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San Marino, evviva la libertà sindacale

da Redazione

Ogni dibattito ha il pregio di far emergere le posizioni. Perché al di là del fiume di parole, dell’inevitabile confusione, spesso voluta, con un po’ di attenzione ed approfondimento in più emergono chiari i valori ed in questo caso quelle a fondamento dell’attività sindacale.

 

Ogni dibattito ha il pregio di far emergere le posizioni. Perché al di là del fiume di parole, dell’inevitabile confusione, spesso voluta, con un po’ di attenzione ed approfondimento in più emergono chiari i valori ed in questo caso quelle a fondamento dell’attività sindacale. Da tempo tutte le parti avvertono la necessità di aggiornare le disposizione della legge sul lavoro del 1961, non più adeguate ai tempi e di ricreare un quadro ordinamentale di certezza. Non tutti, ovviamente, allo stesso modo: alcuni con convinzione, altri per dovere.

 

LE POSIZIONI

L’Associazione Nazionale Industria San Marino è da tempo impegnata nella direzione di definire norme più precise sulla rappresentatività e con CSdL e CDLS ha sottoscritto uno specifico accordo nel 2012 che tratta della materia in modo approfondito e puntuale.

UNAS, il sindacato degli artigiani e della piccola impresa, sostiene gli stessi principi e ha firmato un analogo specifico accordo sulla rappresentatività con le due sigle, CSdL e CDLS.

USC e USOT, che rappresentano due specifiche categorie, quelle del commercio e degli alberghi bar e ristiranti, nel cambiamento, vogliono giustamente vedersi riconosciuto il loro ruolo e lunga storia di rappresentanza.

Da parte sindacale CSdL e CDLS, come abbiamo già detto, condividono con ANIS e UNAS specifici accordi e sono decise nel sostegno della proposta di legge presentata dalla Segreteria al Lavoro. L’altro sindacato, l’USL, si è sempre espresso contro i sindacati autoreferenziali e con convinzione ha dichiarato tutti i propri iscritti e segnatamente quelli del settore industria così come CSdL, CDLS e ANIS in occasione del recentissimo rinnovo del contratto. USL però non ha poi sottoscritto il rinnovo del contratto nazionale proprio per la mancata condivisione dell’accordo sulla rappresentatività, promuovendo una massiccia campagna di comunicazione contro la legge asserendo a gran voce come questa violerebbe gravemente la libertà sindacale. Crediamo non sia proprio così, anzi.

L’accordo richiamato e la proposta di legge non intendono “cancellare” i diritti, ma al contrario renderli più chiari e trasparenti, fondando l’impianto giuridico sull’affermazione del principio di democrazia dove a decidere è la maggioranza, nel caso specifico delle imprese e dei lavoratori occupati.

Questo al contrario di quanto avviene oggi dove una minoranza può “imporre” – rendendolo efficace erga omnes – un contratto nazionale di lavoro parallelo, vanificando la funzione stessa della contrattazione che è quella della unicità e univocità delle norme.

Dunque occorre analizzare le ragioni che spingono l’USL a difendere ad oltranza la vecchia norma e a promuovere questa iniziativa.

A nostro modo di vedere queste possono essere almeno tre: la prima, più rilevante, è l’assegnazione dei fondi, la seconda, di rappresentanza e la terza di promozione e ricerca di nuove iscritti.

Ma andiamo con ordine. Il contributo “semi obbligatorio” dello 0,40 viene versato da tutti i lavoratori salvo disdetta che deve avvenire con atto formale sottoscritto davanti al direttore dell’Ufficio del lavoro.

La ripartizione di questo introito, che ammonta a oltre 2 milioni di euro, viene effettuata sulla base degli iscritti. Qui nasce il problema. Per essere iscritti a CSdL e CDLS occorre versare un ulteriore 0,30%, per iscriversi a USL nulla. Questo appare come una sorta di concorrenza sleale che naturalmente incide sulla rappresentatività e sui bilanci dei sindacati.

Qui si innesta anche la questione dei distacchi previsti dalla contrattazione pubblica. Un dipendente pubblico può essere distaccato e lavorare a tempo pieno per un sindacato mentre il suo stipendio continua a essere a carico del bilancio dello Stato. Un costo rilevantissimo in tempo di spending review.

USL ne fa “buon suo” e questo unitamente al fatto di essere un sindacato giovane e meno strutturato l’aiuta nella gestione dei suoi costi.

Certamente la materia nel suo complesso necessita di un aggiornamento per riequilibrare le diverse posizioni in considerazione del fatto che i sindacato svolgono un ruolo pubblico ben preciso.

Non certo per ultimo, USL – che è sempre attenta alla comunicazione – ha colto l’opportunità che l’argomento offre per promuoversi, farsi meglio conoscere ovviamente per incrementare i propri iscritti.

Nella nostra analisi abbiamo lasciato per ultima OSLA in quanto le sue posizioni sono piuttosto “uniche”.

L’associazione rappresenta tutti i settori d’attività imprenditoriale: bar, ristoranti, alberghi, piccola e grande impresa, artigiani, liberi professionisti e altri ancora; non ha mai dichiarato pubblicamente e neppure alle altre organizzazioni sindacali i propri iscritti per poco comprensibili ragioni di tutela della privacy.

Sulla base della legge del 1961, essendo legalmente riconosciuta, può sottoscrivere tutti i contratti di lavoro indipendentemente da chi rappresenta in tutti i settori nei diversi settori d’impresa.

OSLA sostiene che i datori di lavoro non possono misurarsi sulla base dei lavoratori dipendenti occupati, come prevede invece la proposta di Legge.

