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Franco Nembrini, dalle stelle sino agli inferi

da Redazione

Il professore è stato ospite, nel novembre 2014, di Villa Manzoni. Ha conosciuto Dante a 11 anni e grazie a una terzina e si è commosso.

 

E’ ancora negli occhi e nelle orecchie della platea di Villa Manzoni la serata, organizzata da Ente Cassa di Faetano – fondazione Banca di San Marino che ha visto salire in cattedra il professor Franco Nembrini, impegnato – era il novembre del 2014 – in “Ad Sidera: Dante e l’Inferno”.

Tra i passaggi più sentiti, il suo primo incontro con il poeta fiorentino: “A 11 anni ho dovuto lavorare come garzone in un negozio. Avevo legittime ragioni per essere in difficoltà: la malattia del papà, la condizione della mia famiglia, la fatica del lavoro. Era molto tardi, mi avevano chiesto di scaricare fuori orario un camion con delle casse di acqua e di vino. Piangevo, alle 11 di sera, mi si chiede di fare un’ulteriore fatica, ero lontano da casa, la nostalgia… A un certo punto, mentre portavo le mie casse su questa ripida scala che andava al magazzino, mi sono ricordato di una terzina che avevo studiato: è una terzina del Paradiso dove Dante si fa profetizzare dal suo trisavolo il destino di esule, con queste parole: ‘proverai si come sa di sale lo pane altrui e com’è duro calle lo scendere e ‘l salire per l’altrui scale’. E io a 11 anni mi sono messo a piangere di commozione perché ho fatto questa scoperta: che Dante parlava di me e che descriveva la mia fatica, il mio dolore, la mia nostalgia con parole che perfino chiarivano a me stesso quello che stavo vivendo”.

Per Dante e per gli uomini medievali era normale sentire consapevolmente di essere capaci di un desiderio infinito di bene, di bellezza e di verità.

“E’ a questo punto – ha proseguito il professore – che Dante ha un’intuizione speciale, ad un certo punto sente che questo grande desiderio potrebbe realizzarsi nel rapporto amoroso con una ragazza. Ad un certo punto nel rapporto con lei sembra che questa felicità possa davvero realizzarsi su questa terra. E invece sul più bello Beatrice muore. Questa morte è l’origine vera della Divina Commedia”.

Franco Nembrini poi ha affrontato il dualismo tra la vita e la morte: “Capire l’esperienza che Dante fa di questa morte è indispensabile per entrare con lui nella Divina Commedia, perché è anche la nostra, bisogna solo rendersene conto. Sentiamo tutti la vita come una promessa di felicità, da quando siamo nati, ma tutti facciamo anche l’esperienza della contraddizione, della morte, del dolore, della fatica”.

Dante Alighieri, quando muore l’amata Beatrice, accetta la sfida e afferma che deve capire come funziona la vita, perché la vita non può essere questo inganno.

“Se Beatrice gli ha fatto intravedere la felicità, e poi sembra tradire questa promessa – così si è espresso davanti al pubblico di Villa Manzoni -, vuol dire che lui della vita ha ancora tanto da capire e da imparare. Vuol dire che in verità non sa davvero chi è Beatrice e dedicherà la vita a cercare di capirlo Per lui, cercare di capire chi è Beatrice è cercare di capire l’enigma della vita sua e di tutti gli uomini. Sente che la sua vicenda ha un valore universale”.

E sul finale, quei celebri versi che scandiscono l’incipit della Divina Commedia, con quella selva oscura che è la condizione in cui ci troviamo tutti. Perché “Dante mette a tema proprio questa paura dell’uomo di fronte alla vita. Tutti la sentiamo a volte come un’incomprensibile contraddizione. Tutti vorremmo invece che la vita fosse piena, bella, nella luce. Il problema è sapere se la luce esiste, cioè conoscere la verità, raggiungerla per vivere nella luce. Dante è nella selva oscura, vede un raggio di sole in alto, cerca di raggiungere la luce, ma gli è impossibile perché un leone, una lonza e una lupa lo fermano e lo ricacciano nel fondo della selva. Sta per morire, quando gli compare di fronte un’ombra, che è il grande Virgilio. Vi faccio notare che il percorso che fa Dante parte dalla selva, da un’oscurità, intuisce l’esistenza della luce, cerca di raggiungerla con le sue forze, ma il tentativo fallisce. Questa parabola tragica che lui ripercorre nel primo canto della Divina Commedia, è quella in cui era stata sintetizzata tutta la concezione antica dell’uomo, il mito di Icaro. La vita è un incomprensibile labirinto, si cerca con le ali di cera di volare verso il sole, ma lo strumento è troppo debole ed è inefficace: si fallisce. Questa è l’antichità, ma Dante è un cristiano, e quindi introduce una possibilità prima impossibile. Cioè proprio quando tutto sembra perduto, quando il tentativo personale e solitario è fallito, un incontro improvviso, una presenza, quella di Virgilio, rende possibile ripartire”.

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