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I vestiti dei contadini sammarinesi: Ezio Bartolini dentro l’armadio

da Redazione

Il curatore della Casa di Fabbrica: “L’eleganza? Un cappello e un fazzoletto”.

Consorzio Ezio

 

“Lui fa il contadino, un lavoro speciale / che ad alcuni può sembrare banale. (…) La mia mamma dice che la terra è generosa / perché da lei nasce e viene ogni cosa: / frutta, verdura e cereali per far piatti nutrienti / il cotone e il lino per far vestiti eleganti”. Questo bel frammento di una poesia della siciliana Cristina Rinaudo rivela, proprio in coda, una pagina di storia delle tradizioni contadine: i materiali con coi venivano creati gli abiti. Gli stessi che si ritrovano anche nella Repubblica di San Marino. Ezio Bartolini, curatore della Casa di Fabbrica di San Marino, torna idealmente nel passato. “Con il cotone, e chi poteva permetterselo anche con il lino, venivano fatti i capi d’abbigliamento estivi. In inverno invece si adoperava soprattutto la lana. Si andava ad acquistare le pezze di stoffa da un metro o anche più e poi si andava dalla sarta, che cuciva i vestiti”. Non tutti i lavori però venivano fatti fare esternamente, anzi. I grembiuli di cotone per esempio. “Venivano impiegati soprattutto in casa: la ‘parananza’ serviva per non sporcare il vestito ‘sotto’ quando si cucinava”. Con la lana invece le possibilità erano maggiori. “Le donne, in attesa del freddo, preparavano i calzettoni, calzamaglie ma anche sciarpe e coperte. Chi ce l’aveva, utilizzava la caldatrice, uno strumento che rendeva più soffice la lana. Venivano impiegati anche i gomitoli, spesso barattati per qualche uovo”.

Vestiti ‘robusti’, che dovevano durare nel tempo. “Il riciclo era molto comune, per non dire quasi all’ordine del giorno – prosegue il curatore -. Consideriamo che le famiglie erano molto numerose e i fratelli si ‘passavano’ i vestiti. Capitava che alcuni pantaloni, quando dovevano essere riadattati, riportavano alla luce alcune ‘frecce’. Mi spiego: se il tessuto esterno era molto sbiadito, quando si andava a risistemare la ‘taglia’, capitava che il tessuto ‘nascosto’ in un lavoro precedente, improvvisamente riemergesse con tutti i suoi colori”.

Difficile parlare di ‘moda’ o di abiti all’ultimo grido. Eppure l’eleganza, specie per le grandi occasioni o nei giorni in cui i fedeli si recavano alla Santa Messa, era quasi imprescindibile. “L’uomo aveva pantaloni e giacca. Le donne invece le gonne e un fazzoletto in testa. Anche la scarpa doveva essere pulita. Poiché le chiese spesso non erano così vicine – spesso distavano anche più chilometri -, le persone si toglievano le scarpe, le riponevano in un sacco e si incamminavano scalzi. Poi, giunti in prossimità del luogo sacro, le indossavano”. Eleganza era il fazzoletto in testa per le donne. “Annodato sotto al collo, era un simbolo di eleganza. Per gli uomini invece la mantella, che serviva anche per recarsi ai veglioni, ma soprattutto il cappello e la camicia con il collo bianco”. Niente cravatta dunque. “Quella venne più tardi, così come il papillon. Ricordo una battuta, in dialetto: ‘Te mès ‘e notli?’. Poiché il papillon assomiglia al pipistrello, in dialetto ‘notli’, si chiedeva se avevi messo il papillon, simbolo di eleganza”.

Le calzature di tutti i giorni invece avevano, come si direbbe oggi, una second life. “Quando erano ridotte ai minimi termini, venivano trasformate in ciabatte o in sandali estivi. Si andava da un gommista di ruote per automobili e con una parte dei pneumatici, si faceva la suola. Veniva poi tagliata la parte posteriore della scarpa, venivano messe all’altezza del collo del piede due stringhe di cuoio e di pelle”.

Ezio Bartolini ci apre l’armadio della biancheria intima da donna. Tutta di color bianco. “Un colore che contraddistingueva anche i vestiti dei bambini e delle bambine. Gli adulti invece vestivano di scuro, spesso di grigio, visto che ‘teneva lo sporco’. La biancheria invece era chiara e di cotone un po’ meno grezzo”. Camicette, gonne, una canottiera e un paio di mutande bianche molto grandi. Ci cade l’occhio su un particolare: i pizzi e i merletti all’altezza delle gambe. Un tocco gentile di femminilità.

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