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Crescono debito e spesa corrente, non gli investimenti

da Redazione

Non è solo una questione di dipendenti pubblici, che comunque pur diminuendo costano praticamente sempre uguale. Gli effetti della Spending Review non si vedono.

 

di Daniele Bartolucci

 

Per modernizzare il Paese servono investimenti, ma per farli occorrono risorse. Risorse che oggi vengono erose dalla spesa corrente (l’assestamento del Bilancio dello Stato appena approvato l’ha rivista addirittura al rialzo del 4% rispetto alla previsione inziale) e dal peso del debito pubblico, secondo le ultime stime arrivato a superare i 280 milioni di euro. Da una parte c’è la spending review da concretizzare, ma sono tante le riforme da attuare per arrivare al risultato sperato: Testo Unico degli appalti, miglioramento delle competenze della PA, evitare nuovo indebitamento. Sono queste alcune delle idee per ridurre la spesa corrente e destinare, di conseguenza, più risorse agli investimenti in infrastrutture e servizi per lo sviluppo economico.

 

FRENI AGLI INVESTIMENTI: SPESA CORRENTE E DEBITO

Quando le spese correnti arrivano al 90% si dice in gergo che “il bilancio è ingessato”. Togliere qualche punto percentuale non cambia la sostanza, visto che la parte restante, quella che potrebbe essere destinata agli investimenti, è veramente irrisoria. Un Paese come San Marino, al contrario, necessita di interventi importanti sul piano della modernizzazione, che non significa solo opere pubbliche (scuole e strade), ma anche infrastrutture tecnologiche (Tlc) e investimenti nel capitale umano (competenze, formazione). Non bastasse, da circa una decina d’anni anche San Marino è entrato nel (poco prestigioso) novero dei Paesi indebitati, arrivando oggi ad avere un debito pubblico stimato anche dai sindacati in circa 280 milioni di euro. Al netto dell’operazione finanziaria per sostenere il sistema bancario, si tratta comunque di cifre importanti. Cifre a cui – anche se in un altro capitolo – si devono aggiungere i trasferimenti all’ISS per la gestione previdenziale, che è arrivata nel 2016 a pesare per 19 milioni di euro (inizialmente erano 17). E’ chiaro che, se il debito fosse stato strutturato per fare investimenti, la situazione sarebbe ben diversa, ma ad oggi l’effetto immediato sembra essere quello di essersi indebitati per pagare le spese dello Stato e non il suo ammodernamento. Investimenti che significano, nel tempo, anche risparmi (vedi al capitolo informatizzazione della P.A.) ma soprattutto una spinta, forte e determinata, allo sviluppo economico, capace allo stesso tempo di immettere risorse nel tessuto economico (appalti) e di rendere più competitivo e favorevole l’intero sistema Paese.

 

POCHI TITOLI E COMPETENZE NELLA P.A.

Quando si parla di Pubblica Amministrazione “elefantiaca”, l’immagine che si prefigura è quella di un animale enorme, lento e con molti anni sulle spalle. In questo caso, la PA sammarinese non fa eccezione, almeno nei numeri. Perché se è vero che la “lentezza” la criticano da sempre cittadini e imprese, è altrettanto vero che un ente terzo, affidabile, come la Banca Mondiale l’ha misurata in maniera più approfondita, relegando San Marino in una posizione sicuramente poco attraente nel ranking “Doing Business” (vedi box a lato). Anche per questo servono competenze e conoscenze, come in ogni azienda. Competenze e conoscenze che spesso mancano nella PA sammarinese, se è vero tra i lavoratori dipendenti del settore pubblico, ancora oggi, il 25,9% ha solo la licenza media inferiore, più di quelli che hanno conseguito il diploma di maturità, che sono il 23,2%, o il diploma di qualifica (17,4%). Peggio ancora per i titoli accademici: i dipendenti del settore pubblico in possesso di una laurea rappresentano infatti solo il 21% del totale, a cui se ne aggiunge però un 9,1% che ha un diploma universitario. Nel redigere il nuovo Fabbisogno, va detto, titoli e competenze saranno finalmente valutati e valorizzati a dovere, evidenziando carenze (attraverso i profili di ruolo) nei vari settori e Uffici, che andranno poi compensate con nuove assunzioni, attraverso i concorsi pubblici che, come previsto, dovrebbero tornare ad essere lo strumento principe per rinnovare la P.A. nei prossimi anni.

