Letteralmente: “La capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, mentre si sta cercando altro, soprattutto in campo scientifico”.
di Pellegrino Verruso
La piccola enciclopedia Treccani recita più o meno cosi: “sostantivo femminile, dall’inglese serendipity, coniato nel 1754 dallo scrittore inglese Horace Walpole che lo trasse dal titolo della fiaba The three princes of Serendip: era questo l’antico nome dell’isola di Ceylon, l’odierno Srī Lanka.
Letteralmente: “La capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, mentre si sta cercando altro, soprattutto in campo scientifico”.
Oppure, se preferite, la versione del Grande Dizionario Italiano Hoepli: “Lo scoprire casualmente e in modo imprevisto un fenomeno d’importanza fondamentale durante prove o esperimenti effettuati per tutt’altro scopo, o fondati su basi teoriche del tutto estranee alla scoperta”
Vorrei, però, che non si pensasse che solo scienziati e ricercatori possono “inciampare” nella serendipità perché anche a noi, nel nostro piccolo può succedere di “cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”.