivamente robotizzato di processi produttivi: oggi molti compiti vengono svolti da macchinari. Lo stesso comparto dell’automotive – mi riferisco alla guida automatica, che di fatto cambierà il modo di vivere – e quello della medicina vedranno sempre più la presenza di robot al posto delle persone. Io credo che la grande separazione tra i Paesi sia non tanto tra ricchezza e povertà, bensì tra tecnologia e non tecnologia. Rispetto al passato è cambiata la velocità del cambiamento. Perdere di vista la velocità e lo sviluppo possono essere penalizzanti”.

 

Il mondo delle imprese è profondamente cambiato.

 

“Nel tempo è cambiato l’ambiente in cui operano le imprese ma anche l’organizzazione dell’azienda: oggi si deve ragionare in un’ottica di ‘filiera’ e non più di singole unità. Mi spiego: occorre coinvolgere anche la rete di imprese che opera a monte e a valle nei processi e nelle attività che producono valore sia per quel che concerne i prodotti che i servizi. Una diffusione capillare della conoscenza che arrivi a tutti i settori e non sia più centralizzata ha ricadute molto positive. Per crescere serve un’unità di intenti e non una divaricazione di sforzi. Crescere insieme quindi per far crescere il business. All’interno di un network, lo ricordo, si genera quel processo virtuoso chiamato ‘scambio di valore’ e che permette di migliorare le prestazioni di lungo periodo dell’intera catena: l’azienda centrale, i fornitori e i clienti”.

 

E’ cambiato il contesto: non più un mercato “locale” ma di respiro mondiale. E alcuni Paesi europei sembrano arrancare…

 

“L’Italia, San Marino e un po’ tutto il sud Europa hanno una ‘formazione culturale’ e imprenditoriale – ma anche un sistema scolastico-educativo – non al passo con i tempi, o perlomeno, più arretrato rispetto ad altri Paesi. Per quel che concerne San Marino, credo che debba essere messa in campo – sia in un’ottica di Paese che di sistema di imprese – una nuova forma mentis: in una prospettiva di catena globale, rimanere chiusi non è una scelta vincente”.

 

Qual è la strada per recuperare il terreno perduto?

 

“Davanti a un mercato aperto occorre un atteggiamento di ‘apertura’: il futuro è appannaggio dei migliori. Nell’epoca della globalizzazione vince chi saprà gestire la supply chain”.

 

Una sfida che vede penalizzati i piccoli Stati…

 

“Non direi, anzi. I piccoli Stati – piccoli se rapportati agli Stati Uniti d’America o alla Russia – che hanno saputo cavalcare la globalizzazione sono riusciti a ritagliarsi una posizione di grande forza. Esempio ne è l’Estonia nell’informatica – è lì che è stato messo a punto Skype – oppure la Polonia. La Repubblica di San Marino è, per dimensioni, una piccola realtà e potrebbe avere meccanismi decisionali veloci che permetterebbero un salto imprenditoriale davvero notevole”.

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