Home FixingFixing Pensioni: lo spauracchio del 36% di contribuzione

Pensioni: lo spauracchio del 36% di contribuzione

da Redazione

L’attuale sistema previdenziale non è più sostenibile, a meno che non si innalzi l’aliquota di quasi 15 punti percentuali nei prossimi anni.

pensioni tabella Dani1

 

 

di Daniele Bartolucci

 

Il sistema previdenziale sammarinese è messo a dura prova dall’aumento degli ultrasessantenni e dalla contemporanea diminuzione dei giovani che, con il loro lavoro, dovrebbero sostenere le pensioni dei primi. Per questo è stato dato mandato, come noto, alla Commissione di studio sulla previdenza sammarinese di elaborare una proposta di riforma che renda il sistema sostenibile nei prossimi anni.

 

SI VERSA MENO DI QUANTO SI PRENDE DI PENSIONE

I lavori della Commissione sono attualmente in corso e la Segreteria alla Sanità sta aggiornando puntualmente le parti sociali di questi lavori, come avvenuto il 29 febbraio, dove al tavolo erano seduti i rappresentanti delle associazioni di categoria e i sindacati. Oltre a una serie di dati macroeconomici di cui Fixing ha già dato conto nei mesi scorsi (rapporto pensionati/lavoratori attivi ormai prossimo a 1 a 2, aumento previsto di ulteriori 250-300 pensionati all’anno nei prossimi anni, deficit strutturale dei Fondi pensione…), la Commissione ha elaborato una serie di valutazioni sull’attuale regime retributivo, ovvero quello previsto dalla Legge 158 del 2011, da cui emerge in maniera molto chiara che i contributi versati dal lavoratore non coprono la prestazione erogata. Il caso utilizzato per le valutazioni è quello di “un neoiscritto al sistema previdenziale dal 1° gennaio 2013, di sesso maschile con età iniziale di 27 anni (in linea con le età medie di ingresso registrate), lavoratore subordinato, con reddito di ingresso di 20.000 euro. Se ne è poi sviluppato il reddito in base alle linee di carriera ricavabili dai dati dell’ISS e ipotizzando un tasso medio di inflazione del 2%”. Attualizzando i dati all’aspettativa di vita, “mediamente il soggetto percepirà la pensione per 18 anni al termine dei quali c’è un probabilità di circa il 64% che lasci una vedova che percepirà altri 9 anni di pensione di reversibilità”. In tutti i casi, come detto, i contributi versati durante la vita lavorativa non coprono il 100% della pensione che si andrà a percepire in futuro, rendendo il sistema insostenibile.

L’unica eccezione è rappresentata da chi ha redditi importanti durante la vita lavorativa e quindi con linee di carriera alte: per questi lavoratori, che rappresentano comunque una piccola percentuale del totale, si “uscirebbe dal sistema a fine 2051 con 66 anni d’età e 39 anni di contribuzione e una retribuzione in uscita di oltre 108.000 euro. Con l’attuale sistema percepirebbe una pensione di primo pilastro di oltre 50.000 euro, pari ad un tasso di sostituzione del 46.5%. Se si ipotizza di sterilizzare gli importi per l’inflazione questo soggetto finanzia con i contributi suoi e del datore di lavoro il 68.8% delle prestazioni che lui e i suoi aventi causa percepiranno. Se però si ipotizza che i suoi contributi siano capitalizzati al PIL nominale allora questo soggetto finanzia con i contributi suoi e del datore di lavoro il 105% della sua pensione. Se inoltre si assume che lo Stato decida di confermare l’impegno a finanziare il sistema previdenziale per un importo pari al 10% dei contributi allora l’insieme della raccolta contributiva finanzia oltre il 115% delle prestazioni”.

Come detto, questo caso rappresenta un’eccezione, in quanto con ipotesi di carriera bassa, fermi restando i 39 anni di contribuzione, la retribuzione in uscita nel 2051 sarebbe di quasi 46.000 euro. Ovvero “una pensione di primo pilastro di oltre 36.000 €, pari ad un tasso di sostituzione del 79.2%”. In questo caso “se si ipotizza di sterilizzare gli importi per l’inflazione, questo soggetto finanzia con i contributi suoi e del datore di lavoro il 47.8% delle prestazioni che lui e i suoi aventi causa percepiranno”, mentre con i contributi capitalizzati al PIL nominale “allora questo soggetto finanzia con i contributi suoi e del datore di lavoro quasi il 76% della sua pensione”, che con il contributo dello Stato salirebbe a oltre l’83% delle prestazioni. E per una carriera media? La retribuzione in uscita sarebbe di circa 68.000 euro, e “percepirebbe una pensione di primo pilastro di quasi 43.000 euro pari ad un tasso di sostituzione del 62.8%”. E quanti contributi avrebbe versato, lui e il datore di lavoro? Il 55.4% senza tener conto dell’inflazione, circa l’86% se gli importi vengono capitalizzati al PIL nominale quasi il 95% se lo Stato continuerà a dare il suo contributo annuale ai fondi.

