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Giuseppe Verdi: raffinato, non goloso

da Redazione

Dai piatti della tradizione emiliana a quelli dei ristoranti più famosi, sono tanti i riferimenti del Maestro alla gastronomia: gestiva lui stesso i fondi agricoli, studiava le ricette ed era terribile con i suoi cuochi.

 

di Daniele Bartolucci

 

Come tanti altri artisti, anche Giuseppe Verdi avrebbe trovato posto nella sua agenda per un viaggio all’Expo di Milano. La passione per la cucina del Maestro italiano, è talmente famosa che Roberta Parma ci ha costruito sopra anche un’opera teatrale, “Armonie in cucina”, in cui attraverso le cucine delle abitazioni di Verdi, i domestici svelano gli aspetti meno noti della quotidianità dell’uomo Verdi, della moglie Giuseppina Strepponi e degli amici che soggiornavano a Villa Sant’Agata e nella dimora di Genova. Perché avendo vissuto in più località (Busseto, Genova, Milano, per ricordare le principali), ha potuto conoscere diverse culture culinarie e assaggiare piatti delle più antiche tradizioni. Inoltre, Verdi non era semplicemente una ‘buona forchetta’, ma un profondo conoscitore del cibo, fin dalla filiera produttiva: è riconosciuta, ad esempio, la sua abilità di imprenditore agricolo, soprattutto per l’acquisto di ampi fondi e terreni nel territorio nativo, tra le province di Parma e Piacenza. Da questa vicinanza alla terra, nasce questo suo rapporto appassionato con le tradizioni e i luoghi, che si estende anche alla cultura culinaria del posto. “Il rapporto appassionato del Maestro con la gastronomia e con i prodotti della sua terra – intesa come suolo natio, luogo di residenza e come possedimenti terrieri – consente di addentrarsi in un complesso mondo di significati storici, simbolici e sociali”, scriveva Ilaria Dioli, “in quanto il cibo riguarda temi come l’appartenenza, l’identità, la cultura ed equivale ad una riscoperta della tradizione”.

A testimonianza dell’interesse che il Maestro aveva per la buona tavola, le tante lettere scritte da lui stesso e dalla sua compagna di vita, Giuseppina Strepponi, che riportavano suggerimenti, ricette e aneddoti di cucina. Come un vero e proprio ambasciatore dei valori della sua terra, Verdi inviava abitualmente da Villa Agata ai suoi amici prodotti di salumeria e formaggi. E nelle sue residenze organizzava pranzi conviviali dove i prodotti tipici emiliani e la cucina genuina non mancavano mai.

A Salsomaggiore Terme, il Prof Valerio Antolini, ha compiuto anche un progetto di studio interessante, coinvolgendo gli studenti dell’Istituto alberghiero “Magnaghi”, proprio sul rapporto tra Giuseppe Verdi e la cucina. In questi lavori, vengono raccontati alcuni aneddoti e particolari curiosi, come la descrizione di Giuseppe Giacosa del 1889, in qualità di giornalista e ospite privilegiato della villa di Sant’Agata: “Il Verdi non è goloso, ma raffinato; la sua tavola è veramente amichevole, cioè magnifica e sapiente: la cucina di Sant’Agata meriterebbe l’onore delle scene, tanto è pittoresca nella sua grandezza e varia nel suo aspetto di officina d’alta alchimia pantagruelica […] Il Verdi non è gran mangiatore, né di difficile contentatura. Sta bene a tavola come tutti gli uomini sani, savi e sobri, ma più di tutto ama veder raggiare intorno a sé, negli ospiti, la giocondità arguta e sincera che accompagna e segue le belle e squisite mangiate: è un uomo disciplinato e come tale crede che ogni funzione della vita debba avere il suo momento di prevalenza: è un artista e come tale considera, e con ragione, il pranzo quale opera d’arte”. Questa sua raffinatezza lo portò ad essere molto esigente anche in fatto di cuochi. La scelta dei cuochi per Verdi, risultò un vero e proprio grattacapo, testimonianza che ci viene fornita da diverse lettere di corrispondenza. Mercede Mendula diceva che Verdi al cuoco faceva delle prove come a un cantante, in quanto lo voleva “Abile manipolatore di cibi” e non “cattivo brucia pentole”. Da Genova, Verdi scrisse a Maloberti “[…] bada che lo voglio buono, e non un fanfarone”. Nel 1878 si rivolge ad un suo ex cameriere, Luigi Bizzi: “Sappimi dire se a Reggio si può trovare un buon cuoco. Bada che io non voglio che sappia cucinare bene o male tre o quattro piatti casalinghi […] Spendo quello che vale, ma, ripeto, che sia un cuoco”. Allo stesso modo era molto esigente per quanto riguarda la scelta delle materie prime e delle ricette, tra cui alcune sono passate alla storia come le sue preferite. Si sa infatti che il riso era uno dei prodotti prediletti, consumato in tutto l’arco dell’anno, come da tradizione (come la polenta) della sua modesta famiglia. Si trovano diverse ricette che Verdi scrisse o inviò agli amici, famosa è quella che dettò alla sua compagna mentre stava scrivendo a Du Locle, o quella del ‘riso ai fegatini’, di cui si dice ne andasse ghiotto, tanto che non se né privò nemmeno nelle ultime cene trascorse al Grand Hotel et de Milan.

Ma come detto non era un ‘egoista’, a Verdi piaceva condividere questa sua passione e amava regalare agli amici più cari la spalletta tipica di San Secondo Parmense abbinata a una buona bottiglia di Fortana.

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