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Elusione depenalizzata e separata dall’evasione

da Redazione

Certezze ai contribuenti, soprattutto se stranieri. Novità per la ‘voluntary’. Varato il Decreto sulla “sicurezza del diritto” del Governo Renzi.

 

di Daniele Bartolucci

 

L’Italia ha depenalizzato l’elusione fiscale. Questa la notizia, passata piuttosto in sordina, che si desume dall’approvazione il 31 luglio del Decreto sulla “certezza del diritto”, in attuazione della Legge delega 11 marzo 2014, n. 23, con la quale è stata conferita delega al Governo per emanare disposizioni in materia di abuso del diritto ed elusione fiscale, gestione del rischio fiscale, di governance aziendale e di tutoraggio, nonché in materia di raddoppio dei termini per l’accertamento. L’articolo 1 del decreto, inserendo l’art. 10-bis nello “Statuto dei diritti dei contribuenti”, disciplina l’abuso del diritto e l’elusione fiscale, che vengono unificati in un unico concetto che riguarda tutti i tributi, imposte sui redditi e imposte indirette, fatta salva la speciale disciplina vigente in materia doganale. In sostanza, in ottemperanza alla raccomandazione 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva, si introduce una norma generale antiabuso, mentre si abroga la vigente norma antielusiva contenuta nell’articolo 37-bis, del D.P.R. n. 600/1973 (tra le casistiche, art. 1 comma 3 par. e, anche “il trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte di una società”).

In pratica, l’abuso di diritto, sinonimo dell’elusione fiscale, sarà sanzionato solo amministrativamente, mentre solo la violazione delle norme riferite a frode o evasione fiscale potrà dare origine alla responsabilità penale del contribuente per reati tributari. Questo significa, di conseguenza, anche un approccio diverso da parte dell’Agenzia delle Entrate che, prima dell’emanazione del decreto, con riferimento a operazioni di pianificazione fiscale aggressiva, aveva una certa ‘discrezionalità tecnica’ nello scegliere un metodo di ricostruzione tra i diversi possibili: regole Cfc (Controlled Foreign Companies), transfer pricing, interposizione soggettiva, esterovestizione, stabile organizzazione occulta, erano tutti metodi di ricostruzione e contestazione utilizzabili all’Agenzia delle Entrate. Ma “con il decreto sulla certezza del diritto”, spiega ad esempio ItaliaOggi, “l’applicazione di norme la cui natura è antielusiva (come le regole Cfc), deve ora essere residuale rispetto all’applicazione di norme la cui portata è precettiva e sostanziale”. Quindi anche la procedura di contestazione dell’abuso diventa più rigida e a tutela del contribuente: prima di tutto, la contestazione dell’abuso va portata a conoscenza del contribuente, in modo motivato e circostanziato, fin dalla fase amministrativa, ovvero prima dell’emissione dell’avviso di accertamento. Nella notifica iniziale deve essere infatti già palesato in che cosa consisterebbe l’abuso, perché nei successivi 60 giorni possa poter esporre le sue ragioni. Fissato anche un tempo minimo, di ulteriori 60 giorni, perché le sue motivazioni debbano essere adeguatamente valutate prima dell’eventuale l’avviso di accertamento. Ovviamente la violazione di queste regole determina la nullità dell’avviso.

Di fatto si delinea una separazione netta tra le condotte elusive e quelle evasive, con l’obiettivo, aveva annunciato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, di “delineare con certezza la condotta contestabile dal contribuente e cioè fornire margini chiari entro i quali operare senza incorrere nella violazione involontaria dello spirito delle norme fiscali”. L’onere della prova resterà a capo dell’amministrazione finanziaria mentre “il contribuente deve dimostrare il vantaggio extra fiscale in vista del quale ha compiuto l’operazione” ha spiegato Padoan che ha aggiunto: “Ricordo che comportamenti che riguardano frode, reati tributari, e evasione presentano rilevanza penale. Nel caso dell’abuso del diritto il regime sanzionatorio è di tipo amministrativo e quindi non penale”. L’art. 13 è chiarissimo: “13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”. Quindi l’elusione non comporterà alcun reato, ma solo l’inefficacia, ai fini tributari, delle operazioni elusive contestate dall’Agenzia delle Entrate al contribuente.

Ma quali sono i tre presupposti della condotta dell’abuso di diritto? L’assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate (compresi atti, contratti, fatture ai soli fini di pagare meno tasse), la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito (cioè i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario) e la circostanza che il vantaggio è l’effetto essenziale dell’operazione, più importante di altri. Si dà, quindi, importanza all’intento doloso del contribuente che, nella condotta messa in atto, ha come scopo essenziale quello di perseguire un vantaggio indebito. Come spiegato da Padoan, la norma esclude dal perimetro dell’abuso di diritto le operazioni giustificate da valide ragioni extra fiscali, non marginali anche di ordine organizzativo. E questo – altra novità importante – si applica anche “quando l’attività economica del contribuente sia professionale e non imprenditoriale”. In pratica non sono considerate elusive le operazioni che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente.

