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San Marino, “Cinema di carta”: l’arte del disegno a mano

da Redazione

Le locandine dei film del Novecento “create” da grandi Maestri. In mostra al Museo Pinacoteca San Francesco dal 22 giugno al 20 agosto.

 

di Alessandro Carli

 

L’inizio della magia, Giuliano Geleng, l’ha svelato non molto tempo fa. “Mio padre Rinaldo e Federico Fellini si sono incontrati dinnanzi a un pollo che girava nella vetrina di una rosticceria. Federico, avendo compreso che nessuno dei due aveva i soldi per comprarlo, propose di mettere insieme i rispettivi averi e così poterono sfamarsi e diventarono subito amici per la pelle”. Giuliano Geleng è l’artista romano che ha dipinto tutti i quadri di scena di tutti i film del Maestro riminese: “Roma”, “I clown”, “Amarcord”, “La città delle donne”, “E la nave va”, “Prova d’orchestra” e “Casanova”. La locandina della pellicola che racconta la vita dell’avventuriero, scrittore, poeta, alchimista e diplomatico veneziano sarà una delle tante perle che impreziosiranno la mostra “Cinema di Carta”, un viaggio nei “disegni fatti a matita” (e quindi nel tempo) ospitata al Museo Pinacoteca San Francesco della Repubblica di San Marino dal 22 giugno sino al 20 agosto.

Patrocinata dalla Segreteria di Stato Istruzione e Cultura della Repubblica di San Marino, promossa dagli Istituti Culturali – Musei di Stato e organizzata da Anonima Talenti, la “collettiva” – che vedrà anche l’esposizione al pubblico di cimeli e altro materiale cartaceo – mette al centro la capacità artistica di alcuni disegnatori e soprattutto la loro capacità di declinare, con un inchino, la propria poetica creativa a servizio del cinema.

“Il cinema emoziona, fa discutere, fa immaginare mondi sconosciuti, universi alieni, rende possibili amori impossibili, porta a sognare – racconta Paolo Rondelli, Direttore degli Istituti Culturali -. Tutti noi abbiamo in mente scene che sono rimaste nella memoria collettiva: Audrey Hepburn bagnata dalla pioggia in ‘Colazione da Tiffany’, Marylin Monroe con la gonna sollevata dal passaggio della metropolitana in ‘Quando la moglie è in vacanza’, Anna Magnani falciata dal mitra in ‘Roma Città Aperta’, solo per citare qualche esempio di pellicole famose. Ma cosa c’è ancor prima di entrare nella sala cinematografica? I manifesti e le locandine che ci fanno immaginare il film e ci attirano, ci aspettano, carpiscono la nostra immaginazione e ci attirano anche adesso, ma nel passato, dove non c’era la possibilità di vedere facilmente un trailer, lo facevano ancora di più. Pezzi spesso unici perché disegnati uno ad uno, memorie di film incredibili, figura di star quando ancora Photoshop non modificava l’immaginario. Rappresentazioni di film che hanno segnato la storia del Secolo scorso e reso grande l’arte cinematografica. Questa mostra è un invito ad apprezzare l’arte, coniugando il disegno all’idea di film che quel disegno sottende. Come in un viaggio meraviglioso che si chiama cinema”.

Un “paradiso” di forza evocativa, fatto di “gironi” (o “generi”) che attraversano – e superano di slancio – le due grandi Guerre: i manifesti cartacei su cui gli occhi degli spettatori-visitatori si appoggeranno coprono difatti un arco temporale che va dal 1913 – quanto il cinema era ancora muto – sino agli anni Settanta.

Una mostra che è allo stesso tempo una “sfilata di bellezza”. Perché bellissime, “la” Stefania Sandrelli protagonista de “L’amico di Gramigna” (1968) assieme a Gian Maria Volontè – incantevole vederla mentre offre la schiena e le gambe nude all’occhio, coperta solamente con uno straccio bianco mentre il “fuciliere” GVM “punta” l’arma verso un altrove e non la guarda – e l’indimenticata Marilyn Monroe di “A qualcuno piace caldo”, lo erano davvero.

