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San Marino, ci sono già più di 9mila pensionati, e aumenteranno

da Redazione

L’aspettativa di vita fa ipotizzare una crescita ulteriore del numero di quanti escono dal mondo del lavoro: già oggi sono più di 500 all’anno. Mentre il numero degli occupati, che versano contributi, è cresciuto solo di poche decine. Anche stabilizzato, il rapporto 2 a 1 è troppo basso.

cover pensionati

 

di Daniele Bartolucci

 

Il numero delle pensioni erogate aumenta ancora, attestandosi a fine 2016 a ben 10.597 “assegni”.

Ovviamente i pensionati sono meno, ma hanno superato la soglia dei 9mila, arrivando a 9.035 per la precisione.

Considerando che nello stesso periodo (31 dicembre 2016) i lavoratori occupati erano 20.307, il rapporto tra occupati e pensionati è diminuito ancora (2,24), confermando un trend negativo che prosegue da diversi anni.

I fattori come noto sono diversi: in primo piano c’è l’aumento dell’aspettativa di vita, che non è in sé un dato negativo, ma lo diventa quando si va in pensione troppo presto e ci si garantisce un assegno pensionistico molto più alto (se non inizialmente, nel tempo, come numero di anni) di quanto si è versato durante gli anni di lavoro.

Poi c’è il capitolo entrate, ovvero chi contribuisce al sistema, i lavoratori: il numero degli occupati non regge il ritmo dei pensionamenti da diverso tempo, anche ora che ci sono timidi segnali di ripresa, il saldo positivo degli assunti non pareggia il numero dei nuovi pensionati, e infatti il rapporto si è deteriorato ancora di più.

 

LA RIFORMA PROMESSA ENTRO GIUGNO


Questo dato, più di tanti altri, qualifica l’attuale insostenibilità del primo pilastro del sistema pensionistico sammarinese, che da tempo necessita di una revisione nell’impianto e nell’impatto sociale.

Anche per questo si è messo nero su bianco, già nella finanziaria 2016 e poi in quella ultima per il 2017 (entro giugno), l’impegno del Governo a presentare una riforma in tal senso, visto che quando furono introdotte le modifiche nel 2005, il rapporto tra occupati e pensionati era ancora di 3 a 1.

Probabilmente si fece affidamento su questo dato e sul trend estremamente positivo dell’economia, quando si decise – in pratica – di favorire chi era o stava entrando nell’età pensionabile al tempo, scaricando sulla generazione successiva l’onere di sostenere quelle pensioni. Di fatto, anche chi aveva contribuito poco si è guadagnato una pensione di tutto rispetto, cosa che la generazione successiva e quelle future non potranno fare così facilmente.

Il tasso di sostituzione tra stipendio e pensione, infatti, da un 90-95% di dieci anni fa si è ridotto ad un più “popolare” 60-65% per chi andrà in pensione nei prossimi anni, comunque ad un’età molto più avanzata dei loro predecessori, visto che il minimo è stato spostato in avanti, fino ai 66 anni nel 2021.

La previsione fatta al tempo, che è poi anche la soluzione più semplice anche oggi, era quella di un ricambio costante e positivo tra forza lavoro e nuovi pensionati, ma negli ultimi dieci anni i lavoratori occupati sono diminuiti repentinamente e ogni anno, stante anche l’innalzata aspettativa di vita, aumentano i pensionati nell’ordine di circa 300 unità l’anno.

L’anno prossimo, secondo questa proiezione, si sfiorerebbero le 11mila pensioni erogate per circa 9.300-9.500 pensionati.

La soglia dei 10mila pensionati “da mantenere” è sempre più vicina.

 

RENDIMENTO PIÙ ALTO DA FONDI E FONDISS


In previsione di una riforma complessiva, era stato incaricato un pool di esperti in materia per fotografare l’attuale sistema e individuare le criticità strutturali.

Per i tecnici l’ingente “riserva tecnica” accumulata negli anni dal Fondo Pensioni (che arriverà a sfiorare i 400 milioni di euro), rischia di scomparire nei prossimi anni, azzerandosi già tra meno di 20 anni, per cui un’oculata gestione di questo patrimonio è il primo passo della riforma, unito alla gestione sempre più performante del Fondiss (pensione integrativa obbligatoria), che deve ricercare quel rendimento aggiuntivo attuando una vera e sana diversificazione degli investimenti (che non significa buttare soldi in strumenti altamente rischiosi), soprattutto alla luce del fatto che oggi quasi l’intero patrimonio è solo “parcheggiato” come liquidità presso le banche sammarinesi, accentrando in pratica – questo sì che è un errore che deve essere corretto – tutto il rischio in un unico strumento di investimento. Stessa cosa per il patrimonio milionario del Fondo Pensioni: per entrambi i fondi, la ricerca di un rendimento che li renda sostenibili è quindi inderogabile.

