Home FixingFixing Repubblica di San Marino, “Ritratto / Autoritratto” di Elvis

Repubblica di San Marino, “Ritratto / Autoritratto” di Elvis

da Redazione

Di cognome fa Spadoni e presenta le sue opere al Museo San Francesco. Quattro le sezioni presenti: “Io”, “Io e…”, Io e il mito” e “Io e Cristo” e 20 opere che sono “luoghi d’intensa rivelazione del sé”.

Elvis Spadoni

 

di Alessandro Carli

 

“Io se fossi Dio” è un disco bizzarro che è uscito proprio all’inizio degli anni Ottanta e che porta la firma di Giorgio Gaber: un long playing di cui pochi ne hanno mai parlato (e tuttora la critica è restia a dedicargli una recensione) perché “ritraeva” la Milano da bere, gli anni del craxismo che dominava in lungo e in largo, l’Italia che – metafora ma anche no – andava a puttane. Che fa Giorgio Gaber? Si “erge” – ma solo sul vinile – a Dio naturalmente. Si fa, né più né meno, un autoritratto e, indossando una “barba bianca” vola, come quei suoi “ipotetici gabbiani”, tra i difetti degli umarèl italici, convinti di potere. Convinti dal potere del Dio denaro.

Ci sono i “confronti allo specchio” ma c’è anche, sotteso, il rapporto con Dio nella vita di Elvis Spadoni (ha studiato teologia dal 1998 al 2007 poi ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Urbino dal 2007 al 2012 in indirizzo pittura; nel 2011 ha vinto la borsa di studio “Zeffirelli scholarship fund for the arts” di New York e il Premio Nazionale delle Arti per la sezione pittura) e successivamente nella sua produzione artistica di Elvis Spadoni, “ospitata” nelle sale del Museo San Francesco. “Ritratto/Autoritratto” – questo il titolo della mostra ideata dagli Istituti Culturali e patrocinata dalla Segreteria di Stato alla Cultura – è suddivisa in quattro sezioni (“Io”, “Io e …”, “Io e il mito” e “Io e Cristo”) per un totale di 20 opere, e rimarrà aperta sino all’8 dicembre.

Preziose per entrare nel cuore dell’arte di Spadoni, le parole di Padre Francesco Maria Acquabona: “Il titolo gioca sull’omissione di una congiunzione che avrebbe indotto a pensare a due serie distinte di dipinti; invece la semplice contiguità di termini lascia aperto uno spazio d’interpretazione utile a significare la funzione conoscitiva dell’autoritratto che, superata la dimensione ristretta dell’autocoscienza, si apre all’intelligenza di una realtà più vasta”.

Nessuna invettiva, a differenza di Gaber, ma più semplicemente (?) un costante dialogo, riflesso, tra l’individuo “io” (ovvero le due vocali che “iniziano” e “finiscono” la parola “individuo”) e il circostante.

Autoritratti quindi, ma visti come “luoghi d’intensa rivelazione di sé, del mondo e del divino” in cui si trovano collegamenti con dipinti di Raffaello, interazioni con i Poeti maledetti, e un filo sottile che riconduce il pittore alla Divina Commedia di Dante”.

Elvis Spadoni, scrive il Direttore degli Istituti Culturali Paolo Rondelli, “si ritrae, divenendo però qualcosa di più di un autoritratto pittorico. La sua figura lavora sull’introspezione, potrebbe essere quella di ognuno di noi fissata su un supporto, tela, tavola, intonaco che sia, potremmo essere noi che ci ascoltiamo e torniamo a dare importanza a ciò che conta: noi stessi. In alcune opere il volto dell’autore si mescola con il rappresentare altri personaggi, ci devia, ci crea apparente confusione in un percorso di spiritualità, ma in realtà questi uomini santi o prodi sono specchi per conoscersi, per invitarci ad addivenire a un altro piano di riflessione, a fare un ulteriore passo nel proprio cammino di crescita interiore tenendo ben presenti le tentazioni del narcisismo e dell’autocelebrazione”.

Parole che si intersecano con quelle dello stesso artista romagnolo che, praticando l’autoritratto nella pittura, è capace di “pennellare” anche parole. “Il quadro, nel tentativo di riprodurre la realtà, appare così totalmente leggibile ed è a questa facile e felice decifrazione dei suoi elementi, piuttosto che al puro piacere estetico della forma, che affido la mia intuizione creativa. Come nella prosa infatti, il significato non appartiene alla forza intrinseca delle singole parole e alla loro composizione ma al loro ordine, alla loro consequenzialità, alla loro razionalità nel comporre una frase, un brano, un racconto. Non è dunque sul testo pittorico che pongo l’accento ma sull’immagine interiore e simbolica che esso genera in chi lo ‘legge’. Alla universalità a cui il linguaggio pittorico del realismo si offre si contrappone, nel mio lavoro, la riduzione di ogni tema alla mia propria singola persona tramite l’uso sistematico dell’autoritratto, quasi che solo su ciò che mi coinvolge personalmente io possa avere diritto di parola e intravvedervi un significato, come se solo attraverso uno stretto pertugio che ha le mie sembianze e che in queste tutto trasforma sia possibile varcare una soglia altrimenti chiusa. Così, nei dipinti imbevuti del mio protagonismo e divenuti mio palcoscenico, come una sorta di Minotauro camaleontico io vi appaio: un ibrido e variopinto incrocio di carne e di mondo”.

Del resto, come scrisse Paolo VI nel “Discorso agli artisti”, bisogna entrare “nella cella interiore di se stessi e dare al momento religioso, artisticamente vissuto, ciò che qui si esprime: una personalità, una voce cavata proprio dal profondo dell’animo, una forma che si distingue da ogni travestimento di palcoscenico, di rappresentazione puramente esteriore”.

E la risposta di Elvis non si è fatta attendere: “Cerco di fare il pittore. Grazie, direi che è tutto”.

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