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Le fiabe di Diefenbach, l’opus “Eva e il futuro” di Klinger

da Redazione

Due artisti diametralmente opposti per colori e poetiche ma entrambi dotati di grande potere evocativo.

 

L’irrompere della modernità nel mondo tardo Ottocentesco e il suo sfociare nei primi tre decenni del Novecento sono il soggetto di “Il demone della modernità. Pittori visionari all’alba del secolo breve “, una mostra ospitata a Palazzo Roverella di Rovigo, una mostra dalle forti emozioni, che accosta vitalismi sfrenati e ambigui, eterei straniamenti, incubi e sogni. Una mostra insolita e forse unica che descrive una modernità che si muove tra inquieto e ineffabile, tra conscio e inconscio. “Il demone della modernità” mette in scena l’irruzione di una modernità tempestosa, che rinnova i linguaggi dell’arte, infrange gli schemi rigidi della classicità, le tradizionali connessioni e relazioni spazio-temporali, introduce il movimento, le sonorità estreme, le contaminazioni tra i generi. A raccontare, interpretare e vivere nelle loro opere queste emozioni sono grandi artisti europei e italiani: Ensor, Klee, Von Stuck, Redon, Böcklin, Ciurlionis, Klinger, Diefenbach, Moreau, Martini.

 

Due stili, due nomi

Tra tutti, due nomi hanno colpito lo sguardo. Due artisti diametralmente opposti per colori e poetiche – i colori e l’onirismo quasi fiabesco di Diefenbach, il bianco e nero e la durezza marcata di Max Klinger -, ma entrambi dotati di grande potere evocativo.

Del primo spicca “Chiedi alle stelle”, una ragazza di spalle, al mare, che respira l’infinito.

Del secondo, due “Opus”, i cicli che comprendono i suoi fogli più famosi. L’opus de “Il guanto” (opus VI, che ha ispirato De Gregori per l’omonimo pezzo) non c’era, ma lo straordinario opus III (“Eva e il futuro”) ha fatto capire ai visitatori l’eleganza e la raffinatezza di questo grande artista.

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