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San Marino, ridurre la spesa corrente è una questione di sovranità

da Redazione

Torna in auge l’indebitamento verso l’esterno, con tutti i rischi che questo comporta. Mentre poco è stato fatto sulla spesa corrente, che oggi pesa sulle uscite generali per l’86%.

 

di Daniele Bartolucci

 

Crisi di liquidità e finanziamento estero. Un binomio esplosivo per San Marino, che pone tutto il Paese di fronte ad un bivio: tagliare finalmente quei costi che da anni appesantiscono il Bilancio dello Stato o iniettare liquidità, pagandola soprattutto in termini di sovranità. Nel mezzo, tantissime cose. Prima di tutto andrebbe affrontato seriamente il primo aspetto, visto che dopo l’annuncio della spending review non si sono poi concretizzati gli effetti sperati, anzi, la spesa corrente negli ultimi anni è perfino cresciuta.

 

L’ALT DELLA COMMISSIONE DI CONTROLLO


Che la strada delle riforme e della lotta agli sprechi sia quella giusta e più “sovrana”, l’hanno detto chiaramente anche i tecnici della Commissione di Controllo della Finanza Pubblica, valutando l’ultimo Rendiconto Generale dello Stato. Nella loro relazione, i membri della Commissione presieduta da Francesca Mularoni, raccomandavano “in primis di ridurre la spesa e di porre in essere tutti gli interventi utili al recupero dei crediti (residui attivi), e in subordine di attivarsi per l’emissione di debito pubblico nazionale e solo in ultima ipotesi di ottenere linee di credito, presso primarie istituzioni non private estere cui accedere per linee frazionate e sostenibili, per destinare le relative risorse finanziarie alla gestione di cassa”. Eppure, anche l’allora Segretario alle Finanze, Giancarlo Capicchioni, nella sua relazione alla Legge di Bilancio che poi avrebbe approvato un nuovo Governo, scrisse chiaramente che si sarebbe dovuta valutare l’ipotesi di un finanziamento estero, anche tramite l’emissione di debito obbligazionario internazionale. Ben diverso dalle emissioni di titoli di Stato interni, come quelli dell’ultimo anno.

 

SPESA CORRENTE A LIVELLI OGGI INSOSTENIBILI


Il valore messo a bilancio di 478 milioni di euro per il 2017 nelle “Spese correnti” non ha di per sé una grande rilevanza, se non che, guardando agli ultimi anni – quelli della crisi economica e di sistema – si nota facilmente una contrazione delle entrate e un aumento delle stesse spese. Questa dinamica è pericolosissima, tanto è vero che la crisi di liquidità dello Stato ne è la conseguenza diretta, ma anche la più prevedibile. A livello di bilancio, poi, la spesa corrente è predominante, pesando da sola per l’86% da ormai diversi anni. Compresi quelli che statisticamente (come riportato in tabella) paleserebbero una contrazione. In quegli anni sono stati infatti creati dei debiti per finanziare le banche (torneranno esigibili nel 2022), per cui il calcolo percentuale andrebbe fatto al netto di quegli “investimenti”, e si avrebbe circa la stessa proporzione degli altri anni. L’86% significa che lo Stato ha pochissimo margine per fare investimenti – che darebbero respiro all’economia e allo sviluppo del Paese per generare nuove entrate – e si limita a incassare e spendere soldi per far funzionare tutto l’apparato. Un rapporto di 70-30, come auspicato anche da ANIS, sarebbe dunque un obiettivo importante per San Marino, tanto che si chiede di vincolare l’azione del Governo stesso a questo obiettivo, con una legge ad hoc.

