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Santarcangelo Teatro 2015: la recensione di “Antologia di S.” di Muta Imago

da Redazione

La S., visto anche il mobiletto a parete che tiene vicine tutte le cassette, è quella di una nuova Spoon River: lapidi di parole, annunciate sui dorsi da piccoli e sintetici epitaffi, che cercano una persona che le ascolti.

 

di Alessandro Carli

 

Le vernici servono per dipingere – senza troppa gente appresso – i primi schizzi di un’opera che, prima o dopo, verrà portata a compimento.

L’anteprima che Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza 45esima edizione ha concesso giovedì sera agli sparuti aficionados della scena si è rivelata piuttosto preziosa: nessuna fila e la possibilità di toccare con mano la realizzazione di uno dei progetti più interessanti che la kermesse clementina ospita: Antologia di S. di Riccardo Fazi e Muta Imago, realizzata in un appartamentino che si affaccia su Piazza Ganganelli.

La storia è abbastanza semplice: Riccardo un giorno ritrova tra le sue cose una musicassetta datata 1993 (ai tempi non esistevano Ipod e mp3). Lì dentro, sul nastro, una vocetta squillante di ragazzina: “Ciao Roma! Ci vediamo a Santarcangelo!”. Fazi, a questo punto, si mette alla ricerca della burdèla e sale in Romagna, si ferma per due settimane in un mini appartamentino (quello in cui si tiene Antologia di S.) e inizia a girare per le stradine e i locali del borgo, chiedendo alle persone di dare un volto a quella misteriosa adolescente, oggi certamente diventata una ragazza, forse anche una donna.

Si entra nella prima stanza e si è accolti da due registratori con le cuffie. Si sceglie una cassetta (in due settimane Fazi ne ha registrate tantissime: ognuna ha il suo nome, per esempio Sara, Serena, eccetera) e si ascolta. Poiché mancava quella con il mio nome (davanti a una sfilza di Mattei, Marchi, Giovanni, eccetera, il primo istinto è quello di aggrapparsi a qualcosa di conosciuto), dopo aver sentito il nastro “incriminato”, ho scelto quella di Paolo: amore ergo Paolo e Francesca, viaggio da Roma alla Romagna ergo Paolo Rumiz. Nelle testimonianze delle persone “esce” teatralmente lo spettacolo-installazione: il testo – la ricerca di S. – diventa pretesto per parlare di altro. Il mio Paolo si innalza a sociologo, e spiega all’intervistatore com’è cambiata la Romagna. Ecco quindi che il romagnolo gira con il mocassino da 400 euro ma poi però ti spara la perla (grezza, chiaramente) di saggezza. Non mancano le “due cannette che si fumano a 15 anni”, le donne, le marmitte truccate del motore, le riflessioni sui romagnoli contadini che sono scesi dalla campagna per fare gli affittacamere al mare e che si sono arricchiti nel portafogli e nel conto in banca ma non nell’anima.

Antologia di S. è una suggestione. La S., visto anche il mobiletto a parete che tiene vicine tutte le cassette, è quella di una nuova Spoon River: lapidi di parole, annunciate sui dorsi da piccoli e sintetici epitaffi, che cercano una persona che le ascolti.

All’uscita – lo spettacolo, itinerante, si compie poi in una seconda stanza in cui una voce fuori campo spiega il progetto di Fazi e in una cameretta in cui lo stesso ha dormito – rimane tra le dita una sensazione: fortunatamente S. è romagnola e R. è romano. La ricerca della voce perduta si è quinti vestita, raffinatamente, da teatro. A parti invertite – lui romagnolo, lei romana – le cose sarebbero state sensibilmente diverse. Forse, come ha detto Paolo, più grezze. Del resto, i Zanza (i rubacuori della Riviera, i galli che fanno strage di donne) e la passione per i motori e per la mona – un mix micidiale che scatena i grandi millantastorie, racconti da mille e più balle), sono ben incardinati nel DNA del rumagnùl.

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