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Il fabbisogno della PA: tra precari, concorsi pubblici e monte salari

da Redazione

Dal 2010 a oggi il numero di occupati nel settore pubblico si è ridotto di 500 unità, con risparmi per 10 milioni di euro. Ma rispetto al 2007 (400 unità in più di oggi) il totale degli stipendi è quasi lo stesso.

 

di Daniele Bartolucci

 

Fabbisogno e profili di ruolo diventeranno gli strumenti con cui la Pubblica Amministrazione potrà – e dovrà – riorganizzarsi a livello di organico e, quindi, di posti di lavoro. L’introduzione dei Profili di Ruolo consentirà infatti di superare definitivamente i vecchi mansionari della Dotazione Organica, garantendo una maggiore flessibilità e intercambiabilità delle risorse umane.

Dopo oltre vent’anni ripartiranno quindi in maniera efficace ed esclusiva i concorsi pubblici, non prima di aver “stabilizzato” i precari interni, il cui numero è obiettivamente difficile da recuperare, stante la diversità di posizioni e diritti. Di certo è che, in base all’accordo siglato tra Governo e sindacati – ratificato nell’ultima seduta del Consiglio Grande e Generale – ci saranno quasi duecento precari in meno a fronte di un numero pari di occupati in più nel settore pubblico allargato. Questo fin da subito, secondo i criteri stabiliti, poi una successiva “fascia” che acquisirà gli stessi diritti nel prossimo quinquennio. Se dovessero venire confermati i numeri, quindi, non si arriverebbe a compensare i quasi 500 posti “tagliati” negli ultimi cinque anni nella PA, ma non si andrebbe nemmeno così lontano. Motivo per cui il dibattito politico si è scaldato parecchio in Consiglio e fuori da Palazzo Pubblico nei giorni successivi.

 

DIPENDENTI E CONTRATTI: I NUMERI DEL PUBBLICO

Nel settore pubblico impiego lavorano oggi 3.709 persone, ma se si considera il picco di aprile 2010, quando l’Upeceds registrò ben 4.257 unità, si può parlare di una consistente riduzione di occupati negli ultimi 5 anni, come ha rilevato il Segretario agli Interni Gian Carlo Venturini, che ha presentato i provvedimenti riguardanti l’Accordo di governo e sindacati per il superamento del precariato nel settore pubblico allargato, quindi il decreto attuativo e il decreto sul Fabbisogno pubblico. A livello retributivo e contrattuale, però, ci sono parecchie differenze tra lavoratore e lavoratore, in quanto sono applicati quattro contratti. “Quello che interessa il maggior numero di lavoratori, circa 3 mila”, si legge sul sito della Cdls, ma il dato è riferito a quando c’erano 4mila lavoratori, “è il contratto dei dipendenti in organico (legge n° 41 dicembre 1972). Segue il contratto “privatistico” che coinvolge quasi 800 lavoratori (Accordo per il personale ausiliario e operativo – Febbraio 1992). Questi due contratti sono rinnovati insieme, unificati nel contratto di lavoro del “Settore Pubblico Allargato”. Il terzo contratto riguarda i salariati dell’Azienda Autonoma di Stato di Produzione (AASP) che interessa circa 400 lavoratori. C’è inoltre il contratto dell’Istituto Musicale (Ente misto pubblico-privato) che riguarda circa 30 dipendenti”.

Detto questo (si veda la prima tabella in alto), la parte del leone la fa la Pubblica Amministrazione con oltre 2.250 dipendenti, segue l’ISS con 967, quindi l’Aaslp con 304, l’Aass con 147, l’Università con 26 e il Cons con 8 (dati Upeceds al 31 marzo 2016). L’evoluzione di questi numeri, se graficata, apparirebbe come una “gobba”, laddove fino al 2010 si verifica una crescita di occupati, poi una discesa costante fino ad oggi.

L’insieme dei contratti del settore pubblico (seconda tabella), genera un monte salari che segue un corso simile, ma non uguale: dai circa 123,5 milioni di euro del 2007, si è arrivati ai quasi 132 milioni nel 2010, da cui si è scesi di anno in anno fino al 2014, quando si è tornati ai livelli del 2007 e nel 2015 quando si è scesi ancora, fino ad un totale di 121,5 milioni di euro.

Questo conferma quanto dice il Governo, ovvero che dal 2010 a oggi sono diminuiti i dipendenti pubblici (mancati rinnovi, pensioni naturali e prepensionamenti), con conseguente risparmio di circa 10 milioni di euro. Come si noterà, però, nel 2007 c’erano circa 400 dipendenti in più, otto anni dopo sono molti meno, ma il monte salari si è ridotto di soli 2 milioni, motivo per cui è facile ipotizzare che ci siano stati aumenti continui, probabilmente determinati da tanti fattori come scatti di anzianità, promozioni, nuovi carichi di lavoro e nuove mansioni. Oppure, facendo un conto meramente matematico, si potrebbe dire che dal 2010 ad oggi, se è vero che 500 persone in meno valgono 10 milioni di euro nel monte salari, si potrebbe dire che si è “tagliato” solo personale che in media guadagnava 20mila euro l’anno, forse anche meno. Ancora più evidente il confronto con il 2007, visto che il “valore” di 400 persone in meno è stimato in meno di 2 milioni di euro, 5.000 euro cadauna.

