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Repubblica di San Marino, referendum 2015: la posizione e le motivazioni di C10

da Redazione

Sono i 2 referendum su cui diamo indicazioni di voto. Sugli altri 2 non diamo indicazioni di voto.

 

Preferenza Unica – Perché votare NO

“Volete voi che ogni elettore, sia il cittadino residente nella Repubblica di San Marino, sia il cittadino residente all’estero, in occasione delle elezioni politiche generali, possa manifestare un’unica preferenza per un unico candidato appartenente alla lista prescelta?”

La motivazione che ha mosso i promotori di questo quesito referendario è principalmente quella di limitare il fenomeno delle cosiddette “cordate”. Ma cos’è una cordata?

Per cordata si intende l’operazione “elettorale” che il capo-cordata, ossia colui che sa di avere a disposizione un numero considerevole di voti – con una certezza che gli deriva ovviamente da operazioni clientelari – mette in piedi distribuendo i propri voti su un certo numero di suoi compagni di lista che, nel momento in cui dovessero essere eletti, gli dovranno fedeltà assoluta.

Fino agli anni ’90 le preferenze previste per le elezioni politiche erano 6, dopodiché è intervenuta una modifica che le ha portate alle attuali 3, proprio per limitare questo fenomeno che in quegli anni aveva raggiunto numeri preoccupanti.

Nel 2008, poi, è intervenuta la modifica di legge che ha eliminato la possibilità di esprimere preferenze per gli elettori esteri, che si devono limitare a votare la lista. L’intento di quella modifica è stato quello di limitare la distorsione dei viaggi organizzati e spesati dai Partiti, su cui qualche esponente politico ha costruito la sua fortuna politica.

La speranza dei proponenti di questo quesito è che imporre un’unica preferenza per tutti, interni ed esteri, riesca ad eliminare definitivamente il pericolo di nascita di cordate.

Ma è veramente così? E quali conseguenze porterebbe avere un’unica preferenza politica?

Sicuramente ridurre le preferenze rappresenta una riduzione della libertà di scelta del cittadino. Se oggi ogni cittadino residente può dare la sua preferenza a tre candidati, domani si dovrà limitare ad un solo candidato.

Questo, se da una parte introduce nuovamente la possibilità di esprimere una preferenza per i cittadini residenti all’estero – quindi riapre le porte alle distorsioni legate al fatto che chi ha più risorse economiche può permettersi di farsi campagna elettorale presso i collegi esteri – dall’altra provoca necessariamente una polarizzazione dei voti.

Aumenterà infatti la distanza fra chi prenderà più voti e chi ne prenderà di meno. Chi ha la possibilità di avere più visibilità mediatica potrà concentrare su di sé una mole importantissima di voti, chi non ha quel tipo di visibilità – come i candidati più giovani, o i “nuovi” della politica – vedrà ridurre la possibilità di essere eletto.

Dentro i grandi partiti si potrebbe addirittura verificare che chi ha una famiglia numerosa potrebbe arrivare a farsi eleggere, per via della dinamica che eliminerà la “classe media” elettorale, senza che siano valutate seriamente le sue capacità.

Queste dinamiche nascondono un rischio pericolosissimo, quello di favorire la creazione di una vera e propria casta intoccabile. Con un unica preferenza, chi ha maggiore visibilità, magari perché è già dentro il sistema politico, o perché ha più risorse economiche per farsi campagna elettorale, avrà un vantaggio decisivo nei confronti di chi non ha né visibilità, né risorse economiche, ma magari potrebbe essere votato come “terza preferenza” per dare la possibilità di farsi valere ad un outsider.

E le cordate? Beh, chi riesce a gestire delle cordate ha evidentemente un controllo analitico dei propri voti. E per chi riesce a gestire in maniera così ferrea 600 voti dividendoli su tre nomi, per esempio, con le tre preferenze, cambierà qualcosa nel momento in cui ci sarà un unica preferenza? O riuscirà comunque a gestire le preferenze, smistandoli su tre nominativi e riuscendo comunque nel suo intento?

A noi pare quindi evidente come gli aspetti negativi, i pericoli insiti nel ridurre le preferenze ad una unica, estendendole nuovamente anche agli elettori esteri, sono molto più numerosi rispetto agli ipotetici benefici.

Per questo Civico10 invita la cittadinanza, il 15 maggio, a votare NO a questo quesito.

 

Senza quorum per aumentare la partecipazione

Votare SI alla scheda verde, per abrogare il quorum referendario, potrebbe significare un momento storico per l’evoluzione della democrazia del nostro Paese.

Non fatevi fuorviare dai “seminatori di terrore” che sussurrano all’orecchio che, senza quorum, si giungerebbe ad una vera e propria inflazione referendaria, mettendo così in crisi la governabilità del Paese.

Si trattadi una bugia facilmente smascherabile: abrogando il quorum non cambierebbe infatti assolutamente nulla nella procedura prevista per la presentazione di un referendum. Gli scogli da superare rimarrebbero esattamente gli stessi: costituzione di un comitato promotore (60 firme), vaglio del Collegio Garante (la cui decisione in merito al rispetto dei criteri previsti dalla legge è inappellabile), raccolta delle firme a sostegno (1,5% del corpo elettorale, quasi il doppio rispetto all’Italia) da effettuare con la presenza di un Pubblico Ufficiale, ecc ecc.

Il quorum, oggi, rappresenta esclusivamente una distorsione democratica che sopraggiunge dopo l’avvio della procedura referendaria, quindi dopo che il quesito è stato di fatto considerato di interesse generale. Viene calcolato, inoltre, esclusivamente sui voti positivi e su un corpo elettorale che comprende anche i nostri concittadini all’estero – evidentemente poco incentivati a farsi il viaggio fino a San Marino per votare su materie spesso di valenza territoriale.

Se si ritengono invece poco tutelanti gli scogli previsti per legge a tutela della validità generale del quesito, bisogna chiedere – come ha fatto Civico10 nella sua proposta di abolizione del quorum, e come proporrà nuovamente una volta approvato il referendum – di renderli più impegnativi, per esempio aumentando il numero di firme necessarie a sostegno. Aspetto su cui, peraltro, si sono detti più volte disponibili a ragionare anche gli stessi promotori del referendum.

Ma una volta che quegli scogli sono stati superati, la presenza di un quorum al voto rappresenta esclusivamente un incentivo all’astensione. È sotto gli occhi di tutti che chi si astiene, spesso lo fa perché non correttamente informato sull’argomento, o perché non interessato all’argomento. A volte viene spinto all’astensione addirittura dalla sua formazione politica di fiducia che, in questo modo, lo spinge anche a non informarsi.

Chiariamo ogni dubbio, in democrazia astenersi da una votazione è legittimo, anche se non auspicabile. Nessuno può essere obbligato a votare. Tuttavia l’esistenza di un quorum permette di fatto, a chi si astiene, di impedire l’espressione democratica di chi si informa e vuole partecipare alla vita pubblica del suo Paese.

Eliminare il quorum vorrebbe dire dare valore ad ogni singolo voto, e rendere ininfluente l’astensione. In quel caso, quindi, tutte le forze interessate al quesito, politiche, sindacali, associazioni, sarebbero incentivate ad informare la popolazione e a spingerla verso le urne.

Si creerebbe, e questo è innegabile, un meccanismo positivo che incentiverebbe il coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica.

Il 15 maggio andiamo in massa a votare SI per l’abrogazione del quorum sui referendum, cambiamo la storica democratica della Repubblica di San Marino.

Civico10

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