Home FixingFixing Biennale di Venezia 2016, l’architettura come voce politica

Biennale di Venezia 2016, l’architettura come voce politica

da Redazione

In Arsenale e ai Giardini una serie di risposte concrete ai bisogni della società.

Biennale 1

 

di Alessandro Carli

 

Nell’immagine scelta dal curatore della sezione “architettura” della Biennale di Venezia, Alejandro Aravena, c’è tutta la forza portatrice di un messaggio da esplorare, da far esplodere e allo stesso far calzare e che si totemizza nel dialogo tra le domande del terzo millennio – domande che attraversano la stretta attualità, ergo gli aspetti sociali, politici ed economico-ambientali – e le risposte “concrete”, fattibili, che nascono dalla creatività degli architetti. Il curatore difatti ha richiamato in vita quel Bruce Chatwin che, in occasione di un viaggio in Sud America, incontrò l’archeologa tedesca Maria Reiche. La studiosa, che non disponeva di grandi capacità economiche, per assicurarsi una nuova prospettiva sul mondo, girava con una scala sulle spalle per potersi comunque assicurare quella visione dall’alto necessaria per comprendere meglio le curve della società. E il titolo scelta per questa edizione della kermesse veneziana – “Reporting from the front” – ben racchiude l’obiettivo che si vuole – anzi, si deve prefiggere – l’architettura: “Segnalazioni dal fronte”, ovviamente, che chiedono una risposta. “Abbiamo lamentato più volte, aprendo le scorse Biennali – ha scritto il Presidente Paolo Baratta presentando la manifestazione – che il tempo presente sembrava caratterizzarsi per un crescente scollamento tra architettura e società civile. In diverso modo le passate Biennali se ne sono occupate. Con questa Biennale vogliamo indagare in modo più esplicito se e dove vi sono fenomeni che mostrino una tendenza contraria di rinnovamento; si va alla ricerca di messaggi incoraggianti”. E i messaggi incoraggianti, auspicati sulla carta, si sono trasformati in idee: i progetti visti soprattutto in Arsenale dimostrano la volontà di voler creare, nel senso del to make inglese, e rigorosamente dall’alto della scala della Reiche – un panel di azioni che parlano della vita sociale e politica del mondo, ma anche della necessità di far dialogare, in maniera sempre più stretta, pubblico e privato: spetta ai primi legiferare tutte quelle normative che permettano poi al privato di muoversi. Così nel padiglione Italia, cantiere aperto sulla mobilità sociale, così la Romania, alle prese con un processo di “demograficazione” a nido d’ape, così la stessa Venezia, che si interroga sugli equilibri tra i disegni di Tadao Ando (sì, l’architetto chiamato anche a San Marino per il polo museale) e la filologia della Punta della Dogana, e sul tempo del legno. Così ancora i villaggi blu, l’urbanizzazione derivante dai flussi migratori che attraversano l’Europa, il problema dell’accesso alle energie naturali, la “deurbanizzazione” degli stessi architetti – altro processo migratorio – che lasciano le agorà per cercare un luogo altro, alto, da cui vedere, studiare, medicare il mondo. Come ha fatto, in maniera “precursionistica”, Reiche.

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento