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Stregati dalla verve (e dalla straordinaria penna) di Ennio Flaiano

da Redazione

Con “Tempo di uccidere” fu il primo vincitore del Premio Strega (1947).

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di Simona Bisacchi Pironi

 

Ci sono innumerevoli premi dedicati a romanzi e scrittori.

Ognuno ha una sua storia, una sua ragione d’essere, e ognuno tenta di scovare quel libro capace di andare al di là della narrativa per diventare letteratura.

Critici, giurie e lettori selezionano, votano ed eleggono, consapevoli che solo il tempo svelerà se un romanzo e un autore sono destinati a entrare nella storia e nell’immaginario collettivo, o se il loro successo è riservato a un determinato momento storico e a una cerchia elitaria.

In Italia tra i concorsi più prestigiosi figura il Premio Strega, nato nel 1947 grazie al fondamentale contributo di Guido Alberti, produttore del liquore da cui il premio prende il nome.

Ennio Flaiano con il suo “Tempo di uccidere” fu il primo autore a ricevere l’ambito premio, che venne poi assegnato anche a “Il Gattopardo” di Giuseppe Tommasi di Lampedusa (1959) e al poderoso “Il nome della rosa” di Umberto Eco (1981).

Nel 1962 nasceva, invece, il Premio Campiello, da un’iniziativa degli industriali del Veneto.

In questo concorso dei critici selezionano cinque finalisti, che verranno poi votati da una giuria popolare di trecento lettori per eleggere il vincitore. Nel 1963 “La tregua” di Primo Levi fu il prescelto.

Il premio Bancarella si distingue per essere l’unico premio letterario interamente gestito dai librai.

Alberto Vigevani, libraio bibliofilo, colse lo spirito di questo concorso definendolo “Un premio che non ha, come tanti altri, ipocrite pretese letterarie o in ogni modo culturali, e viene assegnato ai libri più venduti”. Eppure, pur non avendo “pretese”, per ben tre volte il premio si rivelò un’anticamera del Nobel alla letteratura, con autori che nello stesso anno vinsero sia il Bancarella che il celebre premio internazionale: Ernest Hemingway con “Il vecchio e il mare” (1953), Isaac Singer con “La famiglia Moskat” (1968) e Boris Pasternak con “Il dottor Zivago (1958).

Lo scrittore russo Pasternak, in realtà, il Nobel non lo ritirò mai perché accettarlo avrebbe significato essere espulso dalla sua patria, definitivamente. Così rifiutò il premio in denaro e il successo internazionale, per poter vivere nel suo paese – dove morì un paio di anni più tardi – per il quale rimase comunque un nemico, dopo aver raccontato nel suo romanzo le grandi contraddizioni dell’Unione Sovietica.

Il Nobel rimane il riconoscimento più importante a livello internazionale e nacque in un modo assai curioso. Quando nel 1888 morì il fratello di Alfred Nobel, inventore della dinamite, un giornale si sbagliò e pubblicò non il necrologio del fratello Ludvig ma dello stesso Alfred, che venne accusato di essere diventato ricco “trovando il modo di uccidere il maggior numero di persone nel modo più veloce possibile”. Alfred decise che voleva essere ricordato in altro modo, così nel 1895 sottoscrisse il suo testamento con cui divenne il fautore del premio che porta il suo nome e distribuisce denaro a chi eccelle nei campi della medicina, della fisica, della chimica, dell’economia, della letteratura e della pace.

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