Home FixingFixing Ivan Simetovic: “Le imprese che lasciano l’UK non verranno a San Marino”

Ivan Simetovic: “Le imprese che lasciano l’UK non verranno a San Marino”

da Redazione

Brexit, l’analisi dell’esperto dei sistemi bancari e finanziari internazionali: “Si dirigeranno verso altri Paesi dell’Unione europea”.

Simetovic Ivan ok

 

di Alessandro Carli

 

“L’impatto della Brexit sulle borse del sud Europa e sulle banche è stato addirittura superiore a quello che hanno avuto l’attacco alle Twin Towers di New York e il crack di Lehman Brothers del settembre del 2008”. Ivan Simetovic, laurea in Economia Politica alla Bocconi e studi alla Harvard Business School, ex manager di Mediobanca, vanta una grande esperienza nel sistema bancario e finanziario internazionale. E’ stato consulente dei più importanti fondi sovrani mondiali, da quello del Governo di Singapore all’Abu Dhabi Investment Authority. A Mediobanca ha seguito la quotazione in Borsa delle maggiori imprese italiane dell’ultima decade, venendo a contatto con i più importanti imprenditori e manager Italiani di ogni settore. Questo percorso lo ha portato ad ottenere una serie di prestigiosi riconoscimenti, quali i “Thomson Reuters Extel Awards” gli Oscar della City, che ha vinto per ben due volte nel 2008 e 2010. Oggi è un imprenditore e libero professionista che lavora in Europa, Asia e Medio Oriente, aiutando imprese e capitali ad incontrarsi. Ha creato MIA Holdings, una società dedicata agli investimenti nell’Africa Sub-Sahariana. A San Marino è impegnato come consulente dell’ISS sulla gestione e diversificazione degli investimenti del fondo pensione ma ha seguito con estrema attenzione i risultati del referendum che ha visto i cittadini del Regno Unito decidere per l’uscita dall’Unione Europea. “Conosco bene Londra – racconta -, per 15 anni ho fatto la spola con la City. Londra è la vera capitale dell’Europa, il simbolo vivente dell’integrazione possibile”.

Come si spiega il risultato della tornata?

“L’Unione Europea e prima ancora la Comunità Europea e la Comunità del Carbone e dell’Acciaio, sono nate per aggregare i popoli europei dalle ceneri della seconda guerra mondiale. Grazie a loro l’Europa ha beneficiato di un lungo periodo di pace e di stabilità. La decisione presa dai britannici, può essere interpretata in vari modi. In prima battuta, fa emergere un dato di fatto, e cioè che l’UE oggi è avvertita come inefficiente ed estremamente burocratica, distante dai problemi reali delle persone. Viene vista dalla gente solo come un unione finanziaria e non politica. Un esperimento eseguito a metà. Tornando al Regno Unito, dal punto di vista sociale, le persone anziane che vivono nelle province e che non hanno beneficiato o non capito del tutto degli effetti positivi dell’appartenere all’UE – mi riferisco alla libera circolazione delle persone per esempio, ma non solo – hanno deciso per i giovani delle grandi città, invece a favore dell’EU”.

Lo shock del leave ha avuto grosse ripercussioni sulle borse, un po’ come accadde nel 2008 per Lehmann…

“Dal punto di vista quantitativo, direi di sì: l’impatto è stato molto importante, soprattutto per la paura che i mercati oggi hanno del futuro. Le borse sono molto sensibili alle speculazioni. La sterlina si è svalutata di un 7% in un solo giorno, ai minimi da decenni. Gli indici azionari dei Paesi mediterranei, Italia e Spagna, sono crollati del 12% il giorno dell’annuncio, con molte banche che hanno perso un quarto della loro capitalizzazione in una sola seduta. Per l’Italia è stato il più grande ribasso di sempre. Questo succede perché la borsa già specula su una possibile disgregazione totale dell’UE e con questa anche dell’Euro. Ovviamente in tale scenario i paesi mediterranei sarebbero quelli più a rischio: se tornassero tassi d’interesse al 15-20% , come era in epoca pre-Euro, per paesi ad altro debito come l’Italia sarebbe il preludio al default. Parimenti, stiamo assistendo a un rafforzamento dei cosiddetti ‘beni rifugio’ come l’oro”.

