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Don Peppino, una vita tra sport e giovani

da Redazione

Le messe durante i fatti di Rovereta, l’amicizia con Bartali, la colonia. Il 1° ottobre, dopo ben 63 anni, il parroco di Serravalle ha lasciato il servizio.

don Peppino Innocentini 9

 

di Alessandro Carli


Prete, educatore, formatore, guida spirituale, sportivo, attento testimone dell’evoluzione sociale ed economico della Repubblica di San Marino. Impossibile definire don Giuseppe Innocentini, per tutti don Peppino, parroco di Serravalle dal 1953 e che il 1 ottobre, dopo 63 anni, ha lasciato il servizio.

Impossibile, inizialmente, trovare un punto di inizio. Eppure basta superare la stanza del bar della parrocchia, e dirigersi nella stanza “dei trofei”: coppe, targhe, magliette, fotografie. A una don Peppino, 87 anni, è molto legato. E che svela una delle sue grandi passioni: il ciclismo. L’immagine, in bianco e nero, è probabilmente uno degli scatti più celebri del mondo della pedalata, lo scambio di borraccia tra Fausto Coppi e Gino Bartali, il campione toscano che nel 2013 è stato dichiarato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme. “Gino, un devoto cattolico, è stato un amico. Tanti anni fa venne qui nel teatro di Serravalle e spiegò il ‘mistero’ dello scambio di borracce al Tour de France degli anni Cinquanta”. Non è noto difatti chi dei due stesse passando la bottiglia al rivale.

“Coppi aveva in mano una borraccia vuota e Bartoli gli passò una bottiglia d’acqua minerale” spiega don Peppino. Poi nel tempo vennero Cipollini e Pantani. Ma c’è un altro campione che il “don” ricorda con sincera amicizia: Felice Gimondi.

“Un amico sincero. E’ venuto più volte a San Marino. Ricordo in particolar modo un incontro che tenne alle scuole medie. I ragazzi lo accolsero battendo le mani. Felice, a un certo punto, disse: ‘Non è un campione chi vince una gara ma chi è un uomo’. La platea rimase davvero a bocca aperta”.

Ma lo sport, per don Peppino, è anche altro. La Società Sportiva Juvenes, fondata da lui stesso. “Era l’estate del 1953, luglio o agosto, quando arrivai a Serravalle. A settembre fondai la Juvenes, che si ispira ai valori educativi e formativi dello sport e della vita”. Già il nome, “Juvenes”, spiega molto: “In latino significa ‘giovani’ ed è dedicata proprio a loro. In questo modo si dava la possibilità ai ragazzi di praticare un po’ di sport e di avvicinarli a un percorso di formazione morale e sportiva”. Anche per prevenire i possibili disagi e problematiche dei giovani nella società civile.

Sulla parete dello studio, una foto di Massimo Bonini con la maglia della Juventus. Juvenes, Juventus… “Ho simpatizzato per la Juventus per molti anni, anche grazie all’ex calciatore sammarinese Massimo Bonini. Oggi non lo sono più per due motivi: il primo è che non mi è piaciuto come hanno trattato Alessandro Del Piero. Il secondo è Antonio Conte: sempre arrabbiato. Non mi piaceva come trattava i suoi calciatori”.

Il rapporto tra don Peppino e Massimo Bonini è storico. “Calcisticamente si è formato nella Juvenes”. Ma c’è un piccolo, gustoso aneddoto che è molto caro a don Peppino. Ci fu un anno in cui la Juvenes dovette ricominciare da zero e perse tutti i suoi giocatori. Tranne uno: proprio lui. “In accordo con l’allenatore Pietro Paolini – racconta sorridendo -, giocò con noi, ma con un altro nome. La foto inserita nella scheda era la sua. Solo che non si chiama Massimo Bonini…”.

Giuseppe Innocentini è diventato ‘don’ qualche anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. “Nel 1953 c’era un Paese che si stava organizzando con fatica. Non c’era lavoro, e molte persone emigravano: chi andava a fare il muratore in Francia, chi lavorava nelle miniere in Belgio. I più fortunati invece attraversavano l’Atlantico in direzione Stati Uniti. Io stesso mi sono dato da fare per mandare qualche giovane negli USA. Il Titano, nei primi anni Cinquanta, era uno Stato agricolo in cui operavano artigiani, falegnami, calzolai. Le fabbriche arrivarono più tardi. Rispetto ad oggi, la vita era più sana”.