 

SERVONO PIÙ CONTRIBUTI E QUINDI PIÙ LAVORATORI


Secondo i dati di bilancio già da qualche annualità vengono erogate più pensioni di quanto il Fondo incassi dai contribuenti.

Questo saldo negativo era già di 10 milioni di euro nel 2014/2015 e, stante l’attuale rapporto lavoratori/pensionati, sicuramente può essere solo peggiorato.

Se la soluzione più rapida è comunque quella di aumentare l’occupazione (di conseguenza si allargherebbe la base contributiva), di fatto si sposterebbe solo il problema, perché in futuro, comunque, ci sarebbero più pensionati e si tornerebbe alla situazione attuale, visto che le dimensioni di San Marino non permettono di aumentare la forza lavoro all’infinito.

Una soluzione alternativa è quella di metter mano alle pensioni già erogate, ricontrattando quelli che notoriamente sono definiti “diritti acquisiti”, in funzione di un maggiore equilibrio tra chi percepisce una pensione “alta” (i padri) e chi la percepirà molto più bassa e lavorando di più (i figli).

L’altra soluzione, da valutare attentamente, è quella di aumentare i contributi a carico dei lavoratori, tenuto conto che negli ultimi decenni il peso maggiore della contribuzione è stato posto soprattutto a carico dei datori di lavoro (facendo perdere un po’ di competitività visto che si è aumentato il costo del lavoro).

Un ritocco alle aliquote andrebbe comunque ipotizzato in senso generale, ricomprendendo anche quelle del Fondiss, che andrà a regime nel 2018 con un 4% della retribuzione lorda (metà a carico del lavoratore, metà a carico dell’azienda), forse troppo poco per rendere efficiente il fondo stesso.

Nel frattempo andrebbe concessa la facoltà ai lavoratori di contribuire volontariamente per aumentare la propria posizione in Fondiss, come fosse una normale pensione complementare (quindi con le agevolazioni fiscali previste).

Senza considerare che nella Repubblica di San Marino si eroga il TFR ogni anno e non a fine rapporto come in Italia, per cui se non tutto, almeno una parte, visto che è comunque del lavoratore, potrebbe essere utilizzata come contributo pensionistico. L’altro intervento necessario, infine, è il superamento del tetto alla pensione, che limita fortemente l’attrazione di manager e dirigenti: il principio solidaristico può essere facilmente soddisfatto con una aliquota crescente per fasce di reddito (e quindi si garantirebbe anche un maggiore contributo ai fondi), ma non si penalizzerebbero troppo i redditi più alti come avviene oggi.

 

PENSIONATI LAVORATORI: QUESTIONE DA RISOLVERE

 

Inoltre, attualmente è vietato lavorare se pensionati, ma tale vincolo risulta anacronistico nel momento in cui l’aspettativa di vita aumenta di anno in anno e a 60 anni non ci si senta così “anziani” da abbandonare il lavoro o, come avviene spesso, la propria azienda. In questo senso, di libera scelta e di opportunità, si potrebbe prevedere una maggiore flessibilità per l’uscita dal lavoro, permettendo – come avviene in tanti Paesi – di continuare a lavorare rinunciando alla pensione o a una parte di essa, oppure continuando a versare contributi.

Una soluzione va ricercata senza meno, soprattutto alla luce dei dati dell’aspettativa di vita che di fatto posticipano – almeno in teoria – l’uscita dal mondo del lavoro. Inoltre, rimanendo in tema di anziani, il sistema sammarinese non prevede ancora niente per l’assistenza (se non quella pubblica), mentre i tecnici esperti consigliano di introdurre anche questa voce tra gli utilizzi dei contributi previdenziali, stante il fatto che in futuro sarà sempre più impellente il bisogno della popolazione anziana di avere un “aiuto”, sia che esso si risolva in un accompagno che in una badante o la retta di una struttura atta ad ospitarli.

In ogni caso sono spese che, spesso, superano l’assegno della pensione e questo può creare (e in parte già oggi li crea) disagi enormi per le famiglie, in maggior misura per gli anziani che si ritrovano a vivere da soli.

 

ISEE, PIÙ EQUITÀ E PIÙ CONTROLLI

 

Qualsiasi riforma che verrà approntata comporterà dei piccoli o grandi sacrifici da parte dei lavoratori, per cui in parallelo andranno ritarati i controlli verso chi già percepisce una pensione. A partire dai pensionati /lavoratori, la casistica è abbastanza variegata e per farsi un’idea basta guardare alla vicina Italia per rendersi conto delle storture che la mancanza di controlli può generare. Maggiori verifiche andranno poi effettuati anche verso chi sta “costruendosi” oggi i requisiti per andare in pensione, introducendo in parallelo anche l’ISEE sammarinese (che era stato promesso già dal 2012 e ogni anno riproposto, ma ancora non se ne vede traccia). Per fare un esempio, l’ISEE potrebbe essere utile per le pensioni ai superstiti, ridefinendole in base all’effettivo reddito degli stessi, come si sta ipotizzando ad esempio in Italia. Italia dove già oggi per i nuclei famigliari l’ISEE è già utilizzato per le pensioni di vecchiaia: se uno dei due coniugi ha già una pensione di un certo livello, l’altro non percepirà la pensione di vecchiaia (quella erogata per requisiti di età e non di contributi versati ovviamente).

