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Il mondo del lavoro e le disparità tra i Paesi

da Redazione

A Ginevra la 104esima Conferenza Internazionale organizzata dall’ILO. Marta Bossi (ANIS) racconta gli argomenti emersi negli interventi.

 

di Alessandro Carli

 

Lunedì 1 giugno si è aperta a Ginevra la 104ma sessione della Conferenza internazionale del lavoro, a cui partecipano circa 4.000 rappresentanti dei tre gruppi che costituiscono l’OIL, l’International Labour Conference, l’agenzia delle Nazioni Unite con competenza in materia di lavoro. Tra i cantieri aperti, quello dedicato al lavoro minorile. Secondo le più recenti stime mondiali, sono circa 120 milioni i minori tra i 5 e i 14 anni ad essere coinvolti nel lavoro minorile; il fenomeno colpisce ragazze e ragazzi nelle stesse proporzioni. Fra le principali cause della persistenza del lavoro minorile: la povertà e la carenza di lavoro dignitoso per gli adulti, la carenza di protezione sociale e l’impossibilità di garantire a tutti i minori la frequenza scolastica fino all’età minima per l’ammissione all’impiego. Molti dei minori che lavorano non frequentano per niente la scuola. Altri riescono a conciliare scuola e lavoro, ma perlopiù a discapito della propria istruzione. Senza adeguata istruzione e senza qualifiche, una volta diventati adulti, i minori che hanno lavorato avranno più probabilità di trovare un lavoro precario pagato poco, o di essere disoccupati. Inoltre, è molto alta la probabilità che anche i loro figli siano costretti a lavorare. Infrangere questo circolo vizioso rappresenta una sfida mondiale nella quale è fondamentale il ruolo dell’istruzione. L’istruzione gratuita, obbligatoria e di qualità fino all’età minima per l’ammissione all’impiego costituisce uno strumento chiave per porre fine al lavoro minorile.

La crisi mondiale dell’occupazione giovanile, insieme ai problemi che incontrano i giovani al momento del passaggio dalla scuola al lavoro, dimostra quanto sia necessaria una istruzione pertinente e di qualità, in grado di sviluppare le qualifiche indispensabili per riuscire nel mercato del lavoro e nella vita in generale.

Negli obiettivi di sviluppo per il millennio, le Nazioni Unite avevano fissato l’obiettivo di garantire che entro il 2015 sarebbe stato possibile per tutte le ragazze e i ragazzi di frequentare l’intero ciclo dell’istruzione primaria. Obiettivo che però non verrà raggiunto. Dati recenti dell’UNESCO sulla scolarizzazione indicano che 58 milioni di bambini in età di scuola elementare e 63 milioni di adolescenti in età di scuola media non sono tuttora scolarizzati. E molti di coloro che sono scolarizzati non frequentano regolarmente la scuola. Mentre la comunità internazionale analizza le ragioni del mancato raggiungimento degli obiettivi, è chiaro che la persistenza del lavoro minorile costituisce una barriera al progresso dell’istruzione e dello sviluppo. Per raggiungere coloro che sono coinvolti nel lavoro minorile, occorre agire con più decisione a livello nazionale e locale.

 

AZIONI PER GARANTIRE LE POLITICHE NAZIONALI

La Convenzione dell’ILO sull’età minima (n. 138) mette in risalto la stretta correlazione tra istruzione e età minima per l’ammissione all’impiego o al lavoro. La Convenzione stabilisce che l’età minima “non dovrà essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo, né in ogni caso inferiore ai quindici anni”. Tuttavia, secondo alcune ricerche recenti, solo il 60 per cento degli Stati che hanno fissato un’età minima per l’ammissione all’impiego e un’età per la fine dell’insegnamento obbligatorio hanno armonizzato le due età.

Appare quindi chiaramente la necessità di coordinare le politiche nazionali e le strategie relative al lavoro minorile e all’istruzione. L’ILO e le altre agenzie specializzate delle Nazioni Unite possono svolgere un ruolo importante in questo processo, lavorando insieme ai governi per identificare le politiche adeguate e i bisogni di finanziamenti per fronteggiare il lavoro minorile.

 

PROGRESSI RAGGIUNTI E AZIONI NECESSARIE

Nonostante le sfide, si registrano alcuni progressi, ma c’è anche spazio per progressi ulteriori. Da 10 anni, il lavoro minorile tende a diminuire mentre si registra un aumento della frequenza scolastica. Ma resta ancora molto da fare per eliminare del tutto il lavoro minorile.

A Ginevra, per la seconda settimana di incontri, anche Marta Bossi di ANIS. “La discussione principale di martedì mattina 9 giugno è ruotata intorno al caso del Kazakhstan: la sua delegazione di governo non si è presentata all’ILO. Il Kazakhstan, hanno spiegato i relatori, ha violato alcune norme: nel 2011, per esempio, sono stati uccisi 17 operai durante uno sciopero. ILO ha richiesto ufficialmente che il governo kazakho si allinei con le disposizioni dell’organizzazione e che preveda anche una serie di norme per la protezione sociale. Il codice penale kazakho, in questo senso, è molto restrittivo. Tutti gli Stati che sono intervenuti hanno espresso grandi preoccupazioni per il caso kazakho”.

La situazione non è molto più rosea in Mauritania che, prosegue Marta Bossi, “presenta il più o meno taciuto problema della schiavitù. Nel Paese i diritti umani non sono così affermati: gli imputati non hanno diritto a difendersi davanti alla legge. Non molto tempo fa tre uomini manifestarono contro la schiavitù e furono arrestate. Ora rischiano la pena di morte”.

Spazio anche alla Spagna. “Il Paese iberico è alle prese con un alto tasso di disoccupazione, non più tollerabile”. Non è mancato il caso del Guatemala, terra di grandi violenze. “La Svizzera – spiega la rappresentante dell’Associazione Nazionale Industria San Marino – si dice molto preoccupata per gli atti di violenza contro i capi e membri dei sindacati. Gli omicidi sono aumentati drasticamente dall’ottobre del 2013”. La sessione plenaria poi “è iniziata con l’intervento del Presidente della commissione che ha annunciato l’intenzione che l’Uzbekistan riottenga il diritto di voto – conclude Marta Bossi -. Il primo Paese che ha preso la parola è stata la Korea, che suggerisce il dovere di ridurre il ‘gap’ tra i lavoratori regolari e i non regolari e di aumentare il salario minimo. Il secondo Stato a prendere la parola è stata l’Italia con il sindacalista Mone, che ha elencato alcune conseguenze della crisi economica recente: l’esclusione sociale, le condizioni di vita precarie, la povertà… Ha biasimato la debolezza strutturale del Governo, ma ha rinnovato il proprio sostegno per le direttive promosse dall’ILO”.

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