Cesare Borgia, il Valentino, conquistò la Romagna e occupò militarmente la Repubblica di San Marino. Elevò Serravalle a ‘capitale’ e ridusse la Reggenza a un incarico trimestrale, scatenando la protesta.
di Daniele Bartolucci
Anche Cesare Borgia, detto il Valentino e divenuto immortale grazie a “Il Principe” di Macchiavelli, ha avuto un ruolo nella millenaria storia della Repubblica di San Marino, e non solo perché l’ha dominata per diverso tempo.
Come noto, il figlio di Rodrigo Borgia, potentissimo pontefice con il nome di Alessandro VI, rifiutò ben presto la vita ecclesiastica (era stato nominato anche Cardinale) in favore di quella militare e politica, divenendo uno dei più scaltri e temuti condottieri nell’Italia del 1500, riuscendo a sottomettere la Romagna e Urbino. Avrebbe perfino potuto diventare Re di Napoli se fosse andato a buon fine il matrimonio con la figlia di Federico I, ma la promessa sposa si rifiutò e Borgia tornò dalla Francia al fianco di Charlotte d’Albret, nipote di Luigi XII, da cui ottenne il titolo di duca del Valentinois. qui l’appellativo di “Valentino”. In qualità di luogotenente del Re, Borgia guidò la conquista di Milano e proseguì al di là del Po sino a giungere in Romagna, territorio a quel tempo sotto il potere temporale del papato. Il padre, Papa Alessandro VI, che era stato tenuto informato sulle manovre della truppa, inviò ai signori di Pesaro, Imola, Forlì, Faenza, Urbino e Camerino, una lettera in cui li dichiarava decaduti dai loro feudi, spianando così la strada alla conquista del figlio e donandogli un intero principato. Ovviamente nessuno obbedì all’ingiunzione del Papa e si scatenò la guerra. Inutile la difesa dei signori romagnoli: caddero prima Imola nel 1499 e Forlì nel gennaio del 1500, poi durante l’estate anche Cesena si arrese, quindi fu la volta di Rimini e Faenza, dove vennero deposte le signorie dei Malatesta e dei Manfredi. E da qui fu logico guardare alle Marche, quindi ai i ducati di Camerino e Urbino, per scacciare i Da Varano[4] e i Montefeltro, come avvenne due anni dopo. Una serie di successi che gli conferirono potere, gloria e forse anche un po’ di arroganza, tanto che progettò di estendere il suo potere alle città toscane di Siena, Pisa e Lucca. Probabilmente ci sarebbe riuscito, se non fosse stato per l’improvvisa mancanza del suo principale sostegno e punto di riferimento: la morte del padre, papa Alessandro VI. Dopo il breve pontificato di Pio III, a lui favorevole, salì al pontificato il Cardinale Giuliano Della Rovere, esponente di un casato acerrimo nemico dei Borgia. Il nuovo pontefice, che prese il nome di Giulio II, tolse al duca il governo della Romagna e ne ordinò l’arresto e la reclusione in Castel Sant’Angelo. Per il Valentino fu l’inizio di una rapida e incontrovertibile decadenza, con evasioni e fughe, fino alla morte, avvenuta nel 1507.
Nonostante la fine, non certo gloriosa, come scrisse lo stesso Macchiavelli, quella di Cesare Borgia è stata un’esperienza politica importantissima in Romagna, soprattutto perché, grazie a lui, i tribunali riuscirono a riportare l’ordine dopo l’ascesa dei vicariati, che avevano sì sottratto al Papa il potere temporale, ma avevano di fatto peggiorato la condizione di vita delle popolazioni che governavano. E questo accadeva tutto attorno a San Marino, obbligata più dalla geografia che dalle mire espansionistiche del Valentino a legarsi ai suoi progetti e da questi venirne coinvolta nei primissimi anni del XVI secolo. Non sono molti i documenti storici per ricostruire questi legami, ma secondo gli studi del Prof. Verter Casali contenuti in “Schede di memoria sammarinese”, si può parlare di “tre periodi distinti in cui Cesare Borgia intrattenne rapporti con San Marino”: tra l’ottobre del 1500 ed il giugno del 1502, il Valentino non esercitò un dominio diretto sul piccolo Stato, ma solo indiretto; quindi fino all’ottobre del 1502, Borgia occupò militarmente lo Stato sammarinese; infine, dopo due mesi di libertà, tra il dicembre del 1502 e l’agosto del 1503, “Borgia ripristinò il suo imperio assoluto su San Marino”. Fu un’occupazione malvissuta da quasi tutti i sammarinesi (poi vedremo perché “quasi tutti”), tanto che non mancarono di dare il loro apporto ai nemici del Valentino, che al tempo erano molti e ben agguerriti. A iniziare dal duca Guidobaldo, costretto a fuggire da Urbino, ma soprattutto Venezia a cui due ambasciatori sammarinesi avrebbero perfino proposto la sottomissione della Repubblica in cambio di un aiuto contro Cesare Borgia. La ribellione interna e le pressioni dei nemici fecero in effetti arretrare il Valentino, ma solo per pochi mesi, visto che ben presto ripristinò la sua signoria, con il controllo di San Marino e del suo circondario. Ma non tutti, dicevamo, erano arrabbiati. Come spiega il Prof. Casali, “approfittando proprio di questa seconda conquista del territorio sammarinese, gli abitanti di Serravalle, che erano stati sottomessi al governo sammarinese solo quarant’anni prima, e che si erano sempre dimostrati insofferenti verso il domino del comune sammarinese, parteggiarono apertamente per il Borgia tanto da venire prosciolti da ogni vincolo di sudditanza verso San Marino con un diploma ufficiale del 20 giugno 1503”. Non a caso Borgia proclamò proprio Serravalle nuova capitale del piccolo Stato. L’altra novità fu che “la Reggenza divenne una carica solo trimestrale; nel 1503 si ebbero così tre coppie di Reggenti”. Un’imposizione a cui San Marino cercò nuovamente di ribellarsi, appellandosi anche al Papa, ma proprio in Vaticano (e non solo) il Valentino godeva di così tanti appoggi che fino alla morte del padre l’antica Repubblica non ottenne alcun aiuto. Invece, la morte del padre-Papa, “provocò l’immediata sollevazione di tutte le terre che aveva sottomesso” e “anche San Marino negli stessi giorni riuscì a scacciare i ministri del Valentino ed a riacquistare la sua indipendenza”.