Uno strumento utile per ritarare il sistema previdenziale in tutti i suoi rami, dagli ammortizzatori sociali ai contributi (che oggi sono a pioggia, senza distinguere tra chi percepisce un reddito alto e chi non arriva a fine mese), fino alla sanità, che è gratuita per tutti anche se chi ne usufruisce ha un reddito altissimo.

Ed è uno strumento di equità reale, quell’obiettivo che anche un fisco moderno ed efficiente dovrebbe darsi. Perché quando si parla di fiscalità deve diventare chiaro a tutti che si parla anche di contributi previdenziali: l’evasore che non dichiara quanto guadagna o dichiara molto meno, non solo non versa le tasse con cui lo Stato mantiene il welfare state, ma non versa nemmeno tutti i contributi che gli competerebbero.

 

L’IDEA DEL GOVERNO

 

Entro giugno il Governo deve approntare una bozza di riforma, come si è impegnato a fare nella Legge di Bilancio e come aveva promesso in campagna elettorale. Al momento nessuna indicazione è pervenuta in tal senso e le parti sociali attendono di essere convocate dall’Esecutivo. Nel frattempo però, vale la pena rileggere il programma elettorale, per farsi un’idea di come dovrebbe muoversi la coalizione Adesso.sm su questo tema. “Una previdenza equa e sostenibile” è il titolo del capitolo 8.8 del programma elettorale. “Il principale obiettivo di un sistema pensionistico a ripartizione, quello del nostro 1° pilastro, è che duri nel tempo: è quindi importante che il sistema sappia “autoregolarsi” al variare delle tendenze demografiche, economiche e finanziarie, senza avere necessità di riforme continue ogni pochi anni, perché questo toglie certezze al sistema e genera disuguaglianze fra lavoratori colpiti e lavoratori non colpiti dalle riforme stesse. Fondamentale è strutturare un patto fra le generazioni che sappia ripartire i costi degli aggiustamenti in maniera equa a seconda delle dinamiche sociali ed economiche in atto. Ultimo, ma non meno importante, obiettivo del sistema è quello di garantire a tutti di mantenere un tenore di vita adeguato nell’età avanzata”. Il problema è che “il nostro sistema pensionistico […] non può più reggere una situazione come quella che abbiamo oggi”. Di qui l’esigenza di “una riforma radicale che delinei un nuovo modello pensionistico, rendendolo capace di reggere negli anni autoregolandosi rispetto alle dinamiche demografiche”. La riforma di Adesso.sm, per punti, sarebbe in sostanza questa:

1 – Far sì che il comparto a ripartizione del sistema pensionistico garantisca una pensione per tutti, come forma di welfare per la vecchiaia, una base che consenta a tutti, anche a chi ha versato poco, di vivere dignitosamente. Una pensione differenziata in fasce di importo non troppo diverso fra loro, a seconda degli anni di contribuzione del lavoratore, prevedendo forme di incentivazione per chi rimanga al lavoro oltre l’età pensionabile […];

2 – Strutturazione e crescita del sistema a capitalizzazione, aumentandone l’aliquota di finanziamento progressivamente nel tempo anche su base volontaria, prevedendo un contributo dello Stato in favore dei redditi più bassi allo scopo di non pesare su lavoratori e datori di lavoro. La gestione dei fondi dovrà essere pubblica, prudente e trasparente, evitando investimenti speculativi e non controllabili […]; 3 – Creare una società pubblica trasparente, controllata e prudente nelle scelte di investimento per gestire in maniera accentrata sia il Fondo pensione del 1° pilastro sia il Fondo pensione del 2° pilastro, occupandosi di preservarne e possibilmente incrementarne il valore minimizzando i rischi”, elencandone già caratteristiche di struttura e di operatività.

4 – In attesa di questa riforma, prevedere l’introduzione di un tetto massimo alla prestazione pensionistica a cui ricondurre progressivamente nel tempo i titolari di pensione ad esso superiore;

5 – Aprire un confronto con le parti sociali con l’obiettivo di uniformare condizioni di calcolo, aliquote, età pensionabile, fra lavoratori dipendenti e indipendenti;

6 – Prevedere che l’importo della pensione di reversibilità sia legato alle condizioni economico/patrimoniali del superstite e agli oneri a suo carico;

7 – Sostenere, evitando di pesare sui lavoratori, il consolidamento del sistema a capitalizzazione tramite la “solidarietà di ritorno” a carico delle pensioni più elevate e, in prospettiva, tramite i risparmi derivanti dal progressivo assorbimento nel sistema a ripartizione del regime delle pensioni sociali”.

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