Il Segretario UNAS: “La rappresentatività chiarirà quale avrà efficacia erga omnes. La parte normativa è la stessa che scrivemmo nel 2012: una cover, altro che innovazione”.
di Daniele Bartolucci
Dopo quello che si era verificato nel settore Industria tra ANIS-CSU e OSLA-USL, il mondo dell’Artigianato è in subbuglio dopo la firma di un secondo contratto di settore tra OSLA e USL, che si affianca quindi a quello tra UNAS e CSU, rinnovato da pochi mesi. Il dibattito su quale sia migliore è aperto, ma va ricordato che, fino all’entrata in vigore della nuova legge, che introdurrà il principio della maggiore rappresentatività, in base al principio dell’erga omnes così come stabilito nella legge del 1961, nessun contratto si può autodefinire ‘migliore’ di un altro, ma eventualmente andrebbero evidenziate (ed estrapolate) le migliori condizioni di quelli esistenti per un dato settore. Ed è in questo contesto che la principale preoccupazione di Pio Ugolini, Segretario generale dell’Unione Nazionale Artigiani di San Marino, è quella di fare chiarezza, perché “la confusione non serve a nessuno”.
In questi giorni circola una scheda sintetica che mette a confronto i due contratti, tali comparazioni vi sembrano puntuali e veritiere?
“Premesso che tale scheda non è stata in nessun modo redatta né confrontata con UNAS e CSU, tanto che alcuni dati riportati appaiono palesemente sbagliati, falsando il confronto stesso, è certamente sintetica e non approfondisce il tema come andrebbe invece fatto. Se si parla di ore contrattuali, ma si omette il valore delle stesse non si fa informazione. Anzi! Si cade nella disinformazione. Se si vogliono confrontare due accordi, si dovrebbe partire da cosa c’è scritto: ad una rapida occhiata anche un profano può subito notare che la prima parte del contratto appena sottoscritto da OSLA e USL è la stessa già in vigore e sottoscritta da UNAS e CSU dal 2012. Specifico che è la parte normativa e quindi essenziale, in quanto si delinea il campo di applicazione ed profilo dell’impresa artigiana, quindi di una delle due parti in causa del contratto. Se si prende il nostro contratto del 2012 e lo si pone a fianco di quello firmato oggi da OSLA/USL, si può notare il ‘copia ed incolla’ non solo dei nostri contenuti già in vigore dal 2012, ma anche degli stessi capitoli con cui è stato sequenziato il contratto. Escluse ovviamente le sigle dei firmatari, non c’è alcun elemento nuovo – perfino la sommatoria degli aumenti nel quadriennio è sempre del 3,5% -, né tantomeno innovativo. Tanto che mi stupisco delle critiche rivolte al nostro contratto: se hanno copiato un’intera sezione dal nostro, significa che andava bene. Andava talmente bene, aggiungo, che hanno ripetuto anche punteggiature ed alcune piccole imprecisioni o locuzioni elaborate da noi al tempo: fossimo in campo musicale, non sarebbe neanche un plagio, ma una cover o una imitazione canora”.
Nella seconda parte, però, emergono alcune differenze. Una, in particolare, sembra essere quella delle ore annuali di ferie.
“Su questo punto, come su altri legati al tema della rappresentatività che tratterò più avanti, c’è molta confusione perché è un tema per ferrati addetti ai lavori. In primis bisogna dire che le ore lavorate nell’anno sono le medesime e in virtù di una articolazione diversa e di una differente tariffa oraria il costo del lavoro e le ore lavorate sono assolutamente assimilabili anche con il settore industria. Ci mancherebbe altro che un lavoratore o una azienda avessero ripercussioni o privilegi con un contratto rispetto ad un altro. Se qualcuno affermasse il contrario sarebbe palesemente nel falso. Cambia per gli aspetti organizzativi, perché un contratto pensato ad hoc produce economie nel rispetto delle parti. Filosofia da sempre seguita da UNAS e da CSU. Una premessa è d’obbligo: tutti i contratti prevedono 26 giorni di ferie e quelli sono. La scelta di UNAS e CSU di mantenere le 40 ore lavorative settimanali distribuite normalmente sui primi 5 giorni della settimana, è il risultato di alcuni ragionamenti specifici per questo settore. Stiamo parlando di imprese artigiane, non di catene di montaggio in cui al cambio turno ogni operaio prosegue lo stesso lavoro del precedente. Dal tempo necessario per l’arrivo o la partenza dal cantiere alle esigenze legate alla stagionalità e ad altri fattori di cui si deve tenere conto e che chi opera in questo settore conosce molto bene, sia che siano datori di lavoro, sia che siano dipendenti. Nel nostro contratto, in nome della flessibilità, a fronte delle 40 ore suddette, il lavoratore matura 120 ore di riduzione di orario, che l’azienda può utilizzare per ridurre l’orario di lavoro settimanale nei periodi di minore lavoro, per concedere la riduzione d’orario oppure anche retribuirle, ma senza maggiorazioni. Ricordo che le 120 ore di permesso nascono dal fatto che ogni settimana la differenza tra 37,5 ore lavorate e le 40,0 ore degli artigiani creano una differenza di 2,5 ore che moltiplicate per 48 settimane (4 per arrivare a 52 sono di ferie) creano il monte ore della riduzione d’orario. Questa flessibilità porta un vantaggio non solo alle piccolissime imprese in fase di organizzazione del lavoro ed ai dipendenti che possono gestire con l’azienda un plafond maggiore di ore a parità di ore lavorate, ma c’è un vantaggio anche alla collettività, in quanto ha l’ambizione di ridurre il ricorso alla cassaintegrazione”.