 

I PRECARI DELLA PA STABILIZZATI “A FASCE”

Come noto, non tutti i contratti sono a tempo indeterminato e molto spesso anche nella PA si sono create vere e proprie sacche di precariato che attendono risposte da anni, a volte decenni. Alla fine degli anni ’90 si sancì il blocco delle assunzioni e da lì in poi è stata un’escalation di usi e abusi di borsisti, convenzioni, collaborazioni e altro, che dopo tanti anni vanno riordinati e stabilizzati. Il decreto delegato, recependo l’impostazione dell’Accordo del 18 febbraio 2016, disciplina in due distinti articoli i cosiddetti “precariato esterno” e “precariato interno”. E’ nell’ambito di queste due macro tipologie che, ha spiegato il Segretario Venturini, “specifica i diversi procedimenti da osservarsi in ragione della suddivisione del personale in due fasce secondo la differente anzianità di servizio, suddivisione cui consegue l’individuazione di diversificate modalità di conseguimento della stabilità del rapporto di lavoro (per il precariato esterno) e dell’inquadramento nella posizione diversa (per il precariato interno)”. La “prima fascia coinvolge circa 190 persone fra scuola (128, ndr), PA ed enti. Altri 100 circa all’ISS”, ha annunciato Venturini ricordando che “sotto i due anni non si può considerare precariato, sopra i due anni sì”. Per cui “c’è una seconda fascia che maturerà i requisiti al quinto anno”.

A scanso di equivoci, “il decreto delegato specifica, poi, che gli effetti economici derivanti dalla ricostruzione di

carriera sia per il personale precario esterno che per quello precario interno si produrranno senza corresponsione di arretrati”.

 

LA COPERTURA DEI PROFILI DI RUOLO CON I CONCORSI

Come detto, di provvedimenti ne sono stati approvati e ratificati diversi: “Il primo intervento”, ha spiegato il Segretario Venturini, “riguarda l’attuazione di un decreto sui precari, l’altro sul fabbisogno della PA. I provvedimenti si aggiungono a un recente regolamento relativo all’istituzione dell’albo dei commissari per le commissioni di concorso. C’è inoltre un intervento in via di definizione sulle regole da applicare dopo aver applicato il fabbisogno, l’inquadramento, la stabilizzazione. In quest’Aula non si discute un provvedimento così complessivo da oltre 20 anni. Il fabbisogno è completo e generale. C’è stato un confronto con le organizzazioni sindacali per tenere conto delle necessità della PA, inclusa l’informatizzazione e il contenimento dei costi”. Detto questo, il fabbisogno diventa dunque lo strumento più importante con cui l’amministrazione pubblica definirà concretamente dove e come serviranno i dipendenti, in che ruolo e con quali mansioni. Stando a quanto riportato dal Congresso di Stato all’indomani dell’approvazione dei provvedimenti, “il quadro del fabbisogno si attesta complessivamente su circa 3.657 unità (compresi gli Enti del settore pubblico allargato, Dirigenti, Poste, Salariati AASLP, ecc.)”. Quindi cinquanta persone in meno rispetto all’attuale organico, ma con professionalità molto differenti rispetto ad oggi e una maggiore organizzazione dei ruoli e delle funzioni.

Discorso a parte, come detto, le stabilizzazioni dei precari, ma esaurita questa fase si dovrà dare corso all’intendimento contenuto nel fabbisogno, ovvero collocare le professionalità giuste nei posti giusti, secondo un criterio di economicità e necessità. Per farlo, “tutti i posto vacanti dovranno essere ricoperti entro sei mesi con concorsi pubblici”, ha annunciato Venturini. Di fatto si aprirà una nuova stagione di concorsi interni, prima, e una volta esauriti questi, concorsi pubblici in piena regola, con l’obiettivo dichiarato di “un incremento delle risorse di maggiore professionalità, cioè laureati e diplomati. Ciò per dare riqualificazione e slancio alla PA nell’erogazione dei servizi”. In effetti è questa la sfida principale, visto che le stabilizzazioni, comunque, prima o poi sarebbero arrivate. Rinnovare la PA, favorire un ricambio generazionale sia di età che di competenze e professionalità, riorganizzare i carichi di lavoro, le mansioni e – quanto prima – anche gli orari di lavoro perché coincidano con le esigenze del privato, cittadino o impresa che sia: sono questi gli obiettivi che ci si dovrebbe porre d’ora in avanti. E quindi, professionalizzare sempre più il personale della PA, formarlo adeguatamente, metterlo nelle condizioni (e nei ruoli) di esprimersi al meglio.

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