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Regole certe per attrarre i potenziali investitori

da Redazione

ANIS e CSU ribadiscono la necessità della legge sulla rappresentatività. “Rinnovo contratto Industria, mantenuti potere d’acquisto e flessibilità”.

 

di Daniele Bartolucci

 

La firma del contratto industria dà stabilità, prospettiva e regole certe al sistema economico. È una valutazione unanime quella di CSU e ANIS al termine del negoziato per il rinnovo contrattuale che interessa circa 8mila lavoratori del settore industriale. Un accordo raggiunto senza alcuna conflittualità e che ricalca in larga parte il contratto sottoscritto nel 2012: c’è la conferma della difesa del potere di acquisto delle buste paga, con aumenti coerenti con le attuali difficoltà della congiuntura economica, così come dello strumento della flessibilità che permette alle aziende di ottimizzare gli orari di lavoro, evitando un massiccio ricordo alla cassa integrazione. “Il nostro obiettivo è sempre quello di aiutare le imprese a migliorare e creare nuova occupazione”, spiega il segretario dell’Associazione Industriali, Carlo Giorgi. E proprio sul fronte occupazione, la controparte sindacale ha rivendicato l’importanza della stabilità contrattuale in questi anni di dura recessione: Enzo Merlini (CSdL), ha sottolineato infatti che “dopo il primo scossone, le industrie manifatturiere medio-grandi sono quelle che hanno retto meglio l’impatto con la crisi e hanno fatto registrare un aumento di occupati. E questo, in parte, lo si deve anche al contratto firmato nel 2012″. Negli ultimi quattro anni, infatti, le prime 9 aziende industriali con più di 100 dipendenti sono passate da 1.723 occupati a 1.924. Un incremento di 200 unità”. “Con il rinnovo del contratto – ha osservato Giorgio Felici (CDLS) – si vuole consolidare un fronte comune tra lavoratori e imprese per dare prospettive di sviluppo economico e di crescita occupazionale al nostro Paese”.

Centrale in questa tornata contrattuale è stato il tema della rappresentatività, oggetto di uno specifico accordo (allegato 1) che CSU e ANIS hanno sottoscritto, basato sulla necessità di rinnovare alcuni contenuti della legge del 1961, ritenuti non più attuali in un’epoca in cui il mondo del lavoro è profondamente cambiato. Una visione diversa dall’USL, che comunque ha aderito all’autocertificazione dei propri iscritti e partecipato attivamente a tutti gli incontri pur non firmando l’accordo finale. Diversa, per non dire opposta, da quella di OSLA, che non ha partecipato all’ultimo incontro e che, assieme a USC e USOT ha annunciato battaglia contro il Governo, reo di aver finalmente avviato la discussione su una proposta di Legge che normi la rappresentatività (per la costituenda Confederazione delle tre sigle invece “per 50 anni le cose sono andate bene”) e, al contempo, aggiorni anche le regole della rappresentanza stessa, ovvero di sindacati e di associazioni di categoria (dalla iscrizione per quota versata, al divieto di iscriversi a più sindacati o di associarsi a più associazioni di categoria, per rendere chiaro e trasparente chi rappresenta chi e perché). Un tema su cui si dibatte da diversi anni, sicuramente dal 2009 dopo la vicenda del tavolo tripartito: subito dopo l’allora Segretario al Lavoro Gianmarco Marcucci cercò invano una sintesi. Quindi, nel 2012, ANIS e CSU, al momento della firma dell’accordo sul rinnovo contrattuale, hanno specificatamente sollecitato la politica ad emanare un apposito provvedimento normativo. Quei principi di base sono stati ripresi nel nuovo allegato e sono contenuti nel progetto di legge che il Segretario di Stato per il Lavoro ha presentato e che è oggi oggetto di confronto che per ANIS e CSU è quindi partito da un ottimo punto di partenza. “Noi non vogliamo escludere nessuno al tavolo del confronto né ledere i diritti di nessuna organizzazione – ha sottolineato Carlo Giorgi – Tutti devono esserci, ma ognuno deve avere un peso corrispondente al proprio grado di rappresentatività, dei lavoratori e delle aziende” (le imprese associate ANIS occupano il 75% dei lavoratori del settore Industria, ndr). “E’ giusto che la validità erga omnes dei contratti venga riconosciuta agli accordi contrattuali firmati dai soggetti maggiormente rappresentativi”. Un principio che non era contemplato nella legge del 1961, nata in un contesto, per numeri e sigle, completamente differente da quello odierno. “Chi si è sfilato dalla firma del contratto e polemizza contro l’accordo sulla rappresentatività, lo fa solo perché vuole smontare il contratto collettivo nazionale e difendere piccole convenienze corporative, o peggio per abbassare i diritti dei lavoratori”, ha rimarcato Enzo Merlini (CSDL). Sulla stessa lunghezza d’onda Giorgio Felici (CDLS): “Affermare che la rappresentatività limiti la libertà sindacale è falso, strumentale e lontanissimo dalla realtà. Per noi la democrazia ha un valore fondamentale, tant’è che anche questo contratto, così come avviene da vent’anni, sarà sottoposto ai lavoratori tramite referendum”. Guardando oltre, ovvero all’appeal del sistema economico, il Presidente dell’ANIS Emanuel Colombini ribadisce infine che “è importante per un potenziale investitore avere regole certe, e in tal senso la certezza del contratto di lavoro è sicuramente uno degli elementi che rende appetibile il nostro sistema. A questo punto spetta alla politica fare la propria parte per fissare regole di civiltà, democrazia e rappresentatività, per aiutare lo sviluppo dell’economia e attirare anche investimenti dall’estero”.

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