Il nuovo volume della “Storia dei Castelli” di San Marino è su Serravalle. Pubblicato da Ente Cassa di Faetano, verrà presentato il 3 dicembre.
di Alessandro Carli
In origini fu il cardinale Anglico de Grimoard, che nel 1371 dedicò al Castello di Serravalle – allora compresa nel vicariato di Santarcangelo, che dal 1358 si era staccato da Rimini e sottoposto immediatamente alla Chiesa – due righe, rigorosamente in latino: “Castrum Serravallis, est situm in quodam monte, non custoditur nisi tempore guerre. In quo sunt focularia L”. Poi vennero i più celebri Sigismondo Malatesta, ma anche il Cardinal Alberoni. Ma cos’ha di così speciale il Castello di Serravalle, settimo oggetto di studio (e di pubblicazione) della collana “Storia dei Castelli della Repubblica di San Marino” firmata da Ente Cassa di Faetano, Banca di San Marino e Leasing Sammarinese, e che verrà presentato alla cittadinanza il 3 dicembre alle 21 all’interno della sala polivalente di Serravalle? Nella premessa del curatore Girolamo Allegretti, le prime indicazioni: Serravalle, da sola, copre circa un sesto della superficie dello Stato, circa un terzo della popolazione, circa metà dell’economia. A queste va senza dubbio aggiunta la sua ubicazione, punto di passaggio pressoché obbligato tra il Titano e l’attuale Italia. Ma c’è molto dell’altro. La sua storia, per esempio, di cui si hanno già notizie certe più di un secolo prima della testimonianza di cardinale Anglico de Grimoard (Serravalle è già Castello nel 1261), e le persone, ma anche una serie di caratteristiche architettoniche. Come le “due porte” in sequenza, che rimandano evidentemente a due concentriche cerchie murarie. “La cerchia interna – scrive Allegretti – fa perno su una torre portaia duecentesca, ancora ben leggibile nella parte inferiore, e cinge un’area esigua, in cui potevano sorgere poche casette di cui nulla è rimasto, tanto esigua da richiedere un ampliamento del castello, comportante la costruzione di una nuova cinta muraria, e una consistente espansione fuori delle mura”. La cerchia esterna, maggiore, comprendente una nuova porta, poco aggiungeva alla capacita residenziale, “ma impostandosi su una quota più bassa aumentava di molto l’altezza delle mura e quindi la capacita difensiva, e soprattutto includeva (o affrontava) un nuovo importante apprestamento militare, la rocca”.
Il nome di Serravalle, come detto in apertura, si lega anche a una figura storicamente importante e molto conosciuta anche sul Titano: quella di Sigismondo Malatesta. Il volume edito da Ente Cassa di Faetano e Gruppo BSM
si sofferma su una data: 1463 quando il Castello fu strappato al signore di Rimini per passare a San Marino. Il “rapporto” fra Serravalle e il “superiore” non cambia col 1463, cambia solo il superiore. “La Repubblica – così Allegretti – governa i tre ‘Castelli’ esattamente come i signori di Rimini con quella che Oreste Delucca definisce ‘una sapiente combinazione di accentramento politico e decentramento amministrativo’. E questa combinazione a Serravalle non dispiace”. Su questo “passaggio” di consegne le penna del curatore è acutissima: “Esili ma non insignificanti appoggi sono forniti dall’onomastica locale, che vede tanti bambini battezzarsi Marino a fronte di pochissimi Andrea e nessun Godenzo, i santi protettori di Serravalle e Rimini”.
