Home FixingFixing La macroarea Adriatica-Ionica: una grande opportunità per San Marino

La macroarea Adriatica-Ionica: una grande opportunità per San Marino

da Redazione

Lo sostiene Walter Cerfeda, già dirigente del sindacato europeo a Bruxelles. “Oggi si compete per sistemi mondiali: al di fuori non c’è spazio”.

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di Alessandro Carli

 

Tra i relatori di maggior prestigio che hanno impreziosito l’appuntamento celebrativo dei quarant’anni della nascita della CSU anche Walter Cerfeda, già dirigente nazionale di FIOM, CGIL e Sindacato europeo a Bruxelles e attualmente Presidente Ires-CGIL delle Marche. “In questi quarant’anni – ha spiegato alla platea – il mondo è cambiato e si è allargato: oggi non ci sono più frontiere che bloccano il movimento di capitali o di risorse finanziarie, spesso imprese e sindacati hanno di fronte gli stessi nemici esterni e la corresponsabilità diventa quindi fondamentale nell’affrontare le nuove sfide. Il compito di un sindacato moderno è quello di trovare un punto di equilibrio e di incontro tra le esigenze di competitività e di socialità, e uno scambio di reciproci poteri che trova un esempio concreto nel modello nord europeo dell’economia sociale e di mercato”.

Con Walter Cerfeda approfondiamo alcuni punti, e altri ne apriamo.

Com’è cambiato il rapporto tra i sindacati e le imprese negli ultimi 40 anni?

“E’ un arco di tempo assai lungo. In realtà i rapporti sono cambiati dall’inizio del nuovo secolo. Sino alla fine degli anni Novanta erano di dimensioni nazionali: il mercato era limitato ai confini del Paese. Dal 2000 il mondo si è aperto, ed oggi ha un respiro sovranazionale. I punti di competitività quindi non sono più misurati a livello nazionale. Gli ultimi 40 anni sono stati segnati da due ‘stagioni’: la prima, che ebbe una ventata europea, si verificò negli anni Settanta e fu contraddistinta da rapporti di forza. In quegli anni i sindacati conquistarono una serie di diritti. Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta il mercato delle imprese si è spostato dall’offerta al consumatore alla domanda, cambiando i cicli produttivi. In questi anni le aziende si sono riprese quello che avevano perduto negli anni Settanta. Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila le imprese si sono aperte a una dimensione più ‘mondiale’ mentre il sindacato ha continuato a operare ancora in un’ottica nazionale”.

La sensazione è che oggi comunque i sindacati e imprese si siano avvicinati: entrambi hanno fatto un passo verso l’altro…

“Dal 1993 in poi le relazioni hanno abbandonato quel rapporto di forza e si sono instradate verso regole precise, che vengono rispettate da entrambe le parti. Un esempio sono le contrattazioni aziendali”.

L’anno prima, il 1992, fu molto molto complicato per l’Italia…

“Con ‘Mani pulite’ le parti sociali furono chiamate a sostituite i partiti, che erano crollati. L’Italia sfiorò il fallimento economico e finanziario. L’inflazione, lo ricordo, era al 18%. Il Presidente del Consiglio di allora, Giuliano Amato, approvò una manovra finanziaria miliardaria. Rispetto al 1992, la situazione della Grecia di oggi è ‘rose e fiori’. Il secondo collasso lo abbiamo rischiato nel 2011 con lo spread a 573 punti”.

All’inizio degli anni Ottanta fu inviato a dirigere la CGIL del Piemonte. Erano gli anni dei rapporti difficili con la Fiat, sfociati nei celebri 35 giorni interrotti di assemblee e cortei.

“I sindacati, nell’occasione, commisero errori clamorosi. I 35 giorni si conclusero con una sconfitta che segnò le relazioni. Fu una vittoria per la Fiat, che recuperò i diritti perduti negli anni Settanta. Oggi è tutto cambiato: la FCA oggi con Marchionne ha una dimensione sovranazionale e una cultura del lavoro di matrice anglosassone, che si basa sul rapporto tra l’azienda quotata in borsa e il rendimento delle azioni e sulla compressione dei tempi. Mentre per le aziende europee – mi riferisco alla Germania, per fare un esempio concreto – il ritorno dell’investimento va calcolato nel breve e medio periodo, l’impronta anglosassone ha l’obbligo del risultato in breve tempo. Nei Paesi anglosassoni il sindacato è corresponsabile dell’obiettivo dell’impresa e partecipa alla fase organizzativa”.

Come saprà, San Marino si sta avvicinando all’Unione europea. Quali sono, secondo lei, i pro e i contro?

“Oggi si compete tra sistemi mondiali: Cina e Oriente, Stati Uniti d’America, Europa. Al di fuori di questi grandi sistemi di grande rappresentanza non c’è spazio: impossibile competere in economia, produzione e finanza se non si è integrati. Il nanismo è una malattia somatica di identità. San Marino deve pensare in grande, mantenendo la propria identità. L’accordo di associazione va nella giusta direzione: essere Stato in un sistema allargato. E’ importante sottoscrivere un buon accordo, mettendo in primo piano la produzione del lavoro, la fiscalità e le garanzie bancarie. Parallelamente il Titano deve essere in grado di costruire un progetto economico di sistema”.

Si riferisce alla Macroaree?

“Coerentemente con l’UE, è stata istituita la Macroregione Adriatico-Ionica, che comprende, oltre a molte regioni italiane – Marche, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, eccetera – anche i Paesi dei Balcani. E’ un mercato da 65 milioni di cittadini e che annovera Paesi di diversi status: alcuni Stati sono membri dell’Unione Europea, altri lo stanno per diventare, altri ancora, come la Bosnia Erzegovina, ne sono fuori. Per il Titano potrebbe rappresentare una grandissima opportunità: i pilastri macroeconomici che uniscono queste regioni e questi Stati vanno dai processi culturali, storici e turistici – tutti temi su cui la Repubblica non ha nulla da invidiare – alle politiche di innovazione per le imprese. La Capitale di questa Macroregione è Ancona. La Repubblica di San Marino, trovando il corretto status di associazionismo, potrebbe farne parte”.

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