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Cuneo fiscale “light”, un punto d’attrazione da tutelare

da Redazione

E’ uno degli indicatori più efficaci per valutare dove insediare la propria azienda o dove scegliere di lavorare e nonostante l’ultima riforma San Marino offre ancora vantaggi importanti sia alle imprese che ai loro dipendenti.

 

di Daniele Bartolucci

 

Il costo del lavoro è un fattore determinante nella crescita di un’economia, a maggior ragione se questa economia deve affrontare la difficile via della ripresa. E nel costo del lavoro una variabile fondamentale è quella del cuneo fiscale, in sintesi ‘la differenza tra quanto versa l’azienda per il lavoratore e quanto gli resta in tasca alla fine’ dopo aver pagato le tasse e versato i contributi previdenziali (molti a carico dell’azienda).

 

AGLI ITALIANI RESTA SOLO LA METÀ DELLA BUSTA PAGA

Nella vicina Italia, al sesto posto tra i Paesi Ocse per il più alto cuneo fiscale, sono anni che si cerca di introdurre un meccanismo efficace a ridurre questo ‘salasso’ sui salari, sia a favore dei dipendenti che delle aziende, ma nemmeno il Governo Renzi, che pure le riforme le sta facendo, è riuscito nell’impresa. Tanto è vero che l’Italia risulta l’unico grande Paese europeo che registra una crescita consistente del cuneo fiscale, segnando tra il 2013 e il 2014 un +0,4%, arrivando al livello record del 48,2%, secondo i dati Ocse pubblicati recentemente nel rapporto “Taxing Wages 2015”. Significa che quasi metà di quanto gli imprenditori pagano per le buste paga dei lavoratori se ne va in tasse e contributi sociali. Il dato supera di oltre 12 punti la media Ocse che è del 36% (+0,1 punti sull’anno precedente) e l’aumento deriva dalle imposte sul reddito, mentre non emergono variazioni nell’incidenza dei contributi sociali. Al primo posto resta il Belgio con il 55,6% (-0,08 punti), seguito da Austria (49,4%, +0,17), Germania (49,3%, -0,09), Ungheria (49%, invariato) e Francia (48,4%, -0,4), mentre all’ultimo posto risulta il Cile, con solo il 7%.

 

IL FISCO DEL TITANO È TRA I MENO AGGRESSIVI

Il cuneo fiscale sammarinese è circa al 28,5% per i single e al 25,6% per le famiglie tipo (un solo reddito e due figli a carico), pur se aumentato con l’introduzione della riforma fiscale e l’obbligatorietà della pensione integrativa (Fondiss), posizionerebbe nella classifica stilata dall’Ocse l’antica Repubblica del Titano al 27esimo posto, alle spalle della Gran Bretagna e davanti all’Irlanda, due Paesi notoriamente ‘amici’ delle imprese e ‘vicini’ ai lavoratori, e non solo perché l’industrializzazione è nata da queste parti. Ed è in buona compagnia, visto che attorno al 30% ci sono anche Giappone, Stati Uniti, Canada e Australia, mentre la Svizzera è staccata al 22,2%.

Il calcolo effettuato da San Marino Fixing si è basato sulla busta paga standard di un lavorare del settore Industria (ovviamente residente, per i frontalieri occorrerebbe poi aggiungere la tassazione sul reddito applicata dall’Italia tenendo conto della franchigia), la cui retribuzione media è ogni anno stabilita con ordinanza dal Segretario alla Sanità e che, per il 2015 è stata determinata in 1.941,00 euro mensili. Sulla base di questa retribuzione, emerge un reddito lordo annuale di 25.233,00 euro, per un costo complessivo dell’azienda di 34.046,89 euro e un reddito annuale finale di 24.351,88 euro nel caso dei single e di 25.251,88 euro di famiglie tipo. Al reddito lordo, però, va aggiunto il Tfr che a San Marino viene erogato annualmente e tassato a parte, diventando in pratica una quattordicesima mensilità detassata. Esso contribuisce inoltre a ridurre notevolmente il peso percentuale di contributi (che sono il 33,6% del lordo senza Tfr) e dell’imposta IGR calcolata sull’imponibile (che non tiene conto del Tfr).

