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Una camera con vista sulla propria vita

da Redazione

I paesaggi risiedono negli sguardi. L’importante è non avere orizzonti. Lucy tornerà a Firenze assieme a George per ascoltare un violino.

 

di Simona Bisacchi Pironi

 

È nello sguardo che risiede la potenza del paesaggio.

Quando la giovane Lucy Honeychurch incontra il bizzarro George Emerson in una piccola pensione di Firenze, il suo sguardo non aveva mai scorto qualcosa di più di prudenti emozioni, curiosità accennate, un intimo amore per la musica e intere pianure di conformismo, rinvigorito dall’Inghilterra di inizio Novecento.

Nessun orizzonte a disposizione. Nessun panorama. Nemmeno i proprietari della pensione Bertolini gliene danno uno, affibbiando a lei e all’attempata cugina Charlotte due camere affacciate sull’interno della struttura.

Non è così per George Emerson e per suo padre. Loro riescono a vedere il mondo al di là di quello che gli occhi offrono. George cerca in ogni scorcio di vita un senso. Non ha bisogno di finestre che si spalanchino su un fiume. Può cedere la sua camera con vista a Lucy, perché per gli Emerson “esiste solo un panorama davvero perfetto, quello di un cielo che si estenda ampio sopra le nostre teste, e tutti i panorami della terra non sono altro che brutte copie di quello che vediamo lassù”.

In “Camera con vista” (1908) Edward Morgan Forster ci racconta due sguardi che hanno passato un’intera giovane vita a guardare in direzioni opposte, e che per fatalità – perché per George “L’Italia non è che un eufemismo per il Destino” – si incrociano sull’Arno.

Non è Firenze a cambiare per sempre Lucy, non è l’omicidio a cui assiste in mezzo alla folla di piazza della Signoria, è George che la spinge a buttare lo sguardo su una realtà meno comoda e affabile, ma certamente più viva.

Ed è attraverso Lucy che George scorge una quiete in mezzo a quel tormento che suo padre sa accuratamente cogliere e raccontare: “Sappiamo di venire dal vento e di doverci ritornare; che tutta la vita non è che un nodo, un garbuglio, una macchia sulla superficie liscia dell’eterno. Ma perché mai questo dovrebbe renderci infelici? Amiamoci, piuttosto, lavoriamo e cerchiamo d’essere felici… A fianco dell’eterno Perché, c’è anche un Sì”.

Un libro che racconta la storia di due anime chiuse nel loro mondo, di pigro torpore e di spregiudicato affanno. Racconta un viaggio in un’Italia surreale, trasfigurata dai passi di crescita di Lucy. E racconta di un ritorno a casa, di un tentativo di rimanere sempre gli stessi, anche quando nulla è più come prima. Di come si è pronti a mentire a tutti – Lucy mente a sua cugina, a George, a se stessa – pur di mantenere inalterata la propria consuetudine, perché “La corazza della falsità viene forgiata con sottigliezza dall’oscurità, e ci nasconde non solo dalla vista degli altri, ma anche dalla nostra”.

In un certo momento Forster sembra raccontarci che non c’è scampo per chi parla chiaro, per chi scorge un intero mondo solo guardando negli occhi una persona. Sembra che George debba sparire dalla vita di Lucy e dalle pagine che leggiamo, per mantenere viva una menzogna. Ma il padre di George ci svela che “La vita è come un concerto di violino, in cui si deve imparare a conoscere lo strumento man mano che si suona. L’uomo deve imparare a utilizzare le sue capacità mano a mano che va avanti… Soprattutto la capacità di amare”.

E anche se l’anima di Lucy verrà “trapassata dall’acciaio”, tornerà con George a Firenze. E questa volta avranno entrambi una camera con vista. Sulla propria vita.

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