Poi vennero i fatti di Rovereta, tra settembre e ottobre del 1957. “Officiai, nei primi giorni, le messe all’interno di un capannone, mentre al di fuori dell’edificio alcuni soldati facevano la guardia. Dopo un mese venne riconosciuto un nuovo Governo”.

Quindi politica. Non possiamo non parlare delle elezioni del 20 novembre. “Secondo me ci sono troppi gruppi e troppi partiti che vorrebbero cambiare il mondo. Mancano persone formate dal punto di vista religioso, sociale e politico”. Ma come intende la politica don Peppino? “Deve essere fatta da persone che davvero abbiano a cuore il bene di San Marino. In vista della tornata elettorale di novembre, non ci vedo chiaro. Troppe promesse…”. Ma non solo. “Il momento è difficile. Potremmo certamente vivere meglio…”. Come vede San Marino? “Bisognerebbe arginare tutto il marciume che è entrato a San Marino e che ci ha girato l’Europa. C’è poi un problema che deriva dal settore pubblico: ci sono troppi dipendenti”. Una ‘macchina statale’ troppo pesante quindi. “Assorbe troppi soldi e di conseguenza ne toglie ad altre attività, come per esempio al mondo del sociale”.

Ma don Peppino è soprattutto un pastore di anime. “La famiglia purtroppo è passata in secondo ordine. Quella stessa famiglia che è il perno della società. Una società che oggi sembra una casa senza fondamenta, e quindi molto fragile e a rischio crollo”.

Anche sul Titano ci si sposa di meno. “Oggi il benessere ha portato alle convivenze, che ritengo sbagliate. Molto giovani vanno a convivere senza sapere cosa significhi fare una famiglia. E poi succede che si lascino”. Preoccupazioni che il don non nasconde nemmeno quando si parla di giovani e di donne. “I tanti episodi di violenza sono una piaga che spesso si ripercuote sui bambini, che si ritrovano a crescere senza un genitore, o senza tutti e due”. Quei bambini a cui don Peppino ha donato forse il suo gesto più importante, la colonia estiva “San Marino” a Chiusi della Verna. “E’ forse il progetto che mi ha impegnato maggiormente” spiega con un sorriso. “Nel 1954 sono stato con don Oreste Benzi in tenda sulle Dolomiti assieme ad un gruppo di ragazzi. Poi negli anni seguirono Camaldoli, Badia Pretaglia, eccetera. Fu un successo: gruppi da 60-70 ragazzi. Nel 1964, sempre in estate, fummo sorpresi da un grande temporale: fulmini, tende allagate, eccetera. Fu allora che iniziammo a cercare una struttura. Per due estati, nel 1965 e 1966, ci sistemammo in una specie di caserma in zona Chiusi della Verna. Il problema è che la struttura era adiacente ad una strada e il pallone finiva sempre lì. Così individuammo un alberghetto chiuso. Parlammo con al proprietaria, che fu ben contenta di potercelo vendere”. Vi furono uno stop da parte del Vescovo, ma venne superato. “Nel 1967 la casa era pronta, anche grazie al contributo della Cassa di Risparmio e della SUMS. Così iniziammo le attività: 5 turni ogni estate, due maschili, due femminili e uno misto. Circa 80 bambini alla volta. Nel 2016 la colonia ha compiuto 50 anni”. Mezzo secolo. “I tempi sono un po’ cambiati, oggi i ragazzi hanno più occasioni per viaggiare, trascorrere una vacanza. Ci sono più capacità di spesa”. Nonostante questo però continuano a partecipare alla colonia. E spesso vengono accompagnati dai genitori, che molti anni prima di loro avevano fatto la stessa esperienza.

Il 1 ottobre don Peppino è stato festeggiato a Serravalle. “Ho fatto il prete con grande soddisfazione” racconta mentre osserva una fotografia del giugno del 1953 che lo ritrae assieme ai suoi genitori nel suo ‘primo giorno’ da pastore di fede. “E voglio vivere il sacerdozio sino alla fine”.

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