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Pensioni e Welfare State: sei mesi per la grande riforma

da Redazione

Conti sempre più in rosso per i Fondi, urgono interventi anche sugli ammortizzatori. Prorogato per legge l’impegno del precedente Governo: entro giugno deve arrivare la proposta.

 

di Daniele Bartolucci

 

Sei mesi per riformare il sistema previdenziale, messo a dura prova dal rischioso deterioramento del rapporto lavoratori/pensionati, sempre più vicino al livello insostenibile di due contribuenti per ogni assegno erogato.

Il Governo precedente, anche a causa della crisi politica di agosto, era invero impegnato a presentare “entro il 30 settembre 2016, una proposta complessiva di riforma che riguardi il sistema previdenziale”, come sancito dall’articolo 61 della Legge 22 dicembre 2015 n.189. Ma tale proposta non si è purtroppo concretizzata, nonostante il lavoro del Gruppo tecnico incaricato a tale scopo abbia lavorato quasi due anni sul tema e sia comunque arrivato a buon punto. Due sono state infatti le relazioni tecniche consegnate alla politica e alle parti sociali, che hanno analizzato sia la situazione attuale, evidenziandone le criticità derivanti dalle riforme precedenti e, in particolare la “generosità” del passato, sia le possibili soluzioni nel breve e lungo periodo. Soluzioni che, una volta procastinate nel tempo, si stanno però trasformando da piccoli interventi correttivi a operazioni sempre più incisive e urgenti. Come quelle che sarà costretto a fare il nuovo Governo, che si è dato sei mesi di tempo per sistemare la faccenda. Nel frattempo i conti sono peggiorati, prova ne è che il contributo dello Stato è salito a 19,5 milioni di euro. E mentre i lavoratori sono più o meno gli stessi, altri sono andati in pensione, deteriorando ancora di più il rapporto tra chi contribuisce e chi incassa l’assegno mensile.

 

IN FINANZIARIA STABILITA LA NUOVA TEMPISTICA

Nella legge finanziaria appena approvata, infatti, il comma 3 dell’articolo 28 recita: “Il termine di cui al comma 1 dell’articolo 61 della Legge 22 dicembre 2015 n.189 è prorogato al 30 giugno 2017”. Per cui restano fissi gli obiettivi generali della proposta che si dovrà concretizzare entro l’estate: “Una maggiore autonomia e autosufficienza dei fondi pensione di cui alla Legge 11 febbraio 1983 n.15 e successive modifiche; assicurare le tutele previdenziali e salvaguardare gli interessi generali e i valori di solidarietà che ispirano il sistema di sicurezza sociale sammarinese; un patto intergenerazionale affinché siano equamente distribuiti gli oneri previsti sulle diverse fasce di età e non gravino in particolare solo sulle giovani generazioni”. Non solo – e qui entra in gioco il coordinamento necessario tra le varie Segreterie di Stato (in particolare Lavoro e Sanità, ma anche Finanze) – perché già l’anno scorso si evidenziava la necessità di riformare tutto il welfare state sammarinese, tanto che il comma 2 dell’art. 61 imponeva proprio che “Il progetto di cui al precedente comma 1 dovrà contenere disposizioni armonizzate con quelle in materia di ammortizzatori sociali, accertamento dei redditi, mercato del lavoro e regime delle incompatibilità”. E in tal senso l’introduzione di un indicatore economico (cd. ISEE) diventa quasi la strada obbligata. Vale la pena di ricordare che sia il Segretario al Lavoro uscente, Iro Belluzzi, PSD, che il nuovo Segretario, Andrea Zafferani, Civico 10, sostengono questa linea, che potrebbe quindi essere un’azione bipartisan, una delle tante che San Marino abbisogna oggi.

 

PIÙ PENSIONATI E MENO CONTRIBUTI

La situazione contabile dei fondi pensione non è l’unico metro di giudizio, essendo una questione molto più complessa e che interessa tutti i Paesi occidentali, dal dopoguerra a oggi, stante l’innalzamento dell’aspettativa di vita ovviamente (ci sono sempre più pensionati e per più tempo), ma soprattutto a causa della lunga crisi economica che ha di fatto diminuito il livello di contribuzione dei lavoratori (che sono diminuiti). Ma, pur rimandando il ragionamento ad altri approfondimenti, è chiaro che se i bilanci sono in rosso, significa che la situazione volge al peggio. E non da oggi. Da anni infatti lo Stato deve intervenire per ripianare le sofferenze dei Fondi pensione, ma negli ultimi Bilanci l’aumento è stato esponenziale, arrivando ai 19,5 milioni di euro di contributo a carico dello Stato per la gestione del Fondo Lavoratori Dipendenti, per l’esercizio 2017, stanziato sul capitolo 1-10-4530 “Oneri a carico dello Stato per la gestione fondo lavoratori dipendenti”. Anche per questo, si legge nell’articolo 28 della finanziaria appena approvata, che “è dato mandato alla Segreteria di Stato competente e agli organi direttivi dell’Istituto per la Sicurezza Sociale di attuare gli interventi necessari a garantire l’equilibrio del Fondo pensioni”. Come, non è ancora dato a sapersi. Di certo gli interventi generali sono molteplici e riguardano più ambiti. Il primo è rappresentato dalla ripresa economica, ovviamente, perché se ci sono più lavoratori ci sono anche più contributi. Ma questo non basterà, se non si interviene su alcuni ambiti specifici, come ad esempio i criteri con cui vengono attualmente erogate le pensioni (i famosi “diritti acquisiti”), le modalità previste per l’uscita dal mondo del lavoro (oggi i pensionati a San Marino non possono lavorare), la previdenza complementare (il Fondiss, che c’è già, e le possibilità data dal mondo delle assicurazioni), e tanto altro.

Sei mesi per riformare l’intero sistema e per riprogettare il futuro delle giovani generazioni, perché anche a San Marino, seppure in minor misura rispetto all’Europa, esiste la possibilità di un duplice disagio: poco lavoro oggi e poca pensione domani.

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