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San Marino, sistema previdenziale: salta la scadenza per la riforma

da Redazione

L’esigenza di una revisione strutturale è emersa da diverso tempo, tanto che in finanziaria era stata formalizzata una data: entro settembre ci sarà la bozza. Ma la crisi di governo, le elezioni in arrivo (a novembre, il 20) e il tempo necessario all’insediamento, di fatto bloccano tutto. Nel frattempo i dati contabili continuano a peggiorare.

 

di Daniele Bartolucci

 

Pensioni e dipendenti della Pubblica Amministrazione. Due grandi temi che, stante la caduta del Governo, rischiano di attraversare una lunga e dannosa fase di stallo. Al pari di tanti altri provvedimenti (vedi Fixing nr.31), il lungo arco di tempo che separa l’apertura della crisi di governo dall’insediamento del nuovo esecutivo, sarà impiegato presumibilmente alla campagna elettorale (si voterà a novembre, probabilmente il 20) e agli interventi di ordinaria amministrazione. Se è vero, infatti, che la crisi politica si è aperta la settimana prima del Ferragosto, la caduta del Governo è avvenuta solo nell’ultima settimana del mese con le dimissioni di 30 Consiglieri e l’annuncio che il prossimo Consiglio Grande e Generale di fine settembre sarà stato probabilmente l’ultimo di questa legislatura, giusto in tempo per mandare avanti alcuni provvedimenti specifici, tra cui i quesiti referendari (preferenza unica, abolizione del quorum e tetto stipendi pubblici). Tra questi c’è ovviamente anche l’assestamento di Bilancio per inserire le spese per le elezioni. Manca però la Legge di Bilancio per l’anno successivo: se non verrà approvata entro la fine dell’anno (e può essere una scelta, motivata dalle elezioni fissate a dicembre per esempio), si andrà in regime ordinario, quindi solo pochi interventi saranno possibili, posticipando di fatto l’attuazione del programma elettorale che risulterà vincente nelle elezioni. Programma elettorale che non potrà prescindere dai due temi di cui sopra, per i quali ci sono due sottostanti importanti: urgenza e consenso.

 

RIFORMA PENSIONI, SALTA LA PRIMA SCADENZA?

Il Consiglio Grande di fine 2015, come noto, si è chiuso con dichiarazioni bipartisan (vedi Fixing nr. 47) sulla necessità di mettere mano all’attuale sistema pensionistico di San Marino, stante la difficoltà orami acclarata che i fondi pensione si possano sostenere in questo modo. Da una parte la diminuzione dei lavoratori contribuenti e dall’altra l’aumento dei pensionati e delle loro pensioni grazie anche all’aumentata aspettativa di vita (il rapporto è ormai di 2 lavoratori per ogni pensionato), rendono il sistema “insostenibile”, per cui vanno trovate soluzioni che traguardino i prossimi venti o trent’anni come minimo, prima che la “riserva tecnica”, ovvero i quasi 400 milioni di euro accumulati fino ad oggi, vengano erosi di anno in anno. Per questo “è dato mandato al Governo di presentare, entro il 30 settembre 2016, una proposta complessiva di riforma che riguardi il sistema previdenziale”, si legge nell’art. 61 della finanziaria appena varata, “affinché siano perseguiti i seguenti obiettivi generali: una maggiore autonomia e autosufficienza dei fondi pensione di cui alla Legge 11 febbraio 1983 n.15 e successive modifiche; assicurare le tutele previdenziali e salvaguardare gli interessi generali e i valori di solidarietà che ispirano il sistema di sicurezza sociale sammarinese; un patto intergenerazionale affinché siano equamente distribuiti gli oneri previsti sulle diverse fasce di età e non gravino in particolare solo sulle giovani generazioni”. In questi nove mesi, in effetti, qualcosa si è mosso, ma non c’è ancora una proposta concreta e difficilmente, a un mese o due dalle elezioni questo Governo presenterà un piano formale in tal senso. Mentre è molto probabile che le indicazioni più efficaci verranno scritte nei programmi elettorali: anche se la base di partenza è uguale per tutti, ovvero il deficit attuale del sistema, che potrebbe aggravarsi nei prossimi mesi e anni se non si interverrà a dovere, di certo non tutti i partiti e movimenti politici hanno la stessa idea sulle soluzioni e gli obiettivi. Da una parte infatti, c’è chi sostiene che per non far gravare tutto il peso sulle giovani generazioni si debba chiedere qualche sacrificio anche a chi la pensione la percepisce già, in particolar modo a chi magari ha versato molto meno di quanto oggi incassa mensilmente. Dall’altra parte c’è, legittimamente, chi invece parla di diritti acquisiti e spinge per una riforma che modifichi solo ciò che sarà e non ciò che è stato o è oggi. Nel mezzo, tante proposte, come il passaggio dal retributivo al contributivo, oppure lo sviluppo di un sistema a ripartizione tipo il modello svedese, oppure altri modelli misti pubblico-privato con più agevolazioni per aderire a pensioni integrative e assicurazioni particolari.