 

ASCIUGATO L’ORGANICO IL COSTO NON DIMINUISCE

Rinnovare, però, significa anche riorganizzare la “macchina pubblica”, così come previsto dalla Spending Review di qualche anno fa. Un’operazione di verifica che, va detto, non ha prodotto quanto sperato. E’ vero che l’organico della P.A. si è ridotto, arrivando a segnare anche un -500 unità in alcuni mesi dell’anno in corso, ma il monte salari del 2015 evidenzia che il “costo” dei dipendenti non è calato proporzionalmente. La riorganizzazione degli Uffici, poi, è avvenuta solo in parte e i servizi non strategici sono rimasti comunque in capo all’amministrazione pubblica, quando, da più parti (ANIS in primis), era stata sollecitata un’esternalizzazione degli stessi. Al di là di qualsiasi Fabbisogno di oggi (quello approvato) o di domani, l’incidenza sul totale della spesa corrente risulta essere ancora troppo alto per un Paese così piccolo come San Marino: quasi un quarto delle uscite del Bilancio dello Stato è assorbito dal costo del personale della P.A. e del Settore pubblico allargato.

Una riflessione su questo aspetto va fatta, anche alla luce del referendum appena svoltosi che ha chiesto di ridurre il tetto massimo degli stipendi della P.A. a 100mila euro.

L’opinione pubblica, oltre ai dati consolidati, spingono in questa direzione da tempo e un intervento è ormai inderogabile.

Anche perché darebbe modo di utilizzare eventuali risparmi in formazione, un investimento che la P.A. sammarinese ha iniziato a fare solo da poco tempo e che, invece, andrebbe sostenuto in maniera più forte e coesa.

Un’amministrazione pubblica efficiente ed efficace, infatti, può essere un volano per tutta San Marino.

 

TITOLI DI STATO: AI PRIVATI QUASI 30 DEI 50 MILIONI

Il 2016 è stato l’anno dei primi Titoli di Stato sammarinesi (vedi Fixing nr 7), i cosiddetti “Titan bond”. Ebbene, nelle scorse settimane, il Segretario alle Finanze, rispondendo a un’interpellanza, ha svelato come sono andate le emissioni. Premesso che tutti sono stati collocati, è interessante notare che l’emissione titoli di debito pubblico “repubblica di San Marino, tasso misto cap,23 marzo 2026”; Decreto Delegato 23 febbraio 2016 n.17 (ratifica DD 11.02.2013 n.13) Isin SMOOOA18X1M6, “al 23 marzo 2016 l’emissione è stata totalmente sottoscritta dal sistema bancario, di cui: 18.886.000,00 in conto proprietà e 21.134.000,00 in conto terzi”. Mentre quella successiva, ovvero l’emissione titoli del debito pubblico “Repubblica di San Marino, tasso misto con cap,31 maggio 2026”; Decreto Delegato 4 maggio 2016 n.SS (ratifica DD 18 aprile 2016 n.48) Isin SM OOOA180MM1 “al 31.05.2016, l’emissione è stata totalmente sottoscritta dal sistema bancario di cui: 1.162.000,00 in conto proprietà e 8.838.000,00 in conto terzi”. Ovviamente, “non è possibile fornire le suddivisioni delle sottoscrizioni per categorie e neppure l’elenco delle persone giuridiche e il relativo valore di sottoscrizione”.

 

APPALTI, UNA RIFORMA A METÀ: NON TUTTO PASSA DALLA CENTRALE UNICA

Tecnicamente la “UO Acquisti, Servizi Generali e Logistica” è il risultato di oltre due anni di lavoro, partiti con la Delibera del Congresso di Stato n.23 del 7 febbraio 2013 con la quale si individuava nel Gruppo di Progetto 8 i responsabili della “proposta di Regolamento applicativo della Legge 27 marzo 2002 n.49”. Quindi non due anni, ma un lavoro iniziato ben 13 anni fa, con l’obiettivo di “completare il quadro normativo da anni incompiuto superando l’improprio e difficoltoso utilizzo in via analogica del Regolamento n. 10/2000 anche nel settore delle forniture di beni e servizi”. Tale obiettivo è stato quindi inserito anche in finanziaria nello stesso anno (art. 57 Legge 20 dicembre 2013 n. 174) e si è concretizzato nei decreti del 2014 (in particolare il 226 del 30 dicembre, in quanto il primo è stato fatto decadere) proposti dal Segretario agli Interni Gian Carlo Venturini, poi aggiornato nel n. 26 del 2 marzo 2015, che è diventato il testo di riferimento per tutti gli appalti di fornitura e somministrazione per la Pa allargata, quindi anche per tutti gli enti pubblici e le aziende autonome. L’iter si è poi concluso con la successiva delibera del 30 giugno per l’avvio della Centrale Unica per gli Acquisti, ma soprattutto con la pubblicazione dell’atteso “Regolamento in materia di contratti di fornitura o somministrazione della Pubblica Amministrazione e degli Enti pubblici”, n.9 del 10 luglio 2015. Con il DD 45/2016 e il Regolamento 7/2016, perlomeno le due voci “beni e servizi”, sono diventati realtà, anche se, al momento, non tutti gli appalti passano per la Centrale Unica (si è iniziato, infatti, con solo determinate categorie). L’obiettivo, come dichiarato dal Segretario Venturini a Fixing, è quello di una “riforma complessiva degli appalti pubblici – già in cantiere – con riferimento anche al settore dei lavori e opere pubbliche. L’intenzione è quella di arrivare a un testo unico”. Perché uniformare tutti gli appalti alle stesse regole (soprattutto per la registrazione delle imprese che vogliano parteciparvi, che oggi viene gestita singolarmente) e unificare le procedure (quindi anche la pubblicazione di tutti i bandi e i procedimenti), è un obiettivo che il sistema Paese non può non considerare una priorità. Inoltre, come stanno studiando anche tutti gli altri Paesi (in Italia la riforma Madia punta a questo) e comunque in chiave europea, è indubbio che una maggiore trasparenza e pubblicità eviti sprechi, sacche di opacità e produca risparmi e un circolo virtuoso tra investimenti pubblici ed economia sana.

