Lo fa il ghiaccio al sole, che si scioglie in acqua. Lo fa il sale, che rende così leggero il mare. Iniziare un nuovo cammino spaventa, poi capiamo quanto sia pericoloso stare fermi.
di Simona Bisacchi Pironi
“Aiuto, sto cambiando!” disse il ghiaccio “Sto diventando acqua, come faccio? Acqua che fugge nel suo gocciolìo! Ci sono gocce, non ci sono io!”.
Ma il sole disse: “Calma i tuoi pensieri. Il mondo cambia, sotto i raggi miei. Tu tieniti ben stretto a ciò che eri. E poi lasciati andare a ciò che sei”.
Quel ghiaccio diventò un fiume d’argento. Non ebbe più paura di cambiare.
E un giorno disse: “Il sale che io sento mi dice che sto diventando mare. E mare sia. Perché ho capito, adesso. Non cambio in qualcos’altro, ma in me stesso”.
Bruno Tognolini, “Filastrocca dei mutamenti”
Non c’è giorno in cui non avvenga una metamorfosi.
E non c’è giorno in cui chi cambia non si opponga alla trasformazione. Lo scrittore e poeta Bruno Tognolini, con la delicatezza della sua penna – capace di parlare all’innocenza dei bambini e di sciogliere la complessità degli adulti – racconta il lento disgregarsi della materia per tramutarsi in poesia.
Dal ghiaccio al mare.
Da ciò che è freddo e privo di movimento fino a ciò che accoglie e danza di continuo. Ma il processo è lungo, non avviene in un giorno.
L’autore fa scorrere gocce e un fiume d’argento, prima che il mutamento sia completo. Quasi a farci capire quanto questo sviluppo sia difficile, delicato e spesso doloroso, perché per diventare mare bisogna accettare che il sale bruci la dolcezza dell’acqua di fiume.
Eppure il cambiamento avviene. E quando arriva il momento in cui si sta per compiere il grande salto, lì capisci quanto era necessario.
“Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi” ci racconta Roberto Benigni.
Perché siamo pellegrini e non c’è pellegrino senza un cammino da percorrere. Senza tanta strada da masticare, senza imprevisti, sorprese e meraviglie da affrontare.
E non c’è viaggio che non abbia come scopo il tramutare il marmo in creta.
Addolcendo la sua rigidità il marmo diventa materia viva, capace di farsi plasmare, e prendere la forma di cui ha bisogno per lasciarsi toccare dalla vita.
In un perenne cammino dall’esito sempre sorprendente. Perché come ammette lo Zarathustra di Nietzsche “Io sono un viandante e uno che sale sulle montagne… Io non amo le pianure e non riesco, a quanto pare, a stare tranquillo. E qualunque cosa possa ancora venire a me come destino ed esperienza – vi sarà sempre un vagabondare e un salire montagne: infine non si fa esperienza se non di se stessi”.