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San Marino potrà salire sul ‘treno’ TTIP

da Redazione

Verso la più grande area di libero scambio al mondo: è davvero molto rischioso starne fuori. Proseguono le trattative tra UE e USA, apertura dell’ambasciatore John R. Phillips.

 

di Daniele Bartolucci

 

E’ “l’accordo commerciale più importante della storia, ma anche il più discusso” e forse anche per questo le trattative per il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), che prevede l’instaurazione di un’area di libero scambio tra Unione europea e USA, vanno avanti ininterrottamente da due anni e anche nell’ultimo round di incontri a Miami (l’uncidesimo, per la cronaca) non si è arrivati alla quadra finale.

 

SENZA ‘BARRIERE’, IL PIL SALIREBBE VELOCEMENTE

L’obiettivo del TTIP è abbattere le barriere commerciali fra Usa e Ue: non tanto quelle doganali, oggi al 4%, quanto quelle normative, spesso molto più onerose per chi esporta da una sponda all’altra dell’Atlantico. In pratica si avrebbe l’abolizione dei dazi e la riduzione delle barriere non tariffarie. Ulteriori materie sono: regolamentazione, appalti e commesse pubbliche, proprietà intellettuale e sviluppo sostenibile, sussidi e esportazioni in regime di dumping e sulla legislazione antitrust. Temi molto cari ai singoli Paesi, in quanto è in questi argomenti di trattativa che, al pari della regolamentazione nazionale e sugli standard tecnici, si annidano spesso barriere protezionistiche se non vere e proprie azioni distorsive dei commerci: azioni spesso decise nell’ambito delle politiche commerciali degli Stati, soprattutto quelli europei che, nel corso degli ultimi decenni di Unione, hanno ridotto la leva dei dazi commerciali. Ci sono quindi pro e contro da valutare e l’esempio dell’agricoltura è forse quello più efficace, non tanto in termini economici – vale 25 dei 700 miliardi di interscambio – quanto in funzione degli standard qualitativi e della contraffazione. Gli americani vogliono accesso al mercato europeo, ma gran parte delle loro produzioni ha l’etichetta degli Ogm, che per loro sono utilizzabili. Mentre “l’Europa non ha una posizione comune sul tema, ha lasciato libertà di scelta ai singoli Stati”, ha ricordato Lara Comi, vicepresidente del gruppo Ppe. Ma il punto è un altro: “Per noi italiani c’è, molto forte, il problema delle imitazioni, se non viene risolto e le indicazioni non sono protette (IG, ndr) l’intesa sarebbe al ribasso. E se l’accordo fosse così, non siamo sicuri di volerlo”. Dall’altra parte il beneficio per le imprese europee, e quindi quelle agricole o vinicole italiane, sarebbe quello di essere maggiormente e più facilmente esportate negli USA (anche in maniera più competitiva rispetto ai Paesi esclusi dall’accordo), dando slancio alle produzioni perché si otterrebbe un minore prezzo per il prodotto scambiato dai membri del TTIP e ad un acquisto di maggiori quantità dello stesso. Più produzioni significa anche più lavoro, più beni strumentali, ecc, motivo per cui secondo i calcoli fatti propri dalla Commissione Ue, l’economia europea trarrebbe un vantaggio calcolabile in un aumento del Pil di quasi 120 miliardi di euro l’anno. Di fatto, l’economia europea crescerebbe di mezzo punto di Pil nell’arco di dieci anni: dunque, lo 0,05% in più l’anno, con un impatto fortissimo: già oggi l’interscambio tra le due sponde dell’Atlantico vale 700 miliardi di euro.

 

LA TEMPISTICA: L’ITALIA SPINGE, GLI USA MENO

L’obiettivo è comunque vicino, nonostante le proteste (poi svuotate di contenuti, in quanto quasi tutti i temi oggetto della polemica, non sono scritti nelle carte né verranno ricompresi nell’accordo, come gli OGM): per il premier Renzi (l’Italia dovrebbe essere uno dei Paesi che più ci guadagnerebbero, tanto che Confindustria stima una crescita del Pil di 5,6 miliardi con la creazione di 30mila posti di lavoro, al netto di quelli che andrebbero persi con l’aggiustamento del mercato) si potrebbe concludere già entro l’anno, per il presidente Obama la stima è più prudenziale, nel 2017, più verso la fine del 2017. In ogni caso la trattativa, nata in seguito anche alla crisi economica globale come possibile risposta e soluzione alle difficoltà degli scambi commerciali, ha goduto di una importante accelerazione nei mesi scorsi, da quando l’Unione Europea ha formalizzato e reso pubblica, la propria proposta. Dall’altra parte, è anche vero che gli USA si trovano in una situazione di vantaggio, in quanto hanno già concluso le trattative per l’altro storico accordo in materia, siglando il Tpp, un accordo analogo di libero scambio con i paesi dell’area del Pacifico – esclusa la Cina – che rappresenta il 40% degli scambi commerciali mondiali: “Per loro quello era prioritario e adesso possono permettersi di rallentare nelle trattative con l’Ue e soprattutto vorranno un accordo alle stesse condizioni anche se non sono convinto che l’intesa sia così ambiziosa come fanno credere”, ha commentato Paolo De Castro, membro della Commissione agricoltura. Anche l’UE non è arrivata a mani nude, comunque, avendo in tasca l’accordo CETA con il Canada, che ha rimosso la quasi totalità delle barriere tariffarie e liberalizzato beni e servizi, ma ricomprendendo appunto le IGP (dopo 40 anni, l’accordo consentirà, per esempio, ai Dop Prosciutto di Parma e San Daniele di essere commercializzati sul mercato canadese con i loro nomi perché sono state riconosciute 36 Indicazioni Geografiche alimentari e 140 denominazioni di vini). Nel frattempo però, oltre al TTP è stato siglato anche il Free Trade Agreement tra Australia e Cina (Chafta), per cui “l’Europa – ha ammonito De Castro – non può permettersi di restare fuori, perché la globalizzazione è già reale e le regole del gioco si scrivono adesso. Rischiamo di subire quelle decise da altri”. Il TTIP riguarda come detto gli USA e l’UE, che stanno appunto discutendo e contrattando l’accordo, ma indirettamente già oggi e soprattutto in futuro potrebbe riguardare anche San Marino, considerato il percorso attuale di integrazione europea. Già a giugno, all’indomani del G7, il Dipartimento Esteri ricordò a Rtv che “essendo un Paese terzo non siamo ancora stati coinvolti. Però è un argomento che stiamo seguendo”. A fine ottobre il Segretario di Stato Pasquale Valentini e il collega alle Finanze Gian Carlo Capicchioni, a domanda diretta, hanno spiegato che, riguardo ai negoziati in corso con Bruxelles, “al momento siamo impegnati sulle quattro libertà fondamentali, ma stiamo osservando, in maniera interessata, l’evoluzione di questo accordo”. Era il 28 ottobre, il giorno della firma dell’accordo IGA II riguardante il Fatca e allo stesso tavolo dei due Segretari di Stato c’era l’Ambasciatore USA John R. Phillips, che nel confermare i passi avanti in ordine alla trattativa svoltasi poche settimane prima a Miami, ha aperto, come si suol dire, le porte anche a San Marino: “Seguiamo con attenzione il percorso intrapreso da San Marino verso l’Unione Europea, perché consideriamo da sempre questa Repubblica un interessante partner per gli USA. Per questo, una volta concretizzato l’accordo con l’UE sarà possibile anche per San Marino associarsi, anzi, gli USA saranno ben felici di questo”. E probabilmente anche quelle aziende che, già oggi, commerciano oltre oceano i loro prodotti, ma anche quelle che vorranno aprirsi a quel mercato, sfruttando quei vantaggi e benefici che avranno anche gli altri Paesi dell’UE. Al contrario, non ‘salire su quel treno’ significherebbe rendere molto meno competitivo il proprio export, rispetto ai Paesi di quest’area, Italia in primis, in tutti i settori trattati dal TTIP: dall’agroalimentare all’automotive, dalla produzione tecnologica a quella più artigianale.

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