Nel momento in cui si parla di certezza del diritto e questo decreto è annunciato come “un passo avanti per rendere l’Italia più attrattiva” (cit. Matteo Renzi), non poteva mancare anche l’introduzione dello strumento dell’interpello preventivo, ovvero il contribuente avrà la possibilità di presentare istanza all’Agenzia delle Entrate per verificare se la sua condotta (e quindi la sua dichiarazione dei redditi) è contestabile o meno. Una garanzia, di fatto, per imprenditori e professionisti che si trovino a sviluppare pianificazioni fiscali aggressive all’interno dei loro business plan. Dal punto di vista ‘attrattivo’, in pratica, chi dovesse eludere le tasse se la dovrà vedere con l’Agenzia delle Entrate, al quale dovrà restituire tutto interessi compresi, ma non più anche con le Procure del Belpaese e i titoloni sui giornali, due rischi che spesso spaventano le multinazionali e comunque gli investitori esteri (in verità anche quelli italiani).

Le nuove regole si applicano a decorrere dal 1° giorno del mese successivo all’entrata in vigore (la pubblicazione in Gazzetta non è ancora avvenuta) e dunque per gli accertamenti futuri. In via retroattiva, però, potranno beneficiarne anche le operazioni poste in essere prima, per le quali non sia stato notificato l’atto impositivo. Inoltre, in base al principio del “favor rei”, non potranno più essere perseguibili penalmente neanche le condotte elusive commesse in passato, per i procedimenti in corso. Nel caso in cui sia già stato intrapreso un procedimento penale, occorrerà rappresentare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato; se, invece, queste fattispecie dovessero essere scoperte in futuro, saranno gli stessi verificatori che si asterranno dall’inoltro della notizia di reato all’autorità giudiziaria, non trattandosi più di violazione perseguibili penalmente. Per fare un esempio, se questa norma fosse stata già in vigore, gli stilisti Dolce e Gabbana non sarebbero mai finiti sotto processo per aver trasferito all’estero il proprio marchio.

 

COPERTURA PENALE PER LA VOLUNTARY DISCLOSURE

Con l’approvazione definitiva del Consiglio dei ministri del decreto sulla certezza del diritto, viene introdotta anche la copertura penale estesa e gratuita per gli anni d’imposta non più accertabili. La misura inserita nella seconda stesura del decreto sulla certezza del diritto riguarda soprattutto la “voluntary disclosure”. Finora, infatti, i numeri parlano di un’operazione che ha stentato anche a causa delle incertezze applicative. In pratica, la nuova norma estende la non punibilità penale – già prevista dalla legge sul rientro dei capitali (186/2014) per chi aderisce e si mette in regola con il fisco dal 2010 in poi – anche ai periodi d’imposta per i quali sono scaduti i termini di accertamento amministrativo, senza però dover pagare nulla per gli anni non più controllabili. Un intervento – come spiega la relazione illustrativa al provvedimento – finalizzato a “superare l’incertezza interpretativa connessa al disallineamento temporale tra termine di prescrizione dell’azione penale e termine di decadenza dell’accertamento tributario amministrativo, in linea con lo spirito della legge che ha introdotto la voluntary disclosure”.

Diventando impossibile accertare ai fini fiscali gli anni anteriori al 2010 (o 2009 in caso di dichiarazione omessa) restava tuttavia il fatto che ai fini penal-tributari non sono ancora spirati i termini prescrizionali per le annualità 2008 e 2009 (che spirerebbero rispettivamente quest’anno e il prossimo a seconda del momento di presentazione della dichiarazione). Il decreto quindi garantisce più certezza e introduce una disposizione per la quale ai fini della causa di non punibilità prevista dall’articolo 5-quinquies, comma 2 del decreto legge 167/1990, si considerano oggetto della procedura anche gli imponibili e le imposte per i quali è scaduto il termine per l’accertamento. Quindi per i reati coperti dalla procedura (e solo per questi) non si può procedere penalmente nemmeno sul 2008 e sul 2009 in relazioni agli imponibili connessi dalla procedura di regolarizzazione. L’estensione della copertura penale serve esclusivamente se dal corredo documentale fornito emergano fattispecie penalmente rilevanti su anni non prescritti. In tal caso il magistrato che riceverà l’istanza non procederà in relazione ai reati coperti dalla disclosure, vista appunto l’estensione della causa di non punibilità.

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