Amare un essere umano nella sua imperfetta perfezione è un magnifico e folle compito. In fondo siamo nati per essere unici, non perfetti.
di Marta Bossi
Tutti sappiamo che la perfezione non esiste né tantomeno si possiedono canoni tali per sostenere cosa è o cosa non è perfetto.
Ci accorgiamo però subito dell’elemento che stona con tutto il resto.
Eppure quel dettaglio sarà la causa del nostro innamoramento.
Poiché nell’imperfezione c’è il sublime, c’è la bellezza.
Non è affatto un accontentarsi bensì è un innamorarsi di quei nei che, se dapprima infastidivano, prendono poi magicamente colore ed illuminano la persona o l’oggetto che ammiriamo.
Piuttosto che definire “imperfezione” come una carenza, una mancanza, si potrebbe meglio descrivere come un valore aggiunto, un tocco di colore.
In fondo ciò che era imperfetto si annulla, diventando per il singolo osservatore/ammiratore perfetto. Si rimescolano le carte in tavola.
È infine curioso scoprire come, giocando a scomporre la parola Imperfezione, diventi I’m-perfezione (dall’inglese “io sono perfezione”).
Essere perfetti nella propria imperfezione.
Amare un essere umano nella sua imperfetta perfezione è un magnifico e folle compito. In fondo siamo nati per essere unici, non perfetti.