Ad esempio, si domanda: 50 aziende con 100 dipendenti valgono meno di una con 200 dipendenti? L’esempio è sbagliato in sé, ma così è.

Per essere sindacati legalmente riconosciuti, la Legge del 1961 prevede che i sindacati dei lavoratori abbiamo almeno 500 iscritti, mentre quelli datoriali devono comprendere almeno otto categorie oppure un minimo di 100 iscritti qualificati. Il termine qualificati è davvero interessante. Il legislatore nelle sue valutazioni ha ragionato sulla diversità tra datori di lavoro e sul fatto che era necessario dare un indirizzo.

Qui ci permettiamo una nostra interpretazione, immaginando che la “qualifica” del datore di lavoro non sia un giudizio sulla persona o sull’attività svolta, ma, più semplicemente, rivolto alla dimensione dell’impresa e quindi ai lavoratori che occupati. D’altronde è interesse pubblico offrire occupazione ai cittadini.

Un’altra riflessione è che i contratti sono rivolti ad ogni singolo lavoratore e le aziende, quando lo sottoscrivono, lo fanno assumendosi un impegno specifico verso ogni dipendente occupato. Per capirci un’azienda con un dipendente avrà costi per un dipendente, quella con 200 lavoratori per 200 lavoratori. Ergo, non siamo tutti uguali di fronte alla sottoscrizione di un impegno contrattuale perché l’azienda più grande deve impegnarsi per un maggiore costo proprio in relazione ai dipendenti occupati.

La Legge inoltre assegna ai sindacati legalmente riconosciuti uno specifico ruolo pubblico riconoscendo la facoltà di sottoscrivere contratti di lavoro con efficacia erga omnes. Cioè contratti che sono legge per tutti, anche i non iscritti.

Senza nuove regole i contratti collettivi possono essere legittimamente sottoscritti con efficacia erga omnes anche dai Sindacati che rappresentano una minoranza dei lavoratori occupati nel settore di riferimento.

I sindacati che rappresentano una minoranza di lavoratori possono imporre alla maggioranza delle imprese costi più elevati senza interpellarle? O, per converso, può un sindacato minoritario imporre regole a tutti i lavoratori. La proposta di legge risolve il problema indicando che i sindacati debbano rappresentare la maggioranza dei lavoratori del settore contrattuale di riferimento per poter assegnare la valenza erga omnes al contratto. Ovviamente in caso contrario il contratto resta valido e impegna solo le parti che lo hanno sottoscritto.

Occorre superare l’attuale situazione che lascia spazio a vere e proprie assurdità.

Un sindacato datoriale riconosciuto anche senza nessun imprenditore iscritto in una categoria e dunque senza dipendenti occupati può sottoscrivere un contratto che è efficace per tutti gli altri.

Francamente questo sì che viola i principi della democrazia e della liberta sindacale.

Se oggi un imprenditore volesse investire a San Marino e chiedesse quale contratto deve applicare alla sua azienda manifatturiera si sentirebbe rispondere che ce ne sono ben due, ma che potenzialmente (lo prevede la Legge) potrebbero anche diventare di più.

Il Sindacato poco rappresentativo in una categoria di imprese, potrebbe firmare contratti con clausole vessatorie per queste imprese. Ma anche solamente, come avviene in molte occasione, sottoscrivere contratti senza sottoporli all’approvazione delle imprese e dei lavorati.

La nuova legge colma queste aberrazioni. Per noi è un fatto di civiltà.

Cari lettori, avrete certamente notato che nella nostra analisi non abbiamo trattato gli interessi della politica partitica, ma questa è sempre la stessa storia.

 

Contratti 2005-2015, ecco cosa è accaduto tra le parti

Come si sono comportati i sindacati in questi ultimi 10 anni? Alcuni esempi: nel primo contratto dei servizi, con efficacia erga omnes, siglato da OSLA e CSU (Federazioni servizi) una clausola contrattuale recitava che, per applicarlo tutti dovevano essere iscritti all’OSLA.

Nel 2005 in occasione del rinnovo del contratto industria, in piana trattativa ed azioni sindacali pesantissime CSU per convincere ANIS predispone una ipotesi di accordo con OSLA. E si scambiamo favori. Maggiori concessioni da parte di OSLA sulle parti normative del contratto in cambio di una clausola di salvaguardia sugli aumenti retributivi concordati. Se l’Associazione Nazionale Industria San Marino darà aumenti retributivi più contenuti anche OSLA darà di meno rispetto a quello convento.

Fortuna vuole che questa ipotesi non è mai stata sottoscritta evidentemente un poco di buon senso c’è stato.

Nel 2010? OSLA firma la mediazione del Governo per il rinnovo di tutti i contratti, ANIS no.

Secondo OSLA il contratto ha efficacia erga omnes ma non verrà mai applicato dalle aziende iscritte ANIS, che sono oltre 75% del settore. Nessuno ha il coraggio di opporsi tant’è che solo nel 2012 è ANIS e CSU sottoscrivono il rinnovo del contratto industria valevole dal 2009 al 31 dicembre 2014.

Nel 2012 OSLA esclusa dalla trattativa, firma un secondo contratto per il settore industria con USL. In teoria oggi vi due contratti con efficacia erga omnes. Che confusione.

Quest’anno, nel mese di giugno, in occasione del rinnovo del medesimo contratto, dopo una lunga trattativa a quattro che ha visto ANIS e OSLA da una parte e CSdL, CDLS e USL dall’altra, per diverse ragioni firmano solamente ANIS e CSU ma non OSLA e USL. Molto importante durante la trattativa, USL, CSdL, CDLS ed ANIS dichiarano i propri iscritti condividendo i principi sulla rappresentatività. OSLA no. E’ storia contemporanea…

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