In pratica, una bocciatura dell’ultima modifica di legge, visto che la sostenibilità, potrebbe essere data solo da un maggiore intervento dello Stato, che ovviamente prende tali risorse dalla fiscalità generale.

Quindi con le tasse che i cittadini versano regolarmente si pagano, in parte, anche le pensioni.

 

ALIQUOTE PIÙ ALTE E PIÙ SOLDI DALLO STATO

Tra le “leve” su cui agire, esiste anche l’innalzamento dell’età pensionabile: ad esempio, portandola a 67 anni, quindi 40 anni di contributi nel caso del “nostro” 27enne entrato nel 2013, le percentuali cambiano e non poco: ad esempio, per una carriera media la retribuzione in uscita salirebbe a 69.000 euro per una pensione di 45.000 euro, con un tasso di sostituzione però del 64,9%, e non del 62,8%. Ma essendo meno gli anni in cui probabilmente verrà erogata la pensione, i contributi versati dal lavoratore copriranno quasi l’intera prestazione, ovvero il 90,5%, che con il contributo dello Stato del 10% (dovesse rimanere), salirebbe al 100%.

Come detto più volte, però, il bilancio tra contributi incassati e prestazioni erogate era negativo già nel 2014 per circa 10 milioni, si calcola che ora sia aumentato del 50% e il trend non si invertirà in futuro. Ciò significa che la riserva tecnica dei Fondi pensione, stimabile fino a 400 milioni come massimo, verrà poi erosa di anno in anno con un azzeramento ipotizzabile già nel 2032, se non prima. E questo nonostante l’intervento dello Stato, che, stando alle stime presentate nei giorni scorsi da Civico 10 che ha lanciato una proposta di riforma basata sul modello svedese (mantenendo l’aliquota al 20% e senza contributo statale la pensione erogata sarà data la somma di tre comparti: uno a ripartizione universale che eroga una prestazione minima uguale per tutti, uno a ripartizione ma con calcolo retributivo, uno infine a capitalizzazione), potrebbe essere di 17 milioni quest’anno, quindi 26 l’anno prossimo e ben 41 nel 2024. Un esborso insostenibile dati i conti attuali del Bilancio statale. Non solo, perché il disequilibrio attuale, confermato sia dalle valutazioni della Commissione sia dalle proiezioni di Civico 10, che si basano sui dati forniti dall’ISS, è destinato a deteriorarsi molto velocemente e l’unica leva in mano allo Stato per modificare le cose (tenuto conto che il contributo statale non basterà), è l’innalzamento dell’aliquota contributiva, attualmente attorno al 20% di media. Tra 10 anni, tenuto conto dell’aumento costante del numero di pensionati e dell’aumento delle prestazioni erogate (con il sistema attuale, infatti, gli assegni saranno più alti di quelli attuali), si stima che il totale delle pensioni erogate raddoppi, arrivando all’imponente cifra di 240 milioni di euro l’anno, e per pagarli serviranno 240 milioni di contributi versati dai lavoratori. Con un’aliquota media del 20% come è quella attualmente prevista, ci vorrebbero stipendi per un totale di 1,2 miliardi di euro.

“Questo significa che”, ha spiegato Civico 10, “se il reddito medio si mantiene sui 33mila euro, ci vorrebbero oltre 33mila lavoratori, mentre oggi ce ne sono circa 20mila. Anche rilanciando l’occupazione, San Marino difficilmente potrebbe occupare così tante persone”. Per portare in equilibrio i conti si potrebbe quindi – e attualmente è l’unica leva possibile – alzare l’aliquota contributiva, ovviamente a chi sta lavorando oggi, senza intaccare la pensione di chi la sta già prendendo. Se i lavoratori, come auspicabile, aumenteranno nei prossimi anni fino a 23mila unità, servirebbe un’aliquota media del 31,5% tra dipendenti e autonomi, mentre “se i lavoratori attivi restano attorno ai 20mila, occorre applicare un’aliquota del 36,3% agli stipendi per mantenere l’equilibrio”. Una cosa insostenibile per i lavoratori, per cui, come propone Civico 10 (e durante la serata pubblica si sono detti d’accordo anche i rappresentanti, oltre che di Rete e Sinistra Unita, anche quelli di maggioranza, ovvero PSD e AP), al di là degli strumenti messi in campo, la prossima riforma dovrà far cadere il tabu dei “diritti acquisiti” – mandando “in pensione”, è il caso di dirlo, il sistema retributivo a favore del contributivo -, ovvero si deve intervenire anche sulle attuali prestazioni previdenziali, per evitare che il peso economico di questo sistema ricada unicamente sulle future generazioni.

