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“Premio Letterario San Marino”, and the winner is… Eugenio Montale

da Redazione

Grazie al dattiloscritto “47 poesie 1940-1950”, che confluì nella raccolta “La bufera e altro”, nel 1950 si aggiudicò la prima e unica edizione del concorso, ospitata a Palazzo Kursaal.

Montale premio nobel

 

di Alessandro Carli

 

Se chiedessimo chi è o cos’è “Montale” a San Marino, giustamente la risposta più comune, magari con lo sguardo rivolto verso l’alto, sarebbe la seguente: “La Terza Torre”. Ben “piantata” sullo skyline del Monte sin dal XII secolo, nei documenti d’archivio viene chiamata, in latino, precisamente “Palatium Montalis”.

Esiste però un altro Montale, che di nome fa Eugenio, e che nel 1950 si recò sul Titano in quanto vincitore della prima e unica edizione del “Premio Letterario San Marino”, il concorso che vide la partecipazione dei più illustri intellettuali, poeti, scrittori e traduttori del tempo, la cui produzione fu giudicata da altrettanto importanti critici della letteratura.

Il Premio, come detto, fu assegnato concordemente a Eugenio Montale che partecipò con un dattiloscritto dal titolo 47 Poesie 1940-1950, ovvero con la produzione poetica degli anni in oggetto, che confluì successivamente nella raccolta “La bufera e altro”. Un premio speciale fu assegnato anche a Leone Traverso per le sue traduzioni da Eschilo, Gongora, Yeats e George. La consegna avvenne il 30 settembre 1950, in pieno blocco militare, presso il Palazzo del Kursaal: il confine tra Italia e San Marino difatti era controllato da postazioni di blocco e polizia in quanto San Marino aveva appena aperto un casinò nonostante la contrarietà dell’Italia.

 

MONTALE (EUGENIO) A SAN MARINO


Grazie a un corpus di 47 poesie che poi andranno a comporre “La bufera e altro”, pubblicato poi nel 1956, Montale si aggiudica il primo premio. Per ritirare il premio assai corposo di un milione di lire, il grande poeta però è costretto ad attraversare la frontiera in modo rocambolesco, a piedi, quasi come un clandestino. Interessante è il carteggio che porta alla produzione del volume.

Recentemente è stato ritrovato presso il Fondo Falqui della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma un documento sulle “47 poesie (1940-1950)” con una nota di Montale. “Questo dattiloscritto è provvisorio. Avrà un altro titolo e tutte le parti ne avranno uno; la quinta parte sarà accresciuta ed altre liriche saranno aggiunte alla serie finale che per ora non ha trovato titolo. La prima parte – ‘Finisterre’ – è già uscita in pochi esemplari nel 1943 e nel 1944, e pertanto non dev’essere considerata ai fini del premio San Marino. Nel manoscritto definitivo figureranno forse alcune note”.

Montale non mancò mai di confrontarsi con amici e colleghi. Il 21 aprile 1943 scrive a Gianfranco Contini: “Caro Trabucco, oggi o domani ti mando a parte il fascicoletto di 15 poesie, col titolo di ‘Finisterre’. Ma non tutte le liriche sono di argomento apocalittico e così dovrai dirmi subito (dopo aver letto) se il libruccio può reggere un simile titolo. In caso negativo proporrei ‘Poesie del 1940-42′, cioè l’attuale sottotitolo un po’ modificato (poesie anziché versi)”.

A distanza di 9 giorni, Contini risponde: “Finisterre mi pare che vada benissimo per l’intera raccolta, à la fois per l’allusione millenaristica e per quella geografica. Voglio dire che a Finisterre comincia l’Oceano, comincia il mare-dei-morti (punta del Mesco) ecc., di lì si dice addio alla proprietaria dei primi e alla Proprietaria degli ultimi versi: l’allusione geografica, insomma, è a sua volta doppia”.

Non meno preziosa è la nota finale della seconda edizione di “Finisterre”, ovviamente scritta da Montale: “Non offro questo come un nuovo volume di versi, ma semplicemente come un’appendice alle ‘Occasioni’ per gli amici che non vorrebbero fermarsi e far punto a quel libro. Se un giorno ‘Finisterre’ dovesse risultare il primo nucleo di una mia terza raccolta, poco male per me (o male solo per il lettore): oggi non posso far previsioni. Le 15 liriche intitolate propriamente ‘Finisterre’ (versi del 1940-42) non sono che la ristampa senza varianti del volumetto da me pubblicato, sotto questo titolo, nella ‘Collana di Lugano’ (n. 6 della collezione diretta da Pino Bernasconi), il giorno di San Giovanni del 1943. Ne furono tirate solo 150 copie. Aggiungo in appendice due prose e quattro poesie che non disdicono molto al carattere del libretto; a eccezione forse della lirica del 1926, anch’essa nata, però, dal paesaggio delle due prose”.

E’ invece del 1949 la lettera che scrisse a Giovanni Macchia: “Ti mando l’indice provvisorio del mio terzo e ultimo libro di poesie che vorrei uscisse entro il 1950. Ho segnato con punti sospensivi le serie tuttora aperte (la 4a e la 5a) che dovranno arricchirsi; ma è possibile che anche le altre serie si riaprano per comprendere qualcos’altro. Tu dovresti dirmi quali poesie ti mancano, e te le manderò (tenendo presente che le quattro segnate in fondo, non però l’ultimissima, escono ora su Botteghe Oscure). Sul titolo (Romanzo) ti prego di mantenere la più assoluta discrezione, altrimenti sarà rubato da qualche giovane di belle speranze…”.

Torniamo però a San Marino, e alle 47 poesie. Ouverture (o capitolo introduttivo, o prima parte) del de “La bufera e altro”, “Finisterre” racchiude 15 liriche: “La bufera”, “Lungomare”, “Serenata indiana”, “Il giglio rosso”, “Nel sonno”, “Su una lettera non scritta”, “Gli orecchini”, “Il ventaglio”, “La frangia dei capelli…”, “Finestra fiesolana”, “Giorno e notte”, “L’arca”, “Personae separatae”, “Il tuo volo”, “A mia madre”.

 

La bufera che sgronda sulle foglie / dure della magnolia i lunghi tuoni / marzolini e la grandine, / (i suoni di cristallo nel tuo nido / notturno ti sorprendono, dell’oro /che s’è spento sui mogani, sul taglio / dei libri rilegati, brucia ancora / una grana di zucchero nel guscio / delle tue palpebre) /il lampo che candisce / alberi e muro e li sorprende in quella / eternità d’istante – marmo manna / e distruzione – ch’entro te scolpita /porti per tua condanna e che ti lega / più che l’amore a me, strana sorella, / e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere / dei tamburelli sulla fossa fuia, / lo scalpicciare del fandango, e sopra / qualche gesto che annaspa… / Come quando / ti rivolgesti e con la mano, sgombra / la fronte dalla nube dei capelli, / mi salutasti – per entrar nel buio.


In merito a “La bufera”, scrive ottimamente Marica Romolini: “La posizione privilegiata d’apertura scelta per questa lirica, a cui viene pertanto implicitamente affidata la funzione proemiale dell’intero libro, sancisce fin dal principio il fulcro attorno al quale si sviluppa l’opera: la bufera della guerra, indagata nella pienezza dei suoi risvolti privati, esistenziali, storici, metafisici e persino poetologici. Nella lettera a Silvio Guarnieri del 29 novembre 1965 Montale puntualizza la complessità della simbologia che regge il componimento, divaricandola tra la precisa referenzialità di ‘quella guerra dopo quella dittatura’ e l’allegoria della ‘guerra cosmica, di sempre e di tutti’, ontologicamente fondata nella disarmonia costitutiva della realtà. La centralità del tema bellico e della costellazione metaforico-lessicale correlata ha dunque indotto l’alterazione dell’ordine compositivo (che a rigore collocherebbe ‘La bufera’ dopo ‘Gli orecchini’ a favore di una studiata struttura narrativa che mira a esplicitare immediatamente lo stravolgimento, folle e apocalittico, in procinto di funestare il mondo, nonché l’estrema necessità della trasfigurazione di Clizia in creatura angelicata, anche a costo del sacrificio della donna e della rinuncia a lei da parte del poeta”.

Sembra complicato, ma non lo è. La poesia è la poesia. E ogni persona ci legge, ci vede, ci fantastica quello che vuole.