Qualunque sarà il programma vincente, di certo la riforma delle pensioni rappresenterà un banco di prova eccezionale per il nuovo Governo, dato ormai per scontato che la scadenza fissata nella finanziaria solo nove mesi fa, verrà disattesa.

 

FABBISOGNO E CONCORSI PUBBLICI: VOTI O EFFICIENZA?

Il Fabbisogno della Pubblica Amministrazione rappresenta l’operazione più importante degli ultimi mesi ad opera del Governo, sia per numero di persone interessate (quasi 4.000 dipendenti) sia per quanto inciderà nel Bilancio dello Stato e nella sua organizzazione. Non dimentichiamo infatti che al Fabbisogno, oltre alle cosiddette stabilizzazioni (solo la “prima fascia coinvolge circa 190 persone fra scuola (128, ndr), PA ed enti. Altri 100 circa all’ISS”, ha annunciato al tempo il Segretario Gian Carlo Venturini ricordando che “sotto i due anni non si può considerare precariato, sopra i due anni sì”. Per cui “c’è una seconda fascia che maturerà i requisiti al quinto anno”), consegue una riorganizzazione e ottimizzazione dei servizi che, almeno sulla carta, dovrebbe rerendere molto più efficiente la “macchina”, oltre che più economica. Questo grazie ai “Profili di Ruolo” che verranno individuati come vacanti e che verranno ricoperti tramite concorsi pubblici, fermi ormai da vent’anni. L’introduzione dei Profili di Ruolo consentirà infatti di superare definitivamente i vecchi mansionari della Dotazione Organica, garantendo una maggiore flessibilità e intercambiabilità delle risorse umane. Un ricambio generazionale, ma anche delle competenze, che dovrebbe dare una spinta eccezionale a tutti i servizi pubblici e che, stando sempre agli obiettivi prefissati, dovrebbe anche abbassare il numero dei dipendenti totali. Come questo avverrà, stante le centinaia di stabilizzazioni, è oggetto di dibattito da diversi mesi. Un dibattito reso ancora più sterile dalla caduta del Governo, perché, di fatto, sarà compito del nuovo esecutivo far fronte ad eventuali problemi legati al numero dei dipendenti, alla stabilizzazioni delle altre fasce individuate dai Decreti e anche ai nuovi concorsi pubblici che saranno, su questo si spera nessuno faccia un passo indietro, il nuovo strumento principe (e unico) per assumere nuovo personale della PA. Nel frattempo (si veda la tabella in alto), il numero dei dipendenti, dopo aver subito un vistoso calo dal picco di aprile 2010, quando l’Upeceds registrò ben 4.257 unità, ha rallentato la sua caduta e, anzi, per alcuni mesi è tornato a salire, molto probabilmente per effetto delle stabilizzazioni, mentre c’è chi – ma non è confermato – parla addirittura di nuovi ingressi pre-elettorali. Di certo è che, al 31 luglio i lavoratori dipendenti del settore pubblico allargato erano 3.672, mentre a dicembre 2015 erano arrivati a 3.579, il livello più basso finora raggiunto negli ultimi anni. Nel mezzo, quindi a primavera, erano però tornati a superare le 3.700 unità, che rappresenta una soglia comunque già troppo alta, visto che a regime il fabbisogno ha stimato in 3.657 unità il numero dei dipendenti totali. Livelli decisamente più bassi di qualche anno prima, che con i concorsi prossimi venturi dovrebbero garantire trasparenza ed efficienza, a svantaggio della discrezionalità che poteva insinuarsi nell’individuazione di alcune figure professionali. Discrezionalità che – siamo pur sempre in campagna elettorale – si traduceva in consenso politico, ovvero voti. Con i concorsi sicuramente questa possibilità è molto limitata, ma per rendere efficiente la “macchina” pubblica, non basteranno solo i nuovi strumenti di selezione/assunzione. Un altro banco di prova, difficilissimo, per il prossimo Governo.

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