 

L’ALLARME DI HARVARD

L’invecchiamento della popolazione mondiale è un dato di fatto ormai scontato, soprattutto nei Paesi industrializzati. L’allungamento dell’aspettativa di vita. insieme ad un crollo del tasso di natalità, sono alla base di questo fenomeno, di cui l’Italia e San Marino sono tra i maggiori protagonisti, dopo il Giappone, rappresentando i primi Paesi al mondo per numero di persone con un’età superiore ai 60 anni. Ma anche la “fortissima” Germania non è da meno, mentre – si veda Fixing nr 6 – Inghilterra e Francia, grazie a politiche per la famiglia diverse, sono molto più “giovani”. L’argomento, letto in chiave economica, è stato di recente oggetto di una conferenza all’Università di Harvard: “Mai prima nella storia umana abbiamo avuto una società così vecchia. E per società che invecchiano intendiamo ci sono più persone oltre i 60 anni che ci sono sotto 5”, ha detto Lisa Berkman, Direttore de Centro di studi per la popolazione e lo sviluppo di Harvard. “L’impatto più grande di questo fenomeno si avrà probabilmente sul fronte del lavoro” mentre è evidente che “l’aumento dell’età pensionabile sta già iniziando ad avere i primi effetti sul sistema di sicurezza sociale, creato quando la maggior parte delle persone viveva in media solo un anno o due dopo averne ricevuto i benefici o addirittura non viveva a lungo per riceverne”. Da recenti indagini si evince inoltre che sono sempre più numerosi i lavoratori che più si aspettano di lavorare oltre i sessanta e settant’anni. Per gli studiosi di Harvard questa è doppiamente una buona notizia: dal punto di vista della salute, “perché l’impegno sostiene la salute cognitiva, rallenta il declino mentale e riduce l’isolamento”; dal punto di vista economico, “perché la generazione del baby boom è quella più istruita e la più esperta a livello professionale nella storia”. Il problema è che continuare a lavorare è dunque un’opzione possibile per le persone sane, per i disabili e i malati, che costituiscono circa la metà della popolazione, si dovranno affrontare una serie di sfide importanti, tra cui molte di tipo finanziario. Per loro e chi non ha guadagnato e saputo mettere abbastanza soldi da parte attraverso i canali privati, andare in pensione diventerà una chimera, in quanto – questo l’allarme lanciato da Harvard – “in un futuro non troppo lontano potrebbero non esserci più risorse per pagare le pensioni”. Secondo la Berkman, quindi, la priorità non sarebbe il problema occupazionale (visto che il trend è quello di lavorare sempre più anni) posto al centro dei programmi di tutti i Governi, ma il pericolo di esaurimento delle risorse necessarie per pagare gli assegni pensionistici. Le prospettive evidenziate dall’università di Harvard farebbero presagire che in futuro non si potrà fare a meno della previdenza integrativa privata per colmare i vuoti della previdenza pubblica. “Vuoti” che a San Marino non sono ancora messi nero su bianco, ma che già oggi si evidenziano nei bilanci dei Fondi pensione, deficitari per diversi milioni di euro (tra incasso contributi e pensioni erogate), tanto che si prevede l’esaurimento degli stessi entro una ventina d’anni. E questo anche con il contributo dello Stato. In Italia invece il sistema previdenziale è già da tempo nel mirino e l’allarme lanciato da Harvard non fa che confermare le tesi pessimistiche sull’INPS.

Dal canto suo, il Presidente Tito Boeri, continua a rassicurare tutti, anche di fronte ad un disavanzo enorme previsto per il 2016: “Anche qualora l’Istituto fallisse, e non è questo il caso, sarebbero comunque garantite le prestazioni e le pensioni”. Non solo, Boeri ha rassicurato anche sulle pensioni del futuro assicurando che “i cittadini continueranno a beneficiarne”. Tuttavia si andrà in pensione sempre più tardi e si percepiranno assegni sempre più bassi.

 

L’IDEA CHOC

Dire addio alla pensione e lavorare fino alla fine dei propri giorni? La proposta non arriva da qualche dittatore di un Paese sconosciuto, ma dal Giappone, che oltre ad essere leader nel mercato del know how ipertecnologico, ha anche il primato della popolazione più anziana del mondo. Il Giappone, invero, naviga da tempo in una crisi economica e previdenziale di difficile soluzione che ha spinto il Governo a intraprendere un percorso di forti riforme di politica economica e monetaria. Tra queste quella delle pensioni è una priorità assoluta, ed è in questo contesto che il Ministro per l’economia, Akira Amari, ha avanzato la sua proposta, per la verità oltre due anni fa. “Tra un paio di decenni un quarto della popolazione giapponese avrà un’età superiore ai 65 anni”, ha spiegato Amari. “Aumenteranno le spese sanitarie e previdenziali e diminuirà la forza lavoro, potrebbe essere una tragedia. Ma se invece fosse possibile una soluzione a questo problema, grazie allo sviluppo tecnologico o mediante la riforma del sistema previdenziale, creando cioè una società nella quale le persone rimangano attive per tutta la vita, questa soluzione potrebbe essere esportata in tutto il mondo”. L’idea di un innalzamento dell’età pensionabile già spaventa molti Paesi, ma essendo graduale è stata più o meno digerita da tutti. Ma cancellarla del tutto e obbligare chi non può permettersi di smettere, a lavorare fino alla morte, sembra comunque una proposta impossibile, soprattutto se è vero che per arrivarci il Ministro Amari vorrebbe utilizzare la biotecnologia, “dopando” la popolazione anziana.

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento