Nell’aprile del 2013 il cantautore Gian Maria Testa, scomparso oggi, salì sul Titano con Giuseppe Battiston con lo spettacolo “Italy”.
di Alessandro Carli
Nell’aprile del 2013 il cantautore Gian Maria Testa, scomparso oggi, salì sul Titano con Giuseppe Battiston con lo spettacolo “Italy”. Ecco l’intervista.
Italy. Il titolo è all’inglese. Come mai?
“E’ il titolo del poemetto scritto da Giovanni Pascoli nel 1904. Non si tratta di uno spettacolo, ma di un reading: Giuseppe Battiston legge e io intervengo con la musica. L’opera di Pascoli narra le vicende di una famiglia di emigranti. Protagoniste della vicenda sono una bimba nata oltreoceano, in America, e portata in Italia, a Caprona, in Luccheria, dagli zii per curare la tisi, e sua nonna che la accudisce. Credo abbia un senso profondo mettere in scena questo lavoro in questo periodo. Noi italiani siamo stati emigranti per molto tempo. Oggi sono forse i più giovani che cercano un’opportunità di lavoro all’estero. In materia di immigrazione, l’Italia ha le peggiori leggi. Per cercare di proteggerci, credo sia inevitabile che chi non riesce a sopravvivere nella sua terra, provi a farlo altrove. La tematica è molto contemporanea. Nello spettacolo intervallerò le parole di Battiston con alcune musiche. Il tema dell’emigrazione lo ho affrontato anche nell’album ‘Da questa parte del mare’. In scena ci saranno alcuni brani raccolti in questo cd”.
Quali sono i punti di contatto tra Pascoli e “Da questa parte del mare”.
“Ci sono parecchie affinità. ‘Da questa parte del mare’ è un disco che mi fa star male. In Italia esiste il reato di immigrazione. Chi è senza lavoro e non ha il permesso di soggiorno, commette un reato. Secondo me è paradossale. Tra il 1860 e il 1950 oltre 35 milioni di italiani sono emigrati all’estero. Un’latra Italia fuori dall’Italia. Ci sono più italiani a Toronto che a Bologna o a Cuneo. Si dice che gli immigrati portino problemi. A New York, nel 1920, il 40% dei carcerati era italiano: i più deboli, per sopravvivere, sono costretti a rubare. Un po’ come succede adesso in Italia”
Pascoli era legato alla sua terra. Qual è il suo rapporto con il Piemonte e il dialetto?
“Molto profondo. Il dialetto piemontese è l’idioma materno e paterno. Io sono nato in un’epoca lontana: in quegli anni – io vengo dalla campagna – si parlava in dialetto. L’italiano si imparava a scuola. Oggi parlo piemontese con i miei genitori: se parlassi in italiano con mio padre, si chiederebbe se sia successo qualcosa di grave. Anche con mio fratello parlo in dialetto, mentre con le mie sorelle parlo un po’ in piemontese e un po’ in italiano. Sogno in dialetto, mi arrabbio in dialetto e conto i numeri in dialetto. E’ imprinting iniziale. Non amo il piemontese: il napoletano o il romagnolo mi piacciono di più”:
Com’è nato lo spettacolo?
“Io e Giuseppe stavamo girando con un altro spettacolo, ’18 mila giorni – Il Pitone’, che racconta la storia di un 50enne licenziato dal lavoro. Giuseppe mi ha detto di leggere ‘Italy – Sacro all’Italia raminga’. Dovevamo farlo solamente al ‘Festival della Mente’ di Sarzana, poi invece l’abbiamo riproposto anche in altri luoghi”.
L’emigrazione attraversa anche Titanic di De Gregori. Conosce l’album? Cosa ne pensa?
“Francesco De Gregori, in ‘Titanic’, evidenzia le differenti partenze: prima classe, seconda classe, terza classe. Sono storie di emigrati, di poveri cristi. Gli stessi che oggi muoiono nei barconi, nei viaggi della speranza. Il Titanic è stato baciato da un iceberg: l’evento del 1912 fu unico. Oggi invece i morti sui motoscafi sono la quotidianità. Ho parlato con il sindaco di Lampedusa, le ho scritto una lettera. Ogni volta che qualcuno muore, dovrebbe essere proclamato il lutto nazionale”.
Lei ha lavorato con Erri De Luca e Giuseppe Battiston. Cos’hanno in comune e come si differenzia? Chi canta meglio?
“Hanno due diverse stonature (ride). Scherzo. Battiston canta bene, Erri canta alla De Luca. La sua struggente e asciutta versione di ‘Lacrime napulitane’ per me è unica: io non sarei in grado di farla in maniera così intensa. Sono due persone profondamente diverse. Hanno in comune l’attenzione per certe cose, e su queste cose costruiscono gli spettacoli”.
Ha in uscita un nuovo cd?
“Fare musica è una malattia. Si sto lavorando, ma sono ancora in alto mare. Dentro una nebulosa”.