 

CANAREZZA & CORO, PROGETTO INSTALLATIVO SULLE LIRICHE DEL PREMIO NOBEL DEL 1975


Rita Canarezza & Pier Paolo Coro hanno raccolto l’episodio di Montale “sammarinese” e ne hanno fatto un’installazione audiovisiva all’interno dello spazio indipendente di “Riss(e) Zentrum” a Varese che rimarrà aperta al pubblico sino al 19 marzo. Gli artisti raccontano questa storia attraverso un progetto installativo inedito, tra parola e immagine, in cui le 47 azioni/poesie prendono corpo nel frammentario e intenzionale ritaglio di brevi passaggi tratti dalle poesie di Montale, riconducendo l’intero lavoro ad una dimensione intima, sconosciuta e al tempo stesso sottratta all’intera vicenda. Si tratta di un attraversamento di confini, linguaggi e pratiche, come i molti attraversamenti che gli artisti stessi si sono trovati a compiere nei loro viaggi di ricerca. L’evento raccontato ha anche un più ampio potenziale simbolico, potrebbe parlare di territorialità, di identità e storia.

 

MONTALE E LE SUE “SORELLE”: VIAGGIO NELLE TRE TORRI


Il Montale, o Terza Torre, è una delle torri di Città di San Marino, simbolo della Repubblica. Il Montale è caratterizzato da una bella forma slanciata e ha una pianta pentagonale. Fino al XIII secolo la Terza Torre era un fortilizio staccato dalle altre due rocche e fu collegato ad esse nel 1320 da una possente muraglia, di cui sono ancora visibili alcune tracce.

La Torre, chiamata nei documenti d’archivio Palatium Montalis, rivestì una grande importanza nelle lotte contro i Malatesta che possedevano il vicino castello di Fiorentino. Una campana segnalava alla popolazione i pericoli e l’arrivo di viandanti, ai quali era richiesto un pedaggio. Con la distruzione del castello malatestiano di Fiorentino nel 1479, il Montale fu abbandonato.

Tre successivi restauri hanno salvaguardato la torre nel corso dei secoli, precisamente nel 1743, 1817 e 1935, quest’ultimo ha dato alla fortezza la sua forma originaria. Nella Torre c’è una prigione, detta Fondo della Torre, profonda tra i sei e gli otto metri e alla quale si può accedere solo dall’alto.

Al contrario delle altre due torri, non è accessibile al pubblico, ma offre comunque ai visitatori un suggestivo panorama. Il Montale è raffigurato sulle monete euro sammarinesi da un centesimo.

Gli fanno compagnia le altre due torri. Costruita direttamente sulla pietra del monte senza alcuna fondamenta, la Prima Torre, a base pentagonale, risale al X secolo, ma è stata rafforzata più volte successivamente. Ricostruita nella seconda metà del XV secolo, nel XVI secolo è stata ricoperta con una copertura a spioventi. È detta anche “Rocca Guaita” e tra le sue solide pareti, protette da un doppio girone murario (quello esterno con merli e torrioni decapitati agli angoli), si riparava il popolo durante gli assedi. Alcuni ambienti furono adibiti a carcere fino all’ottobre del 1970.

Lo stemma barocco di pietra che si vede sulla porta d’ingresso è quello della Repubblica e risale al 1600, prima apparteneva al vecchio Palazzo Pubblico. La cinta interna è limitata dalla Torre campanaria e dalla Torre della Penna, costruite alcuni secoli più tardi. La porta superiore, a cui si può giungere per mezzo di una scala, è difesa da una bertesca del 1481. Nel cortile sono presenti alcuni pezzi d’artiglieria risalenti all’ultima guerra: due mortai, dono di Vittorio Emanuele II, due cannoni (da 75 mm) utilizzati a salve dalla Guardia di Rocca nelle festività, dono di Vittorio Emanuele III.

Sul secondo picco del Monte Titano, il più alto, a 756 metri di altezza, si erge invece il Castello della Cesta, detta anche Fratta. Costruita alla fine del XI secolo, anch’essa di pianta pentagonale, la Seconda Torre era la sede del corpo di guardia e accolse anche alcune celle delle prigioni.

Verso la fine del XVI secolo, venuta meno l’importanza strategica, la Torre cadde in disuso fino al 1930 quando, nell’ambito dell’ammodernamento del Paese conseguente alla costruzione della ferrovia Rimini – San Marino si stabilì di restaurare i monumenti medioevali per incentivare l’afflusso turistico sul Titano.

Oggi ospita il Museo delle Armi Antiche che comprende circa 535 oggetti tra armi bianche, armi in asta, armi da fuoco, archi, balestre, armature tutte risalenti a varie epoche tra il Medioevo e la fine dell’800. Il rimanente della collezione che nel suo complesso conta più di 1550 pezzi, si trova nel “Centro di studi sulle armi dal medioevo al novecento” a Borgo Maggiore.

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