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Visto per voi a teatro: “Suzanne” de “Le città invisibili”

da Redazione

Al di là di alcune derive, lo spettacolo, piuttosto applaudito dal pubblico, lascia spazio a una manciata di domande.

 

di Alessandro Carli

 

RIMINI – Forte di un paio di prestigiosi riconoscimenti – è stato vincitore ex-aequo del “Premio Borsa teatrale Anna Pancirolli 2016” e finalista al “Bando Game3” del Teatro Stabile delle Marche -, mercoledì 8 novembre lo spettacolo “Suzanne” – prima produzione de Le città invisibili – è approdato al Teatro degli Atti di Rimini. Lavoro denso, misurato nel tempo (un’ora circa) e ben messo in scena, “Suzanne” (che vede la regia di Cesar Brie) è ambientato in Francia a cavallo della Prima Guerra Mondiale: un ragazzo alcolizzato, Paul, decide di disertare il conflitto e per non farsi beccare chiede aiuto alla moglie, Louise. Paul si traveste da donna, Suzanne appunto. Un gioco nato per una necessità che poi, pirandellianamente, diventa identità: la maschera gli si appiccica addosso e solo la morte lo libera dalla condanna.

Al di là di alcune derive – non tanto nell’interpretazione di Tamara Balducci (vocalmente preparata e abile a “tenere” i personaggi) ma soprattutto in quelle di Linda Gennari (un po’ troppo “fiction style”) e di Giacomo Ferraù (in alcuni quadri da donna scivola nella macchietta) -, lo spettacolo, piuttosto applaudito dal pubblico, lascia spazio a una manciata di domande: si fa teatro per se stessi o per il pubblico? Si fa teatro per raccontare una storia che ci appartiene oppure si mette in scena un testo che può piacere alla platea?

“Suzanne” è un lavoro tecnicamente interessante, una bella prova d’attore, ma forse manca di un’anima. Il dubbio è che la distanza temporale (100 anni tra i fatti raccontati e la data della messa in scena, il 2017) e il background dei tre artisti riducano il testo – comunque bello – a una “rappresentazione” e non invece a una storia credibile.

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