La Brexit mette fine all’idea di Unione europea?

“La consultazione del 23 Giugno, va ricordato, ha valore consultivo e non vincolante: questo significa, in estrema sintesi, che la Gran Bretagna non è obbligata legalmente ad uscire dall’UE. Il governo potrebbe anche decidere di non prendere atto del voto popolare. Va ricordato però che nel Regno Unito l’etica e il rispetto per le espressioni dei cittadini hanno un ‘peso’ diverso a quello che invece accade in Italia…”.

Le banche potrebbero lasciare la piazza finanziaria di Londra?

“Dipende dalle scelte che farà il governo britannico: se uscirà dall’UE e non siglerà una serie di accordi, credo di sì. Si parla però già di rientrare nell’orbita Europea attraverso il SEE, lo Spazio Economico Europeo, quindi ancora è presto per capire. Le banche oltre ad usare capitale finanziario, soprattutto quelle di investimento, necessitano di tanto capitale umano. Londra impiega milioni di professionisti da tutta Europa e non solo. Queste professionalità potrebbero lasciare la Nazione e trasferirsi in altri Paesi, come ad esempio Dublino o Francoforte, o anche Milano. Il rischio concreto è quello di un reflusso quindi sia di capitale finanziario che umano, persone e professionisti ma anche imprese che potrebbero abbandonare il Regno Unito per trasferirsi in altri paesi dell’UE, con ricadute anche sull’occupazione britannica”.

C’è poi una parte del Regno Unito che la pensa diversamente dagli inglesi…

“Ricordiamo che il Regno Unito non è solamente Inghilterra. La Scozia e l’Irlanda del Nord, per esempio, si sono espresse per l’UE, e già si leggono ipotesi di scissione del Regno Unito stesso, con il Sinn Fein che addirittura vorrebbe chiamare un referendum sull’unificazione dell’Irlanda. Paesi che vedono l’UE come un’opportunità e non come un limite. Insomma, tanti scenari che sarebbero potuti sembrare di fanta-politica solo qualche mese fa ma che oggi potrebbero diventare concreti”.

L’effetto-domino quindi potrebbe accadere in Europa dove alcuni Paesi a forte vocazione neonazionalista – Polonia, Ungheria, Olanda, eccetera – potrebbero seguire l’esempio dell’Inghilterra…

“Il rischio c’è, non lo posso negare. Ma credo che sia un processo comunque che richieda molto tempo. Nel caso di Brexit, Bruxelles dovrà lavorare almeno due anni prima che diventi pienamente operativa, posto ancora una volta che il governo britannico inizi il processo”.

San Marino, come sa, ha avviato un percorso di accordo di associazione all’Ue. Quali possono essere le ricadute?

“La nostra Repubblica, per innegabili motivi storici, geografici ed economici, è legata all’Italia, che ad oggi rappresenta ancora il mercato di riferimento: se l’UE dovesse disgregarsi, potremmo avere molti problemi, proprio perché l’Italia è uno dei paesi più vulnerabili dell’Unione. Detto ciò, spero che la disgregazione non avvenga mai, ma che semmai questo momento di crisi di identità venga usato per rafforzare l’Unione, perché l’Unione Europea era e deve rimanere soprattutto un baluardo a difesa della pace dei popoli Europei, come è stata voluta dai suo padri fondatori. Questi circa 70 anni di pace non sono che una parentesi in secoli di guerre, non bisogna dare quindi nulla per scontato, tanto meno la pace e la prosperità: dobbiamo fare di tutto per proteggere il futuro dei nostri figli. Non dimentichiamocelo mai”.

San Marino può attirare qualche impresa che lascerà il Regno Unito? Se sì, in che modo?

“No: le imprese che andranno via, si dirigeranno verso i Paesi dell’Unione Europea. Molte banche guarderanno all’Irlanda probabilmente. Al momento, la Repubblica di San Marino non è parte dell’UE oltre ad essere troppo piccola per attrarre i colossi dell’investment banking o industriali”.

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