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Sequestro preventivo: utilizzo e criticità

da Redazione

Dal convegno riminese le relazioni del Prof. Gualtieri e dell’Avv. Simoncini. L’analisi dell’istituto, che è previsto sia in Italia che a San Marino.

 

di Daniele Bartolucci

 

Il sequestro preventivo è ormai uno degli strumenti ‘protagonisti’ nelle aule dei Tribunali, sia in Italia che a San Marino. E’ vero che i due ordinamenti prevedono l’utilizzo di questo strumento in maniera differente, ma esistono comunque molte attinenze, senza dimenticare che molti procedimenti vedono coinvolti o italiani e ditte italiane a San Marino, o viceversa. Motivo per cui il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Rimini, Giovanna Ollà, il Presidente dell’Ordine degli Avvocati e Notai di San Marino, Maria Selva, il Tribunale di Rimini, il Presidente dell’AIGA di Rimini, Avvocato Andrea Annibali, e il vicepresidente Avvocato Christian Guidi, hanno ideato un percorso comune per approfondire la materia e individuarne anche le criticità. Il convegno svoltosi a Rimini all’inizio dell’estate, punto di partenza di questo percorso, ha visto partecipare oltre ai due Presidenti citati, in qualità di relatori: la Dott.ssa Fiorella Casadei, Giudice delle Indagini preliminari del Tribunale di Rimini, il Prof. Piero Gualtieri, Professore ordinario di Diritto processuale penale e Avvocato del Foro di Rimini, l’Avvocato Maurizio Simoncini, Presidente Camera Penale di San Marino.

 

IL “FUMUS DELICTI” NEL SEQUESTRO IN ITALIA

Esiste una molteplicità di sequestri preventivi, ciascuno con proprie peculiari caratteristiche (impeditivo; finalizzato alla confisca, facoltativa o obbligatoria, per equivalente; di stabilimenti di interesse nazionale; nei confronti di enti e società), con conseguenti problematiche (di carattere generale o riferito alla singola tipologia, in materia di individuazione del giudice competente, di esecuzione della misura e di amministrazione dei beni ad essa assoggettati, di tutela dei terzi in buona fede, di garanzie difensive anche in tema di gravami e di confisca senza condanna). Il Prof. Giualtieri ha soffermato l’attenzione su uno dei punti più incerti e delicati, rappresentato dal corretto inquadramento del fumus delicti. Dal punto di vista sistematico, ha spiegato, il sequestro preventivo è stato collocato fra le misure cautelari reali e reso del tutto indipendente dal sequestro probatorio, ad ulteriore dimostrazione della consapevolezza del legislatore della sua potenzialità afflittiva su diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, non dissimile da quella dei provvedimenti di coercizione personale: tanto che deve essere disposto unicamente dal giudice con decreto motivato. Costanti orientamenti di legittimità e la stessa corte costituzionale (sentenza 17-2-1994, n. 48) hanno tuttavia negato tale assimilazione, escludendo per lunghi anni che per l’applicazione della misura fosse necessaria la ricorrenza di gravi indizi di reità ed affermando che la verifica del giudice non potesse investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma dovesse limitarsi “all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato”. Si è così appiattito il ruolo di garanzia dello stesso giudice, ristretto alla semplice constatazione di tale astratta asserzione senza la verifica del collegamento con la realtà processuale, con una sostanziale rinuncia al potere-dovere d’espletare il controllo di legalità, ha spiegato il Prof. Gualtieri. Questi indirizzi hanno portato a sottolineare come in talune applicazioni giurisprudenziali, il sequestro preventivo sembrasse diventato una fattispecie cautelare a fumus presunto, ove il pubblico ministero si limita ad allegare la commissione di un reato e il destinatario della misura è chiamato a fornire la probatio diabolica della insussistenza dell’illecito penale. Per Gualtieri la situazione è poi peggiorata con la sempre più ampia introduzione nell’ordinamento italiano (sollecitato dagli organismi internazionali) del sequestro finalizzato alla “confisca per equivalente”, che ha ad oggetto beni che non hanno alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo e neppure alcun nesso di pertinenza con il singolo reato: l’obbligatorietà della misura e l’elisione del rapporto di pertinenza tra il bene e la cosa, hanno reso molto labili i presupposti per l’adozione di questo tipo di sequestro preventivo e lasciano conseguentemente ampi spazi discrezionali nella motivazione del provvedimento applicativo. Tali elementi sono ancor più evanescenti nelle ipotesi disciplinate dall’art. 12 sexies d.l. 306/1992, ove, alla irrilevanza del rapporto di pertinenza, si aggiunge la presunzione di illegittimo accumulo dei beni, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini della relativa imposta o alla propria attività economica. Questa regolamentazione farebbe dunque sorgere seri profili di legittimità costituzionale dell’istituto, poiché risulta gravemente alterato l’equilibrio tra difesa sociale e garantismo. Recentemente, ha però avvertito il Prof. Gualtieri, si sta assistendo al consolidamento di indirizzi per cui ai fini dell’emissione del sequestro preventivo il giudice deve valutare la sussistenza del fumus delicti in concreto, indicando nella motivazione in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’integrazione del reato configurato, tenendo conto sia degli elementi forniti dall’accusa, sia delle argomentazioni difensive. Ad avviso del prof. Piero Gualtieri le conclusioni sarebbero sconfortanti: per lunghi anni gli orientamenti giurisprudenziali, infatti, sono stati caratterizzati da una quasi totale rinuncia ad una penetrante valutazione dei presupposti di applicabilità della misura, rimessa alle scelte del Pm., e vanificando così nella sostanza la giurisdizionalizzazione della procedura, con sconcertanti automatismi applicativi in una materia che involge interessi protetti dalla Costituzione e dalla CEDU. Solo recentemente i giudici di legittimità stanno scoprendo che al centro di ogni processo penale e dei suoi particolari istituti, quali le misure cautelari reali, vi è sempre una vicenda umana e che pertanto non è possibile prescindere da una approfondita disamina della (eventuale) condotta illecita del soggetto indagato, che è preliminare all’accertamento della pericolosità della cosa di cui si vuole impedire l’utilizzazione. E questa esigenza dovrebbe ancor più valere in materia di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, specie nella forma di cui all’art. 12 sexies, ove è stato reciso qualunque nesso di pertinenza tra il reato e la cosa sottoposta alla misura ablativa ed è quindi del tutto evaporato il presupposto principale posto a fondamento delle decisioni del giudice delle leggi di rispondenza alla costituzione dell’istituto. L’auspico del Prof. Gualtieri è che la giurisprudenza rafforzi e completi il percorso di omologazione tra i presupposti delle misure cautelari personali e reali, attraverso le interpretazioni rispettose dei principi fissati dalla Costituzione e dalla CEDU, poiché un intervento adeguatore del legislatore appare improbabile alla luce degli ultimi indirizzi normativi di avvicinamento al sequestro di prevenzione di quello finalizzato alla confisca per equivalente, così come non sembra possibile riporre fiducia in un nuovo esame dei delineati profili da parte della Corte Costituzionale.