 

I COSTI DELLA P.A. SU CUI SI PUÒ INTERVENIRE SUBITO

 

Quando si parla di costi della Pubblica Amministrazione si pensa subito ai dipendenti, ma non è solo quello il capitolo su cui focalizzare l’attenzione. Il “peso” degli stipendi, come ricordato anche su queste pagine, si attesta sul 30% della spesa corrente, ma è indubbio che a livello numerico, ci siano margini di miglioramento: i dipendenti sono troppi, almeno rispetto alla media di altri Paesi europei. Ma quello che è peggio, come avviene in Italia, ad un livello occupazionale più alto non corrispondono servizi migliori che in altri Paesi. Va riorganizzata la “macchina”, implementando le competenze e unificando alcuni servizi. Ma vanno anche individuate quelle attività – escludendo i servizi propri dallo Stato ovviamente – che possono essere esternalizzate per ottenere il duplice beneficio di liberarsi di alcuni costi e creare mercato tra i privati. Inoltre, come detto sopra, ridurre i costi della P.A. non deve significare tagliare servizi, ma serve per recuperare anche quelle risorse necessarie agli investimenti nella stessa P.A., come l’informatizzazione dei servizi e la digitalizzazione dei documenti, oltre che all’acquisizione delle competenze necessarie. Tutti interventi che renderebbero non solo più efficiente la “macchina” ma renderebbero anche più competitivo il sistema, come indicato dal Doing Business della Banca Mondiale.

 

L’ISEE PER L’EQUITÀ E LA SOSTENIBILITÀ


Se la P.A. “elefantiaca” rappresenta un dazio enorme per il Bilancio dello Stato, dall’altro lato è anche vero che il peso maggiore è rappresentato da un welfare universale a cui i sammarinesi sono legati a doppio filo. Se infatti le conquiste sociali hanno fatto sì che tutti i servizi siano gratuiti, occorre essere chiari su un concetto: se non paga il cittadino, chi li paga? Le casse dello Stato si sono ormai svuotate e i 250 milioni di debiti non prefigurano un cambio di rotta nei prossimi giorni. Per qui l’ipotesi di un taglio dei servizi si fa sempre più realistica e questo creerebbe problemi a tutti, dalle famiglie alle imprese. Impensabile, insomma. Ma le alternative sono poche, a meno che non si inneschi un’operazione ancora più forte della perdita di sovranità che si otterrebbe con un finanziamento estero. Un cambiamento così radicale nella mentalità e nella quotidianità dei sammarinesi, che non ha precedenti. Ovvero riconoscere quel principio di equità sociale secondo il quale chi più ha, più contribuisce. Ovviamente la derivazione negativa di questo principio – in Italia ad esempio – è l’aumento delle tasse, ma San Marino ha molte alternative a quella soluzione. La prima è quella di introdurre un virtuoso sistema di tariffazione dei servizi in base al reddito degli utenti. Magari esentando una fascia di reddito, facendo pagare un piccolo contributo crescente a chi dichiara un reddito maggiore. Il problema è però questo: a San Marino quali strumenti ci sono per fare emergere il reale reddito delle persone e dei nuclei famigliari? L’introduzione di un Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) è stata ipotizzata da tempo e il precedente Segretario al Lavoro, Iro Belluzzi, aveva avviato i lavori in maniera efficace, arrivando a ipotizzare una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali e del welfare state in generale. Compresa la sanità, che gioverebbe in modo esponenziale di questa riforma: non si tratterebbe di far pagare i servizi (es. ticket), ma di fa corrispondere un contributo alle prestazioni in base al proprio reddito. Anche qui, con duplice effetto positivo: aumento delle entrate e minore spreco di risorse, dovuto ad un poco virtuoso accesso alle prestazioni sanitarie da parte degli utenti.

Del resto, se è gratis, c’è sempre chi ne approfitta. Allo stesso modo per tutti i contributi sociali, gli assegni famigliari e quant’altro viene erogato dallo Stato senza fare distinzione di reddito. Su questa riforma, che anche il Governo targato Adesso.sm ha detto di volersi cimentare, si gioca molto del futuro di San Marino e del suo welfare d’eccellenza. Un sistema di tutele, servizi e prestazioni che oggi è messo in discussione dall’insostenibilità dei suoi costi.

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