Home FixingFixing L’arte di stampare le tovaglie: in viaggio con il “Virgilio” Ezio Bartolini

L’arte di stampare le tovaglie: in viaggio con il “Virgilio” Ezio Bartolini

da Redazione

Dentro i colori naturali e le tecniche che venivano utilizzate 300 anni fa.

Consorzio Terra tovaglia

 

Nonostante abbia abbinato la tovaglia di casa al color bianco – “Le dicevano: – Bambina! /che tu non lasci mai stesa, / dalla sera alla mattina, / ma porta dove l’hai presa, / la tovaglia bianca, appena / ch’è terminata la cena!” – certamente il grande poeta Giovanni Pascoli conosceva l’arte del decoro di quelle meravigliose lenzuola che venivano appoggiate sulla tavola per il desinare.

Parliamo proprio di quei motivi classici che erano presenti nelle case delle famiglie romagnole e sammarinesi, quelli eseguiti con la ruggine, e che ritroviamo anche all’interno del Museo della civiltà contadina.

Come un novello Virgilio, Ezio Bartolini – curatore della Casa di Fabbrica di San Marino – ci accompagna in un viaggio filologico per riscoprire questa antica arte, praticata già 300 anni fa. E che si apre con una premessa onestissima: “Non l’ho vissuto direttamente ma ho avuto la fortuna di conoscere una signora della Repubblica di San Marino che mi ha raccontato come si creavano e si adornavano queste tovaglie”.

Tovaglie che erano caratterizzate principalmente da due colorazioni. “Come in Romagna – racconta il signor Ezio -, anche sul Titano spiccavano due tonalità, il blu e il ruggine. Poi c’erano anche alcune variazioni sul tema, nel senso che qualcuno sperimentava, provava qualche abbinamento”.

A parte qualche variazione sul tema, la tradizione possiede due sfumature. “Per ottenere il blu venivano impiegate le bacche di Sambuco. Per altre tonalità simili i contadini utilizzavano anche altra frutta, come ad esempio ‘al brognli’, una prugna che serviva anche per dare colore e sapore alla grappa, oppure le ‘visciole’, le ciliegie. Quest’ultime, una volta che avevano perso l’acqua, erano ottime tinture. Così come il mallo di noce, di colore più scuro”. “Anche oggi – scherza il curatore della Casa di Fabbrica -, se ti sporchi le mani o i vestiti con il Mallo, non è facile mandarlo via…”.

L’effetto “ruggine”, come suggerisce il nome, veniva estratto dall’ossido di ferro. “Soprattutto chiodi, oppure vecchie lamiere – spiega Ezio Bartolini -, che venivano battute con il martello per trasformarle in polvere”.

Per creare questa specie di inchiostro naturale, oltre alla frutta e al ferro, servivano anche altri ingredienti. Anch’essi molto naturali: “Con la vinaccia veniva prodotto l’aceto di vino, cui c’era una discreta abbondanza. Poi si aggiungeva la farina. Una volta miscelato il tutto, il colore era pronto”.

Già, ma non è finita qui. “Lo stampo era fatto in legno, solitamente in melo in quando era duro ma allo stesso tempo facilmente intaccabile dall’inchiostro”. E i motivi di fantasia? “Mentre la Romagna, soprattutto la zona di Santarcangelo, aveva come ‘stemma’ il gallo, la ‘caveja’, a San Marino i disegni erano inspirati alla natura: le spighe di grano, le foglie, il grappoli d’uva, eccetera”.

Dopo giorni di asciugatura al sole, si passava alla fase del fissaggio. Un momento che Ezio ha vissuto di persona. “Quando ero piccolo, ricordo che gli adulti ci dicevano di allontanarci ma noi, curiosi, spiavamo quest’operazione. Per ‘fermare’ il colore veniva fatto il ‘Ranno’, un lavaggio con acqua calda e quattro dita di cenere. Una tecnica che permetteva alla tovaglia di resistere ai lavaggi”. Tovaglie che erano fatte di lino, qualche volta di canapa ma soprattutto di cotone. “Anche per la sua morbidezza” aggiunge Ezio.

Troviamo quindi perlomeno curioso il celebre detto “Perdere il ranno e il sapone”, ovvero “sprecare fatica e denaro in un’impresa che non dà frutti”.

I frutti, difatti, c’erano, eccome. E davano colore, assieme all’ossido di ferro, alle tovaglie delle famiglie contadine.

Le stesse che oggi sono tornate in auge.

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