Quindi non è vero che le imprese che adottano il vostro contratto pagano più ore di ferie ai propri dipendenti? E più permessi e premi?
“Il valore del costo per ferie deve essere identico non solo all’interno del settore artigiano, ma anche tra artigianato ed industria. Ridicolo pensare che un contratto non sia equilibrato e paghi di più o di meno di un altro, perché sarebbe offensivo o per le imprese o per il dipendente. Il costo, fatto salvo arrotondamenti è uguale per tutti. La dico come battuta, se proprio una convenienza economica c’è è a favore del nostro per circa 8 euro su base annua. Paragonare le ore contrattuali, senza attribuire il valore soggettivo della singola ora, il costo reale per ora lavorata ed il costo annuo del contratto, alimenta solo confusione. Mi faccia fare un inciso sull’ipotetica possibilità inserita nel loro contratto di ridurre l’orario settimanale a 36 ore e 30 minuti evitando di corrispondere gli aumenti di retribuzione previsti quale strumento per contenere l’accesso alla CIG: ma se una ditta è in crisi può addossarsi il costo di ore di lavoro da pagare e non chiedere sostegno alla Cassa Integrazione? Allo stesso modo risultano incomprensibili le 12 ore di formazione professionale: per noi ci sono oltre 1.600 ore l’anno di formazione, ovvero tutte le ore che il dipendente lavora al fianco del proprio datore di lavoro. Chi conosce il mondo dell’artigianato sa che la formazione è quotidiana, perché il datore di lavoro è il primo lavoratore vicino al dipendente, sia che si tratti di un elettricista, di un imbianchino o di un idraulico” .
Il rapporto tra impresa e lavoratori diventa quindi fondamentale.
“Il contratto deve regolare tale rapporto e deve ricercare l’equilibrio tra gli interessi e le tutele di entrambe le parti: serve il rispetto economico nei confronti del lavoratore, così come le tutele per l’impresa. Sarebbe oltremodo scorretto per una delle due parti in causa se un contratto squilibrasse tale bilanciamento e sostenere che il proprio contratto è a favore di una parte suona come un’ammissione in tal senso”.
A maggior ragione in imprese con in media pochi dipendenti.
“La media nazionale del settore è di circa 3 lavoratori. Si tratta quindi di strutture molto semplici, senza grandi apparati sindacali interni, per cui il contratto dovrebbe essere il più chiaro possibile e di facile applicabilità, come è quello firmato da UNAS e CSU, applicato nella quasi totalità delle imprese artigiane”.
Così però entriamo nel campo dei numeri e della rappresentatività. Altro terreno di scontro con OSLA.
“Sui numeri si fa confusione da sempre, peggiorando la situazione con un linguaggio spesso ancora più ambiguo. Stiamo parlando innanzitutto di un contratto per i lavoratori, quindi dall’altra parte ci dovrebbero essere i datori di lavoro, non imprese a zero dipendenti. E’ in questo senso che i numeri vanno letti: delle circa 500 imprese artigiane, infatti, solo 191 hanno dipendenti e di queste oltre il 90% adotta il contratto sottoscritto da UNAS e CSU. Abbiamo chiesto che l’Ufficio del Lavoro faccia chiarezza, per attribuire a Cesare quel che è di Cesare. Questo non esclude che ci siano altri contratti, ma va chiarito una volta per tutte che solo uno può avere efficacia erga omnes e ovviamente tale efficacia si deve basare sulla reale rappresentatività di chi lo sottoscrive”.