Home FixingFixing L’arte della trebbiatura, una tradizione di famiglia per Giorgio Stacchini

L’arte della trebbiatura, una tradizione di famiglia per Giorgio Stacchini

da Redazione

Le previsioni per quest’anno, gli orari di lavoro, i pericoli che corre la spiga.

Consorzio Terra Giorgio Stacchini 26

 

“Meriggio. La macchina trebbia / ansando con rombo profondo. / Il grano, rigagnolo biondo, / già scorre. Nell’aria è una nebbia / sottile. Sogguarda per l’aia / il nonno, con faccia rubizza. / Nell’aria una rondine guizza / radendo la bassa grondaia”. In questo frammento poetico di Enrico Panzacchi c’è parte della vita e dell’impegno di Giorgio Stacchini, che proprio in questo periodo dell’anno è alle prese con la delicata fase della trebbiatura.

Ci accoglie nella sua proprietà a Ventoso. L’impatto visivo è strabiliante: il piazzale è dominato da una macchina molto alta, marca Laverda. “E’ la mietitrebbia che utilizzo nei campi” racconta. Oggi si lavora così, ma ieri? Il viso di Giorgio si illumina: “Mio babbo lavorava con una macchina in legno, chiamata più precisamente mietilega, un macchinario che richiedeva una grande mano d’opera. Avevo 6 o 7 anni e lo vedevo, assieme ad altra gente, tutto indaffarato a pulirla, aggiustarla, eccetera”. Oggi la tecnologia ha dato una grossa mano al suo lavoro, ma le attenzioni sono più o meno le stesse. “La mattina mi sveglio molto presto, attorno alle 5. Poi, dopo essere stato nelle stalle, preparo la mietitrebbia: benzina, ingrassaggio, eccetera. E parto, ovvero mi dirigo nei campi. Il lavoro termina la sera quando scende la rugiada”.

Il cielo è terso, ma l’aria è frizzante, il 28 giugno alle 9.30. “Quest’anno la trebbiatura è partita un po’ in ritardo rispetto agli altri anni. Parliamo di un periodo-chiave per noi: lavorare bene in questo periodo permette di ‘accatastare’ il grano e l’orzo necessari per l’inverno. Il meteo però non ci è venuto incontro: abbiamo sofferto molto l’acqua. Il grano va raccolto quando è asciutto e le piogge di giugno ha messo in difficoltà tutto il comparto. Un grano umido corre il serio rischio di ammuffirsi”. E non solo per quel che concerne la raccolta. “L’annata 2016 non è eccezionale sia per la quantità che per la qualità. E’ andata decisamente meglio nel 2012, l’anno della grande nevicata di febbraio. Ad ogni modo, nel 2016 spero di raccogliere circa 300 quintali di orzo, che verrà utilizzato come mangime per le vacche da latte, e più o meno 1.000 quintali di grano, che porterò alla CAPA, la Cooperativa Ammasso Prodotti Agricoli”.

Come detto, la mietitura deve sempre guardare il cielo. “I pericoli sono tanti. Una tempesta più ‘stendere’ il grano, una grandinata invece lo rovina. Le palline di ghiaccio staccano la spiga dal gambo e, una volta a terra, non può più essere raccolta”. La stretta attualità e i fatti di cronaca locali ci portano a parlare anche di un altro pericolo, questa volta via terra: i cinghiali. “Non mangiano il grano, però – visto che non sono così delicati nei movimenti – quando si muovono o si sdraiano, rovinano il raccolto”.

Non possiamo poi non parlare di economia. “Oggi il valore del grano è molto basso, siamo attorno ai 16-18 euro al quintale. Una cifra che, non lo nego, non riesce a coprire le spese di produzione. Certo, oggi le macchine danno una bella mano, non posso negarlo, e permettono di lavorare meno tempo e a condizioni migliori. Il problema è che il valore del grano è crollato…”.

Giorgio Stacchini torna indietro nel tempo. “Da bambino vedevo tutte queste persone che facevano i fasci, e poi con i carretti trasportavano il grano. Era un momento di lavoro ma anche di festa: nei campi c”erano anche dieci o dodici persone e alla fine della trebbiatura, che dura all’incirca un mese, chi aveva partecipato a questo ‘rito’ si riuniva per fare una festa: mangiavano tutti insieme e brindavano”.

Come in una poesia di Armando Bettozzi, che suona così: “E torna, così, e soltanto, resta, il bello / d’una giornata che è la grande festa / che alla fatica, dà… ma non l’arresta, / che già aspetta, la cantina, il vin novello”.

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