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Tax dumping ed evasione: stretta UE sulle multinazionali

da Redazione

Obbligo di dichiarare e pubblicare tutti i dati di bilancio, comprese tasse versate e dipendenti. Dopo gli scandali LuxLeaks e Panama Papers è finalmente pronta la nuova direttiva.

 

di Daniele Bartolucci

 

Mentre nel mondo tremano i “potenti”, sempre più invischiati nelle maglie degli ormai ex paradisi fiscali, Bruxelles sta per sferrare un altro colpo – probabilmente decisivo – contro le multinazionali che evadono il fisco in Europa. Sulla scia degli scandali degli ultimi anni, per ultimo i “Panama Papers”, ma senza scordare “LuxLeaks”, la Commissione ora chiede a tutti i grandi gruppi di rendere pubblici i bilanci e il valore delle imposte versate in ogni singola nazione europea in cui operano. Un modo per imporre un controllo pubblico ed evitare accordi sottobanco con governi compiacenti. L’obiettivo è quindi l’eliminazione della tax dumping, ossia la iniqua competizione fiscale tra i diversi regimi Ue, come è venuto alla luce nel caso dell’Olanda, che stringeva accordi con le grandi aziende globali per far pagare loro aliquote ridicole sui profitti realizzati in tutto il continente.

 

INFORMAZIONI PUBBLICHE SU RICAVI E TASSE PAGATE

La direttiva sullo scambio delle informazioni fiscali sulle attività delle multinazionali è sostanzialmente il primo passo del pacchetto anti-evasione annunciato da mesi e punta a trasporre gli standard dell’Ocse sulla reportistica nazionale nel diritto comunitario dopo i vari scandali registratisi negli ultimi anni. In particolare il documento copre multinazionali con un fatturato complessivo di almeno 750 milioni di euro che però rappresentano insieme il 90% circa dei ricavi d’impresa nell’intera Europa. Sarebbero previsti potenziamenti nella governance, nella trasparenza e nei metodi di lavoro delle imprese. Prevista in parallelo la valutazione dei regimi fiscali potenzialmente pericolosi con un coinvolgimento più precoce e più frequente del Consiglio UE. “Negli ultimi anni”, evidenzia una nota Ue, “i piani fiscali d’impresa sono diventati sempre più complessi e hanno consentito lo spostamento dei proventi tassabili verso regimi fiscali privilegiati”. L’incremento della trasparenza dovrebbe incentivare le multinazionali a pagare le tasse laddove i proventi sono realizzati (il sistema è quello del country-by-country) e alle corporation saranno chieste informazioni suddivise per singola nazione e comprensive di ricavi, profitti, tasse pagate, capitale, utili, attivi tangibili e numero di dipendenti. Già dall’anno in corso, in pratica, le multinazionali – europee e non – con un giro d’affari superiore ai 750 milioni e con una filiale nell’Unione, dovranno pubblicare sul proprio sito e su un apposito registro tutte le informazioni sulle attività svolte in ogni singolo Paese europeo. Se una multinazionale non ha la sede nell’Unione europea i documenti dovranno essere compilati dalla controllata europea con l’obbligatorietà dal prossimo esercizio fiscale (sarà opzionale quest’anno). I rapporti saranno inoltre scambiati in automatico tra le varie autorità fiscali in modo da valutare ogni eventuale problematica connessa al transfer pricing infragruppo. Per la Commissione Europea, infatti “Un ambiente di regole complesse e di riservatezza fiscale permetteva alle multinazionali di sfruttare scappatoie non trasparenti e di frodare il fisco” per un valore complessivo in Europa di 70 miliardi all’anno. Per questo, “per impedire che le grandi aziende spostino i profitti da un Paese all’altro spuntando un trattamento di favore, prassi che ad oggi costa il 30% di tasse in più alle imprese oneste”, la Commissione vuole “allineare a livello geografico le entrate fiscali alle attività svolte, promuovere una concorrenza più leale nella Ue con un dibattito trasparente e democratico”. Questa operazione si inserisce nel percorso, gravoso e pieno di rischi, che il Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, sta portando avanti anche per recuperare anche un po’ di fiducia da parte dei cittadini europei nell’UE stessa. Fiducia che si può riconquistare anche limitando quella sorta di “ingiustizia” che si annida dietro l’imposizione fiscale. Fiducia martoriata dagli scandali degli ultimi anni, in questo caso, come dimostra il recente Panama Papers.

 

IN PARLAMENTO SUBITO MA C’È GIÀ CHI FRENA

A gennaio la Commissione ha varato il primo pacchetto contro le frodi delle multinazionali imponendo loro di pagare le tasse nel Paese nel quale svolgono la propria attività e realizzano profitti e anche l’Ecofin ha già dato la sua approvazione. Ora Bruxelles completerà l’opera con il provvedimento per centrare l’obiettivo tanto atteso. La proposta dovrà essere accettata dall’Europarlamento e dai governi dei 28, ma non avrà vita facile tra chi la ritiene debole accusandola di evitare il profit shifting nella Ue ma non verso i paradisi fiscali degli altri continenti, e chi al contrario la vuole depotenziare. Il gruppo socialista a Strasburgo, ad esempio, vorrebbe di più come spiega il capogruppo Gianni Pittella (Pd): «Vogliamo che la proposta riguardi tutti i paesi e non solo quelli dell’Ue perché i cittadini devono conoscere le imprese che spostano i profitti nei paradisi e vogliamo che l’ obbligo di trasparenza si applichi a tutte le imprese». Tra i governi favorevoli e che chiederanno anche di più ci sono quelli di Francia e Germania, mentre britannici, irlandesi e olandesi, secondo le prime indiscrezioni, proveranno a smontare la proposta.

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