 

SAN MARINO: PREVENTIVO E PER EQUIVALENTE

Sul versante sammarinese, “la legge n.100 del 2013”, ha spiegato l’Avvocato Maurizio Simoncini, “segna un inasprimento profondo e per molti versi drastico, sia di ordine sostanziale che procedurale, nel percorso di allineamento agli standard internazionali di contrasto al riciclaggio e al terrorismo internazionale, intrapreso significativamente dal 2008. Si è introdotta la figura criminosa dell’autoriciclaggio, attraverso l’eliminazione del vincolo di terzietà tra autore del reato presupposto ed autore del reato proprio; si è ampliata la portata della confisca (nuova stesura dell’art.147 c.p.), in particolare (commi 4, 5 e 6 ) con riguardo ai beni fittiziamente detenuti da terzi, al profitto/prezzo/prodotto del reato se in capo a terzo consapevole della provenienza illecita, e ancora a beni passati in proprietà a persona estranea al reato o per diritto successorio limitatamente a quelli in disponibilità dell’erede; si sono rimodulati, anche se per larga parte già presenti con precedente normativa del 2010 (D.L. N.134), gli istituti cautelari del sequestro preventivo, a titolo di acquisizione probatoria o per equivalente in vista di confisca (artt.58 bis e ter c.p.p., anche se, peraltro, la confisca per equivalente era già stata introdotta nell’ordinamento sammarinese con l’art. 5 della legge della legge 26 febbraio 2004 n. 28)”. In sostanza, spiega Simoncini, “possiamo ritenere che la misura cautelare del sequestro preventivo, pur nell’obiettivo primario di preservare i beni oggetto di eventuale confisca nelle more intermedie del giudizio, anticipi gli effetti della confisca vera e propria delle cose per le quali questa è prevista, senza fare differenza che queste cose siano equivalenti, trasformate, convertite o commiste rispetto a quelle che servirono a commettere il reato o ne rappresentino il prezzo, il prodotto o il profitto. Allorchè viene disposto il sequestro dei beni, il giudice, in astratto, esercita un potere tipicamente riconosciutogli dalla legge, senza che nessun pregiudizio irreparabile derivi alla parte assoggettata alla misura”. Fra i presidi a garanzia dell’equa applicazione in concreto della misura conservativa, “deve trovare ingresso il principio di adeguatezza e di proporzionalità che lega le cose rappresentanti il “controvalore” del reato al patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, attraverso una ponderazione scrupolosa”. Nel caso di sequestro preventivo per equivalente, “si può dire che la natura della misura, venendo a mancare il nesso di pertinenzialità col fatto di reato, supera la nozione di pericolosità intrinseca che giustifica la privazione statuale, per presentarsi come espressione essenzialmente sanzionatoria, con funzione afflittiva preventiva (quasi una pre-condanna). Di qui il limite di subordinazione al principio di irretroattività, nella sua applicazione, rispetto alla condotta, dato che, in diversa ipotesi, si porrebbe in contrasto sia con i principi costituzionali che con l’art.7 della CEDU, per i quali non può essere inflitta una “pena” (sanzione) più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Recentissimamente, in sede di reclamo dinanzi al Giudice per la IIIa istanza penale, sono state sollevate e rigettate, perché manifestamente infondate, eccezioni di legittimità costituzionale riguardanti: l’art. 58 ter nella parte in cui non prevede che la prevista misura cautelare reale debba essere disposta con modalità che consentano all’indagato il diritto a procurarsi mezzi di sussistenza e quindi di svolgere il proprio lavoro; l’art. 58 ter del codice di rito e l’art. 147 del codice sostanziale, in punto di ingiustificata applicazione retroattiva di norme penali. Al di là dell’esito di tali peculiari fattispecie, sarebbe comunque auspicabile un controllo superiore di rispondenza dell’impianto normativo ai principi costituzionali e ai trattati internazionali, proprio per l’enorme incidenza e per gli effetti concreti che questo è capace di generare.

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