 

QUASI TRE QUARTI DEL CUNEO PESA SULLE AZIENDE

Con la riforma fiscale (Legge 166 del 2013) la quantificazione del cuneo fiscale è diventata relativamente semplice per quanto riguarda il lavoro dipendente, fatto salvo il calcolo delle deduzioni tramite Smac, che per il 2014 è però ininfluente, in quanto il Governo ha deciso di derogare totalmente alla certificazione e quindi si avrà deducibilità piena per tutti nella dichiarazione dei redditi. Detto questo l’IGR impatta sul reddito dei lavoratori dipendenti (e anche degli autonomi) in maniera molto meno aggressiva che negli altri Paesi Ocse, pur crescendo a seconda degli scaglioni (dal 9% fino ai 10mila euro, al massimo del 35% per la quota superiore agli 80mila euro). L’imposta ovviamente va calcolata sull’imponibile, desunto dopo l’abbattimento universale del 7%, le deduzioni regressive (ovvero la Smac) e la deduzione dei contributi previdenziali a carico del lavoratore stesso (ISS e Fondiss), che assommano al 6,60% (la quota sindacale dello 0,40% è infatti indeducibile). Una volta calcolata quindi l’imposta IGR, essa va considerata lorda in quanto deve essere diminuita delle detrazioni previste per legge, tra cui un fisso di 100 euro per redditi imponibili inferiori a 15mila euro (che è il caso preso in esame), più le eventuali persone a carico (250 euro per il coniuge, 250 per ogni figlio, maggiorati del 20% se sono più di due persone a carico, come nel caso della ‘famiglia tipo’ presa in esame).

Alla fine dei conti, al lavoratore dipendente tipo ‘restano in tasca’ il 71,5% (se single) e il 74,4% (se famiglia tipo) del costo totale del lavoro pagato dall’azienda per cui lavora. Del 28,5% e del 25,6% (cd. cuneo fiscale) che viene versato allo Stato e ai fondi sociali, la maggior parte ricade sull’azienda, in quanto essa versa per conto del lavoratore il 69,2% (per i single) e il 76,3% (per la famiglia tipo) del cuneo fiscale.

Nei versamenti a carico dell’azienda sono compresi i contributi fondo pensione, la CIG, il fondo Sicurezza sociale, le assicurazioni, il Fondiss e i Fondi servizi sociali (variabili a seconda del settore). Per fare un confronto, in Italia, sui lavoratori ‘single’, c’è la preponderante incidenza dei contributi pagati dal datore di lavoro, pari al 24,3% del costo del lavoro, il quarto livello più alto dell’Ocse (prima la Francia con il 27,7%).

Ovvero meno del 50% del cuneo fiscale ricade sull’azienda, ma una volta tradotto in numeri, significa che su un costo totale per singolo lavoratore di 30mila euro, l’azienda italian versa poco meno del 50% di circa 15.000 euro, mentre un’azienda sammarinese versa sì quasi il 70% del ‘cuneo’, ma su 8500 euro. E i suoi lavoratori percepiscono redditi netti sicuramente superiori ai loro colleghi italiani. Questo rende – oggi, sottolineiamo – il sistema sammarinese competitivo.

 

