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Santarcangelo Teatro 2015, il direttore Silvia Bottiroli su (untitled) (2000) di Tino Sehgal

da Redazione

Dichiarazione di Silvia Bottiroli, direttrice artistica del Festival Internazionale del Teatro in Piazza di Santracangelo di Romagna.

“Lo spettacolo (untitled) (2000), ultimo lavoro coreografico firmato da Tino Sehgal prima della sua conversione alle arti visive, è ‘una storia del XX secolo’ attraverso un assolo maschile che ripercorre la storia della danza del Novecento, proponendoci un vertiginoso viaggio nel tempo.

A quindici anni dal suo debutto, lo spettacolo – presentato a Santarcangelo Festival nelle giornate di sabato 18 e domenica 19 luglio – è ora affidato al coreografo francese Boris Charmatz e portato in tournée dal suo Musée de la Danse, una delle maggiori istituzioni coreutiche europee, e danzato dallo stesso Charmatz e da Frank Willens, danzatore formatosi con William Forsythe.

I cinquanta minuti dello spettacolo – sovvenzionato tra l’altro dal Ministero della Cultura e della Comunicazione francese, dalla Città di Rennes, dal Consiglio Regionale della Bretagna e realizzato per il Festival di Santarcangelo grazie al sostegno dell’Institut Français Italia – ripercorrono cent’anni di storia della danza, e cioè cent’anni di trasformazioni del corpo e delle sue relazioni all’antropologia, alla filosofia, alla politica e alla storia dell’arte. Nello specifico, lo spettacolo è costituito da un inanellarsi di citazioni che – da Nijinski a Pina Bausch, da Merce Cunningham a Trisha Brown, da Yvonne Rainer a Xavier Le Roy – presentano estratti degli spettacoli che hanno fatto la storia della danza: un archivio, ora incorporato da un danzatore solo, messo in relazione a un corpo specifico che è nudo perché spogliato di ogni riferimento temporale ed estetico.

La primissima scena del lavoro è una citazione da Isadora Duncan, l’artista che a inizio Novecento cambiò per sempre la storia della danza scendendo dalle punte e ispirandosi alla scultura greca: vi si riconosce il rimando ai corpi della scultura attica, la ricerca di una bellezza classica e statuaria, di una posa plastica e ieratica che contraddistingueva la danza della Duncan. L’ultima scena è invece una citazione dallo spettacolo Jerome Bel del coreografo francese Jerome Bel, fondatore del movimento della cosiddetta “non danza” che negli anni Novanta ha riavvicinato l’arte coreografica al movimento quotidiano, e che a sua volta si ispira in questo spettacolo a un’altra scultura, precisamente la celebrerrima Fontaine di Marcel Duchamp.

Sehgal incornicia quindi il suo assolo dentro a due voci fondamentali della danza del secolo scorso, e dentro a due momenti fondamentali per il rapporto tra danza e arti visive: due momenti in cui il corpo si fa opera d’arte, e al contempo due momenti in cui si attua una rivoluzione estetica, politica, antropologica. Prima il corpo che scende dalle punte e dai canoni rigidissimi del balletto classico per riavvicinarsi a una dimensione spirituale; poi la danza che ridà legittimità ai movimenti e ai gesti più elementari della quotidianità, a ribadire il suo legame indissolubile con la vita.

Quest’ultima scena, che parte da Fontaine di Marcel Duchamp e la attraversa abbandonando l’oggetto per lasciare alla scena l’atto, è l’immagine che ha fatto discutere in queste ore a Santarcangelo, dopo essere stata vista da spettatori in diverse città europee e in alcuni dei maggiori festival di danza: un corpo, un danzatore, che si fa fontana, facendo sgorgare uno spruzzo di pipì, nella posa del Manneken Pis di Bruxelles.

Si tratta quindi non già di una facile provocazione, che sarebbe peraltro puerile e poco efficace, ma di una dichiarazione rispetto al rapporto tra danza e storia, tra dimensione dell’arte e dimensione della vita individuale e politica. E si tratta di un gesto fortemente coreografato, inserito all’interno di un contesto artistico specifico e dichiarato come tale, da uno dei maggiori protagonisti della scena artistica contemporanea.

Quest’anno il festival di Santarcangelo si è posto nel segno di due frasi di Romeo Castellucci, “Guardare non è più un atto innocente” e “Sarà come non poter distogliere lo sguardo dagli occhi di Medusa”, e si è articolato attorno a una domanda fondamentale sulla libertà di espressione dell’arte, chiedendosi che cosa l’arte possa fare e che cosa le sia permesso negli spazi deputati, e che cosa nello spazio pubblico. Nella pubblicazione che accompagna il festival, “Take The Floor”, si sono presentati una serie di case studies di opere performative censurate in Europa negli ultimi anni, tra le quali spicca uno degli ultimi lavori dello stesso Castellucci, e si è riflettuto sulle dinamiche, seriamente preoccupanti, per le quali alcune “minoranze rumorose” che sentono urtata una loro sensibilità stiano regolarmente tentando, talvolta riuscendoci, di censurare delle opere di teatro e di danza.

In un programma che si è aperto in Piazza Ganganelli con Breivik’s Statement di Milo Rau, e che ha presentato al Supercinema le 49 ore del film Magic Bullet di Markus Ohrn, fa riflettere che a suscitare un dibattito politico e a creare scandalo sia il gesto ordinario di una pipì, incorniciato in un gioco di citazioni artistiche che rimanda a Duchamp e firmato da uno dei maggiori artisti contemporanei del mondo.

Forse davvero “guardare non è più un atto innocente”, forse davvero la scena è quel luogo in cui possiamo guardare consapevolmente, forse davvero c’è un bisogno assoluto di reinventare lo sguardo, la sua portata etica, la sua consapevolezza”.

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