 

PER IL DOING BUSINESS IL TITANO È PIÙ “LENTO” DELLA “LUMACA” ITALIA

Quanto incide la Pubblica Amministrazione sull’economia di un Paese? Al di là dei dati di Bilancio, ovvero il costo (strutture, dipendenti) che viene poi spalmato sulla cittadinanza attraverso il gettito fiscale, c’è un aspetto che non si può più trascurare ed è quello che viene nromalemente sintetizzato nella locuzione “essere al servizio degli utenti”, siano essi cittadini o imprese. Ebbene, questa incidenza può essere positiva, se effettivamente il pubblico è al servizio degli utenti, o negativa, se al contrario risutla essere un peso, un onere o peggio un ostacolo. Misurare quindi questa capacità della Pubblica Amministrazione può essere importante per compredere dove intervenire per migliorare, come organizzazione ma soprattutto come Paese. Un’analisi molto puntuale dei diversi indicatori (non tutti) è quella che annualmente viene proposta dal progetto “Doing Business”, promosso direttamente da Banca Mondiale. E’ vero che il progetto ha una sua veste quantitativa, esposta in maniera sintetica nella classifica dei Paesi in cui è più facile fare impresa, ma la lettura di questo ranking non deve essere limitata alla posizione in classifica del singolo Paese. Dieci posizioni di differenza, per esempio, non significano un gap enorme, o almeno, non sempre. La differenza tra i vari Paesi infatti, viene misurata in base alla “distanza dalla frontiera”, quindi dal migliore, nei vari parametri utilizzati. Si tratta, in pratica, di un’analisi delle best practice a livello mondiale e di come i vari Paesi si rapportano ad esse. E’ chiaro che queste pratiche siano un insieme di leggi, e normative, ma è la capacità di applicarle a fare la differenza. La componente principale di queste valutazioni, dopo l’adozione o meno delle migliori norme possibile, infatti, è la tempistica.

Detto questo, San Marino che posizione occupa? O meglio, quanto è distante dalle best practice nei vari settori che compongono il “fare impresa!? La Repubblica di San Marino si posiziona al 76° posto su 189 Paesi analizzati, migliorandosi rispetto all’anno precedente. Inoltre San Marino si avvicina di un altro mezzo punto alla ‘frontiera’, ripetendo la performance del 2014, primo anno di valutazione nel programma. Oggi la Repubblica è al 64,21%, quindi rispetto al migliore manca di poco meno di 36 punti (e non 75 posizioni come invece si potrebbe leggere dal ranking). Spiegato il metodo di calcolo, approfondiamo quindi i vari settori in cui si evidenzia, in maniera specifica, dove San Marino è già un’eccellenza, e dove invece necessiterebbe di riforme consistenti. Le classifiche settoriali del programma “Doing Business” palesano alcuni punti di forza del sistema economico sammarinese, tra cui “Allaccio/fornitura energia elettrica” (10° posto), “Commercio con l’estero” (18° posto e quasi 20 punti recuperati dalla ‘frontiera’) e “Tasse/Fisco” (32°), che pongono la Repubblica tra i primi Paesi al mondo in alcuni settori fondamentali per l’avviamento di un’impresa.

Diversi i settori deficitari, invece, che abbassano anche il dato generale di San Marino: l’accesso al credito, tallone d’Achille della Repubblica per quanto riguarda le imprese, e la gestione dei fallimenti, dovuta alla mancanza di una legge vera e propria. Altra nota dolente è la “Tutela degli investitori”, soprattutto quelli di minoranza, che vede San Marino classificarsi solo al 122° posto in classifica.

Per dare l’idea di quanto incida la burocrazia nell’economia e, quindi, nel “fare impresa”, basti pensare che l’Italia si classifica al 45° posto nel ranking generale. Dieci posizioni in meno dell’anno prima, grazie soprattutto al Jobs Act, oltre che al miglioramento della burocrazia per il commercio con l’estero, tanto che in questo settore specifico si classifica al primo posto assoluto (diventando, in pratica, la ‘frontiera’ da cui tutti, anche San Marino, misura la propria distanza).

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