AUMENTI GIÀ PREVISTI, EVITARE QUELLI IMPREVISTI

La situazione fiscale sammarinese è, come detto, molto competitiva, sicuramente tra le più attrattive del vecchio continente, ma se si vuole mantenere inalterato il suo appeal su imprese e lavoratori, occorre pianificare fin da subito strumenti idonei a non deteriorare il quadro di riferimento. Questo perché, a parità di servizi e qualità, non si debba intervenire bruscamente e urgentemente sulla pressione fiscale, aumentandola più di quanto sia ‘fisiologico’ fare. Perché il cuneo fiscale è destinato ad aumentare anche a San Marino, questo è già previsto nelle normative vigenti, soprattutto per la parte contributiva previdenziale, sia di primo che di secondo pilastro. Per quanto riguarda i fondi pensione (si veda Fixing nr. 26), infatti, il Governo ha incaricato una Commissione di Studio nel 2014 per valutare la sostenibilità degli stessi e nella relazione dei tre professionisti incaricati emerge che l’ingente patrimonio accumulato negli anni (si stima arriverà nel 2023 a oltre 400 milioni di euro), potrebbe rapidamente erodersi fino ad andare all’esaurimento entro il 2034. Questo significa che per garantire una sostenibilità – questo l’incarico affidato ai professionisti – occorrerà o innovare l’attuale sistema previdenziale o, purtroppo, aumentare le aliquote. In verità, nella relazione presentata al Governo e al Consiglio per la Previdenza, i tre professionisti incaricati avevano già messo le mani avanti su questa ipotesi, avvertendo il legislatore che servono “spunti innovativi”, quindi “evitando ove possibile il ricorso a misure convenzionali di intervento (quali l’innalzamento dell’età pensionistica, l’aumento dei contributi previdenziali e l’introduzione di ulteriori forme di prelievo forzoso sugli assegni pensionistici in essere) chje potrebbero ulteriormente inasprire gli effetti della perdurante ciris economica, riducendo il potere d’acquisto, le risorse per i datori di lavoro e l’attrattività della Repubblica per gli investitori stranieri”. E’ anche vero, però, che i tecnici avevano messo in guardia il Governo dal ripetere due interventi eccezionali come la riduzione al 5% del contributo dello Stato ai fondi pensione e i prepensionamenti, che dovevano essere attuati solo nel 2014 e invece sono stati entrambi ripetuti anche per il 2015. L’auspicio è che il Governo segua questa ulteriore indicazione e non intervenga su età, tasse e aliquote contributive. Aliquote che, va ricordato, sono già destinate ad aumentare fino al 22% per tutti i lavoratori autonomi e fino al 21,5% per i subordinati nel 2019. Questo significa che il cuneo aumenterà di conseguenza di qualche punticino già così, anche in previsione dell’entrata a regime del Fondiss (che, ricordiamo, è obbligatorio) con gli aumenti già scaglionati nei prossimi anni (oggi ‘pesa’ un 2%, equamente diviso tra lavoratore e datore di lavoro), fino al 4% dal 2018 (dal 2016 sarà del 3%). E’ chiaro che, al di là delle innovazioni e “correttivi” che studieranno i tecnici incaricati per il sistema previdenziale, l’unico modo per tutelare il grande valore di un cuneo fiscale così leggero, è quello di non aumentare le tasse dirette e indirette.

Ma per fare questo la politica ha solo due strade, entrambe virtuose e per questo anche abbastanza impegnative: aumentare le entrate tributarie, ampliando la platea di soggetti che versano le tasse, ovvero i lavoratori e le imprese; ridurre la spesa pubblica, attuando la tanto decantata spending review. La forza lavoro di San Marino, così come il numero delle imprese insediate, è drasticamente diminuita negli ultimi anni, per ritornare ad un punto di equilibrio occorrono politiche incentivanti (e in questo senso la Legge per lo sviluppo lo è), formazione continua e specifica per alzare il livello qualitativo sia degli occupati sia soprattutto dei disoccupati, ma anche e soprattutto, aumentare l’attrattitivà del sistema verso imprenditori seri e manager di alto livello. In quest’ultimo caso, l’apertura ad una nuova concessione delle residenze e la possibilità di acquistare immobili da adibire a propria abitazione appaiono scelte non più procastinabili.

Il sistema sammarinese, con il suo welfare d’eccellenza, la sua qualità di vita e le sue agevolazioni alle imprese ma anche nei confronti dei lavoratori, non può permettersi di perdere un solo punto dal punto di vista dell’attrattività. E il cuneo fiscale lo è sicuramente, tanto che in altri Paesi è usato non solo come metro politico capace di far vacillare anche e perfino i Governi, ma è uno degli indicatori che imprese e imprenditori osservano per decidere in quale Paese crescere e svilupparsi.

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