Ma Serravalle è anche legata a un’altra pagina di grande storia locale, quella che si apre sull’anno 1739. Il 17 ottobre difatti il cardinale Alberoni legato di Romagna si presenta di buon mattino ai confini di San Marino con lo sconsiderato proposito di metter fine alla libertà della Repubblica. Come la spedizione si sia conclusa lo spiega bene Malagola, che ricostruì accuratamente i fatti. Il cardinale Alberoni arriva a Serravalle alle nove del mattino, e nella chiesa parrocchiale, fuori le mura, viene accolto al grido di “e viva il papa”. Ma chi pronunciò davvero queste parole? Le versioni si sovrappongono: a quella dell’Alberoni (“al primo castello e venuto a riscontrarmi il paroco con tutti gli uomini del luogo che cominciarono a gridare ‘viva il papa’, e condottomi in chiesa dissero voler essere da qui avanti sudditi del medesimo. Io gli accettai, essi prestarono il giuramento, e se ne fece rogito”) fa da contraltare quella dell’apologetica repubblicana, che raccontò di “3 uomini ed alcune donnicciuole sedotti dal paroco”, “gente incolta et idiota”, “alcune poche donnicciuole e contadinelli circonvenuti dal paroco”. I termini utilizzati hanno un valore anche filologico, che ci aiuta a capire l’utilizzo delle doppie (“paroco”) e la parola con cui veniva definita la cosiddetta “altra metà del cielo”, le donne. Le fonti a cui gli autori del libro si sono “abbeverati” hanno un “buco” temporale di oltre 100 anni: la storia torna a parlare di Serravalle solo nel 1873 quando, il Generale consiglio principe, “fermo sempre nella massima di non volere menomamente disporre delle rendite che appartengono ai castelli”, dichiara non vincolante per Serravalle la decretata abolizione del dazio del pane.
“Sorse da ciò – si legge nell’opera – per incidente la questione se gli abitanti dei castelli di Serravalle, Montegiardino e Faetano dovessero mantenersi tuttavia nella condizione di non potere aspirare ai pubblici uffici o se non piuttosto, come e richiesto dai principii di eguaglianza fra i cittadini di una repubblica, non dovessero essere parificati agli altri nel godimento ed esercizio di tutti i diritti politici, cancellando cosi ogni traccia dell’annessione dei suddetti castelli allo stato della Repubblica”. I Reggenti del tempo, Settimio Belluzzi, allora residente proprio a Serravalle, e Francesco Marcucci di Domagnano), assunsero l’incarico di “studiare la questione sotto il suo vero aspetto” e a breve giro di posta decretarono che “gli uomini dei castelli e delle parrocchie di Serravalle, Faetano, Montegiardino e Fiorentino” potevano avere “eguali diritti politici che godono gli uomini delle ville, e come questi possono essere nominati ed eletti a consiglieri del Gran consiglio dei LX”. Per Serravalle una data storica: l’inclusione a pieno titolo nella Repubblica. Il capitolo dedicato alle finanze, al di là degli aspetti più prettamente economici – anche se è davvero illuminante l’esempio di contabilità (e di amministrazione) che riportiamo integralmente “Spesa fatta nel andata del capitano a Seravalle. Prima esendo io andato alla mia possessione dove pranzai, dissi alli consiglieri che mi mandassero qualche cosa, e cosi mi mandarono doi quarti d’agnello quattro pagnotte tre boccali di vino et un poco di vitella, il tutto puol importare 3 pavoli e mezzo. Mangiorno poi li consiglieri e sbirri al osteria, e dicono importasse pavoli 10 (…) a relazione di chi fu presente. Marc Antonio Gozii capitano. E più si fece la festa di S. Nabor Fellice nella quale si celebrorono dieci messe che sono pavoli 20, et oltre per 5 pavoli mi disse Bastiano aver mangiato li consiglieri – spalanca una porta sui mestieri e le terminologie utilizzate tra il XVII e il XVIII secolo: troviamo un Giambattista Maiani “fornaro et oste”, ma anche un “Baldino macellaro”, “il signore cirusico”, “il piazzaro”, ma anche unità di misura come le “mani di formaggio”, vendute “a baiocchi 7 la libra”.
Nella pubblicazioni poi trovano spazio le malattie (“Dal colera alla spagnola”), il testuale “Hospitale per alloggiare i poveri”, i conflitti bellici del Novecento, la ferrovia Rimini-San Marino, inaugurata nel 1932 e tanto altro ancora.
Un libro da leggere anche sotto le feste natalizie, per riscoprire il percorso che ha portato Serravalle (e un po’ tutta la Repubblica) a essere quella che è oggi.