Marilyn fu “fermata” dall’arte di un grandissimo artista italiano, Silvano “Nano” Campeggi, una sorta di Leonardo dei manifesti che ha potuto vedere da vicino le ragazze più belle del mondo. Uno che, detta come va detta, in un quarto di secolo ha disegnato oltre 3.000 manifesti per le maggiori case di produzione del mondo, come Metro Goldwyn Mayer, Universal, Paramount, Warner Bros. Tantissimi gli aneddoti.

Un paio li ha descritti la giornalista Francesca Joppolo. “Marilyn, al primo incontro, sapendolo artista e fiorentino gli chiese se dovesse spogliarsi, forse l’attrice si immaginò Venere rinascimentale, inghirlandata e con i capelli ondulati. ‘Grassoncina, simpatica’ la ricorda l’artista”, che poi ha aggiunto: “Ha sbaragliato tutte e per me ha posato sempre con grazia”. Silvano Campeggi – presente nella mostra sammarinese anche con il manifesto di “West Side Story” – ha svelato poi a Francesca Joppolo il suo modus operandi: “Si partiva con la visione del film in versione originale nella saletta della casa distributrice. Se i dirigenti erano favorevoli a distribuirlo in Italia, allora cominciava il lavoro vero e proprio. Da circa settanta, cento foto di scena, si prendeva lo spunto per l’inquadratura del bozzetto, si sceglievano le foto per le somiglianze, qualche volta insieme a degli spezzoni di pellicola. Bisognava persino stare attenti a rispettare, nei titoli, le proporzioni stabilite nei contratti per gli attori o i registi, senza mai intaccare l’integrità del volto di questo o di quel divo o diva con le piegature o i tagli delle connettiture”.

Bellissima – e fermata per sempre nei colori pastello di una locandina – lo è anche la straordinaria Jeanne Moreau, “disegnata” ne “La reina Margot” (1954) e interprete, nel film “Jules et Jim”, della celebre canzone “Le tourbillon de la vie” (presa in prestito anche da Gianluca Nicoletti di Radio 24, che la scelse come sigla di apertura della trasmissione “Melog 2.0”). Appare come una ninfa “distratta”, coperta solamente da un lenzuolo rosso e, nel sorreggere una maschera di carnevale, aumenta la sensualità ma senza mai cadere nel volgare.

Poi, gli attori. “Sinbad il marinaio”, siamo alla fine degli anni Quaranta, con Douglas Fairbanks jr che ride beffardamente a bordo di una nave: una mano sulla lampada magica e una sull’albero.

Non mancano poi gli italiani. Gli amici Fernandel e Gino Cervi, “Don Camillo e Peppone”, (la locandina è quella “mitica” in cui il prete scappa in bicicletta, ndr), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia che “caratterizzano”, con le loro tipiche espressioni, l’immagine de “Gli imbroglioni”.

Tra i pezzi più antichi, la locandina di “Attila”, pellicola “muta” del 1918 prodotta dalla Ambrosio Film. Il manifesto è opera di Giovanni Maria Mataloni, esponente del Liberty che è considerato, assieme a Leonetto Cappiello, Adolf Hohenstein, Leopold Metlicovitz e Marcello Dudovich, uno dei padri del moderno cartellonismo italiano.

La curiosità, e in parte la bellezza, si trova sia nei “tratti” delle diverse mani, ma soprattutto nei colori: effetti apparentemente “slavati”, oggi tornati in auge – tra gli “effetti” della fotografia digitale, spesso vengono utilizzati quelli che “trasformano” e “invecchiano” le immagini, “vintaggiandole” e facendole sembrare dei poster” -, realizzati su carta e con l’utilizzo dei colori a matita.

Manifesti che “raccontano” di sogni, di serate al cinema, di voglia di evadere, di “entrare” – da protagonisti – nelle storie. Manifesti che coprivamo i muri dell’Italia.

“E con essi – ancora Silvano Campeggi – le vergogne della guerra”.

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