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Santarcangelo Festival 2017: le recensioni degli spettacoli del primo weekend

da Redazione

Visti per voi: “The Olympic Games”, “R.OSA”, “Between Me and P.”, “Ravemachine”, “The forgetting of air”, “Club Ecosex”, “Ephemeral Islands”, “Terra bruciata. Molotov Cocktail Opera”.

 

di Alessandro Carli

 

SANTARCANGELO – La parola “anteprima” è furba e ingannevole due volte: per l’inevitabile “attrazione” che esercita sul pubblico (le cose nuove sono sempre avvolte dalla curiosità del loro disvelamento) e per il suo saper essere un’eventuale “giustificazione” di pecche, buchi, mancanza di ritmo o – e questo è l’elemento più grave – di una storia. Non smentisce questa personalissima teoria “The Olympic Games” di Marco D’Agostin & Chiara Bersani, il lavoro che ha inaugurato di fatto (il 7 e l’8 luglio al Lavatoio) l’edizione 2017 di Santarcangelo Festival, il primo diretto da Eva Neklyaeva.

Lavoro “furbo” e ruffiano nell’incipit – l’ambientazione è quella di una discoteca: sotto i cinque anelli olimpici che diventano luci strobo, un vocalist martella il pubblico con uno slogan reiterato a lungo, “Benvenuti alle olimpiadi di Santarcangelo di Romagna 2017” – che in progress, eccezion fatta per un buon frame di Chiara Bersani, attrice diversamente abile che, microfono in mano, fatica su un tapis roulant e racconta la necessità di cercare un mondo dove far durare qualcosa realmente, non porta ad alcun traguardo, né tantomeno a qualche medaglia. Per un’ora non accade proprio nulla: un’attrice (Marta Ciappina) che cammina in tondo e guarda con aria di sfida il pubblico e sembra sul punto di dire qualcosa ma poi si tira indietro, un attore (Matteo Ramponi) che balla e poi esce da una porta e va a farsi una corsetta in giro per Santarcangelo. Il pubblico assiste e saluta con qualche timido applauso: purtroppo è troppo educato per non “sfanculare” quello che ha visto.

Altra “apparente diversità” ma con risultati molto più dignitosi in “R.OSA – 10 esercizi per nuovi virtuosismi”, ospitato nella palestra dell’ITC Molari: Claudia Marsicano, corpo da lottatrice di sumo ma dotata di straordinaria leggerezza e ironia, “invita” la platea a seguirla in alcuni quadri collettivi: canto, ballo, battute. Lavoro gradevole e contagioso, che dona sorrisi.

Convincente e toccante, seppure ancora acerbo e incompiuto, “Between Me and P.” di Filippo Michelangelo Ceredi (Teatrino della Collegiata): è il rapporto “di assenza” tra due fratelli di padri diversi, Filippo e Pietro. Pietro nel 1987, all’età di 22 anni, sparisce. Filippo ha solo 5 anni. Dopo oltre 25 anni di silenzio, il “piccolo” decide di scoprire chi è (chi era) Pietro: dentro un cassetto, ritrova fotografie, ritagli di giornali, video. Materiale che gli serve per ricostruire la “figura” del fratello: anarchico, letterato, poeta e viaggiatore, ossessionato dalla guerra (oggi verrebbe definito un foreign fighters), ottimo fotografo, sensibile e depresso. Un recupero quasi filologico, ottimamente sostenuto dalla musica – Patrick Hernandez, “Born to be alive”; Pink Floyd, “Shine on You crazy Diamond” (SYD, ovviamente); Vasco Rossi, “Vivere una favola” (1987) – che riesce a donare all’attore un effetto catartico, quasi benefico.

Per un “pietrismo” indovinato, un “pietismo” (gli applausi del pubblico, forse perché si sente in colpa di essere “normale”) accompagna “Ravemachine” di Doris Uhlich all’ITC Molari. La palestra della scuola si trasforma visivamente in un ring, in una “pista” da party. Per quasi un’ora, a ritmo di tunz tunz, il disabile Michael Turinsky “dialoga” con la performer e coreografa, ballando sulle note martellanti di un tappeto sonoro che, mescolandosi al caldo, “buca” i timpani. A parte qualche quadro “a due” (soprattutto quando la scena si sposta a terra e i due giocano con le mani), un lavoro che difficilmente verrà ricordato.

Vuoto assoluto o quasi per “The forgetting of air” di Francesca Grilli (Porta Cervese): un gruppo di attori “misti” (bianchi e neri) respirano ed espirano per un’ora dentro ad alcuni megafoni colori argento mentre un vaporizzatore, posizionato al centro della scena, emette acqua nebulizzata. Non accade altro.

Solamente curioso invece “Club Ecosex” di Pony Express (Spazio Saigi). Gli spettatori vengono invitati a entrare in un Eden di profumi, a camminare nelle stanze, a odorare le piante, a vedere qualche corpo nudo passeggiare. Installazione (perché questo è) scenicamente un po’ povera: non sempre l’intenzione coincide con la sua realizzazione.

“Effetto serra” per gli spettatori che hanno assistito alla tappa “Spazio Paglierani” di “Ephemeral Islands” di Enrico Malatesta & Giovanni Lami, performance “sonora”: un’afa fastidiosa accompagna i suoni sperimentali, sicuramente ricercati ma che rimangono intrappolati nel puro estetismo uditivo.

Piacevole invece, nella sua semplicità quasi bambinesca, “Terra bruciata. Molotov Cocktail Opera” in scena allo Sferisterio: un rito arcaico, quello firmato da Markus Ohrn, quasi ancestrale, un coro di persone che intona a loop una filastrocca e lancia a turno una “pioggia” di bottiglie incendiarie. Fuoco purificatore, fuoco come uno degli archetipi degli antichi filosofi greci, capace ancora oggi di riempire gli occhi.

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